Non è un paese per morti: niente cortei funebri
L'arcivescovo di Oristano ribadisce alcune misure dell'"era pandemica" riguardo alle esequie, per far fronte al calo numerico dei parroci sempre più oberati.
Dall'arcidiocesi di Oristano un decreto regola i riti funebri in un tempo di "post-pandemia" che pare prolungarsi all'infinito e anche tenendo conto della scarsità del clero che deve occuparsi di più comunità.
Il decreto di mons. Roberto Carboni, datato 11 febbraio, è entrato in vigore il 5 marzo. Fa riferimento al fatto che «Negli ultimi anni sono intervenuti molti cambiamenti nella vita sociale ed ecclesiale», specificati nella lettera di accompagnamento, «miranti soprattutto a evitare assembramenti e situazioni che potessero favorire il contagio da Covid-19», portando (allora) al divieto di cortei funebri. Misure non revocate e che i parroci hanno chiesto di mantenere, concludendo tutti i riti in chiesa e non al cimitero.
Alle ragioni "pandemiche" si sommano quelle logistiche, relative al prete che si trova a guidare più comunità parrocchiali «con un conseguente dispendio di energie, di tempo e di sollecitudine pastorale» e la responsabilità del corteo, che ricadrebbe sul solo sacerdote, «dal momento che le autorità civili non garantiscono il servizio d’ordine e il controllo del traffico». Desta qualche perplessità la richiesta, laddove possibile e «di celebrare un unico funerale» nel caso di più defunti (ovviamente «in dialogo con le famiglie»).
Insomma, pochi preti sempre più oberati e costretti a saltare qua e là. Il "problema" dei cortei funebri dovrebbe comunque risolversi da sé, poiché «il calo numerico dei presbiteri, l’innalzamento dell’età» va di pari passo col calo dei fedeli e quindi dei defunti da seppellire.