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EDITORIALE

Non si può amare l'uomo senza combattere leggi disumane

Nel 2007 un milione in piazza contro il riconoscimento delle coppie di fatto. Oggi su una materia molto più grave, la legge sull'omofobia, il silenzio imbarazzante della Chiesa.
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Editoriali 28_07_2013
Family Day 2007

L’atteggiamento del cosiddetto mondo cattolico verso la legge sull’omofobia in questo anno 2013 va adeguatamente esaminato. Non c’è dubbio, per esempio, che in soli sei anni dal Family Day molto sia cambiato. Si ha l’impressione di essere in una nuova epoca. Allora un milione di persone si erano date appuntamento in piazza San Giovanni a Roma. I vescovi italiani avevano pubblicato una Nota molto precisa, richiamando i motivi di verità per cui la coppia di fatto  - allora, ricordiamolo, si lottava contro la legge sui DICO, ossia appunto il riconoscimento delle coppie di fatto – non poteva meritare un riconoscimento pubblico. Con ciò avevano tagliato fuori i cattolici che nel centro sinistra già avevano aperto a questa possibilità, impostando così una questione di fondo: la fede cristiana difende il creato – in questo caso il matrimonio e la famiglia – anche in pubblico. Veniva così sconfitta la linea della laicità come indifferenza o astensione e chiarito il percorso da battere. Era la linea di Benedetto XVI e del cardinale Ruini.

Dopo sei anni, tutto ciò sembra appartenere al passato. Nonostante, si badi bene, la questione posta dalla legge sull’omofobia sia molto più grave di quella posta dai DICO nel 2007. Essa, infatti, ha alle spalle l’ampia diffusione dell’ideologia del gender, quindi ha un potere di dissoluzione nei confronti della famiglia naturale molto più radicale. Il testo originario della legge parlava esplicitamente di “identità di genere” (ora il riferimento è comunque implicito) e su questa base prevedeva delle pene contro atteggiamenti omofobi. In questi sei anni, inoltre, in molti Paesi europei sono già state approvate leggi totalmente improntate all’ideologia del genere ed anche leggi sull’omofobia che hanno dato luogo a forme di vessazione e violenta intolleranza contro chi esprime opinione contraria a difesa del matrimonio e della famiglia naturali. Ci si sarebbe dovuto aspettare, quindi, una mobilitazione massiccia ed organizzata, maggiore di quella del 2007.

Invece, tutti sono rimasti in silenzio, fino a quando La Nuova Bussola Quotidiana non ha lanciato l’appello in collaborazione con i Giuristi per la Vita. Anche dopo questo appello e l’arrivo di migliaia di firme, però, nessun segnale dal grande ed ufficiale associazionismo cattolico, dalle corazzate, diciamo così, della flotta cattolica. Anzi, sono cominciate le sottili distinzioni.

Molti hanno aperto alla possibilità di un certo riconoscimento delle coppie anche omosessuali, secondo il principio della “gradualità dei diritti”. Altri hanno accettato la legge, chiedendo semplicemente che vi si aggiungesse il riconoscimento della libertà di espressione da parte di chi è contrario all’omosessualità e non per questo deve aver paura di dirlo in pubblico. Il quotidiano Avvenire non si è messo a capo di nessuna battaglia. I settimanali cattolici diocesani, in genere, non ne hanno parlato. Chi scrive queste righe ne dirige uno, che subito ha aderito alla raccolta di firme della Nuova BQ, ma la maggior parte non ha trattato l’argomento. Timidamente qualche parlamentare si è finalmente fatto sentire. Qualche vescovo coraggioso è intervenuto a titolo personale. Questo il tutto, a parte le eccezioni.

Faccio infine notare che la Chiesa italiana si sta preparando alla prossima Settimana sociale che sarà dedicata proprio alla famiglia. Ma sulla famiglia non è più in grado di fare battaglie unitarie.

Bisognerà capire i motivi di questo cambiamento di atteggiamento e soprattutto chiedersi se oggi i cattolici italiani siano ancora in grado di fare qualche battaglia culturale pubblica unitaria.
Espongo a questo proposito la mia povera idea.

Credo che ci sia una grande fetta del mondo cattolico italiano, la grandissima maggioranza, che di battaglie culturali pubbliche non ne farà mai. Crede, infatti, che non si debba avere dei nemici perché il mondo è buono e che fare battaglie “contro” impedisca di mettere in evidenza il positivo della fede cristiana e l’apprezzamento nei confronti del mondo. Secondo costoro una Chiesa che fa battaglie culturali è una Chiesa che “mostra i muscoli” e che condanna, mentre i cattolici dovrebbero solo accogliere, accompagnare, consolare, perdonare. Questa ampia fetta di mondo cattolico pensa che le leggi dello Stato siano laiche – espressione della bontà del mondo - e che su di esse la fede cristiana non debba dire nulla, ma lasciare la decisione alla coscienza personale; il contrario sarebbe integralismo e riedizione della vecchia cristianità. Anche questi cattolici, naturalmente, si indignano, ma si indignano solo di ciò di cui si indigna anche il mondo. Si indignano quindi soprattutto della Chiesa e dei suoi “ritardi” rispetto al mondo.

C’è però anche un mondo cattolico che ritiene di dover amare tutti, ma non tutto, perché Cristo non dà ragione a tutti. Il positivo della fede deve essere annunciato anche lottando contro il negativo che gli si contrappone. La lotta tra il bene e il male c’è ancora. Il mondo è buono in quanto frutto della Creazione, ma è anche cattivo in quanto spesso dominato dal peccato, comprese le strutture di peccato quali sono certe leggi. Non si può amare l’uomo senza lottare contro leggi disumane. L’ordine sociale ha a che fare direttamente con la ragione politica ma indirettamente anche con la religione. Una fede cattolica che rifiuta la propria responsabilità pubblica nega il significato pieno della creazione e della redenzione.

Non possiamo nasconderci che anche in occasione della mobilitazione contro la legge sull’omofobia, sono emerse in Italia due mondi cattolici che di fatto possono sembrare due Chiese diverse. Di questo nessuno può dirsi contento.