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decreto

Non è un paese per morti: niente cortei funebri

L'arcivescovo di Oristano ribadisce alcune misure dell'"era pandemica" riguardo alle esequie, per far fronte al calo numerico dei parroci sempre più oberati.

Borgo Pio 09_03_2023

Dall'arcidiocesi di Oristano un decreto regola i riti funebri in un tempo di "post-pandemia" che pare prolungarsi all'infinito e anche tenendo conto della scarsità del clero che deve occuparsi di più comunità.

Il decreto di mons. Roberto Carboni, datato 11 febbraio, è entrato in vigore il 5 marzo. Fa riferimento al fatto che «Negli ultimi anni sono intervenuti molti cambiamenti nella vita sociale ed ecclesiale», specificati nella lettera di accompagnamento, «miranti soprattutto a evitare assembramenti e situazioni che potessero favorire il contagio da Covid-19», portando (allora) al divieto di cortei funebri. Misure non revocate e che i parroci hanno chiesto di mantenere, concludendo tutti i riti in chiesa e non al cimitero.

Alle ragioni "pandemiche" si sommano quelle logistiche, relative al prete che si trova a guidare più comunità parrocchiali «con un conseguente dispendio di energie, di tempo e di sollecitudine pastorale» e la responsabilità del corteo, che ricadrebbe sul solo sacerdote, «dal momento che le autorità civili non garantiscono il servizio d’ordine e il controllo del traffico». Desta qualche perplessità la richiesta, laddove possibile e «di celebrare un unico funerale» nel caso di più defunti (ovviamente «in dialogo con le famiglie»).

Insomma, pochi preti sempre più oberati e costretti a saltare qua e là. Il "problema" dei cortei funebri dovrebbe comunque risolversi da sé, poiché «il calo numerico dei presbiteri, l’innalzamento dell’età» va di pari passo col calo dei fedeli e quindi dei defunti da seppellire.