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GIOVANI

Non chiamateli "mammoni"

I ministri accusano i giovani di essere illusi e fannulloni. Da veri cialtroni non si rendono conto di aver cresciuto una generazione col mito del "tutto
e subito" in un ateismo radicale.

Editoriali 09_02_2012
Mammoni
Ha aperto il fuoco il premier: “il posto fisso è noioso”, gli ha fatto eco il Ministro dell’Interno: “i nostri ragazzi vogliono il lavoro vicino alla mamma” per proseguire con quello del Lavoro: “il posto fisso è un’illusione”. Lor signori il posto fisso ce l’hanno da anni e non sembrano né annoiati né illusi. I loro figli sono anch’essi felicemente sistemati con posto fisso, dicono le cronache.

Come non mai questo governo sta insultando i giovani, si sta facendo beffe del dramma di percorsi interrotti o mai iniziati, di vite sospese ad una speranza che adesso si permettono di sbeffeggiare e irridere. Certo, le responsabilità di questo stato di cose sono ampie e radicate non sta a me, in questa sede esaminarle, vanno da quelle della finanza che è una vera e propria struttura di peccato ad un sistema sindacale che è un vero e proprio potentato corporativista ad una politica incapace, becera, senza pudore. Siamo al punto finale di una serie lunga di responsabilità che investono, in parte, i giovani stessi. Nessuno è senza colpa,

Eppure, come non mai, io sto dalla parte dei giovani. Ci stò considerando che ho titolato un mio libro “La vita non è parcheggio”, 350 pagine per spiegare che si è felici solo quando si è capaci di affrontare una scelta di vita definitiva e che la precarietà e la immobilità esistenziale è sì indotta da un sistema economico che non favorisce i giovani, ma che in realtà è prima di tutto una forma mentale che affonda le radici in un relativismo etico e culturale che mette sullo stesso piano bene e male, per il quale ogni scelta equivale ad un’altra non essendovi più un criterio morale oggettivo che possa arbitrare le decisioni. Ho detto, ho scritto, che i nostri giovani sono paralizzati in un eterno presente fatto di pulsioni più che emozioni, da società dei balocchi più che da società degli uomini e che questa paralisi è la declinazione esistenziale di un’idea di libertà assoluta istillata da una ideologia radical-chic e libertaria.

Sono dunque, in un certo senso, al di sopra di ogni sospetto: se prendo le loro difese lo faccio perché stavolta s’è davvero passato il segno. E lo si è passato perché li si continua ad additare come incapaci dimenticando colpevolmente che i veri incapaci, i veri cialtroni sono coloro che, nella mia generazione (cinquantenni) e in quella precedente, hanno cresciuto i propri figli facendogli credere che la vita dovesse consistere in un evitare la fatica, in un sopraffare gli altri pensando al mondo e alla società come ad un personalissimo pièd-à-tèrre, in una emancipazione da ogni tradizione e regola che arginasse il narcisismo libertario ed edonistico del voglio-tutto-subito. Coloro che sono andati in pensione a quarant’anni, quelli convinti che lo Stato, la grande mamma, dovesse pensare a tutto, che hanno investito speculando facendosi beffe di ogni regola morale in campo finanziario ed economico; coloro che hanno fatto dei sindacati un tesserificio autoreferenziale e conservatore di diritti  antichi e inutili per chi il posto ce l’aveva dimentichi di chi lo cercava. Coloro che hanno vampirizzato l’economia succhiandole il sangue con una finanza perversa e pervertitrice.

Mio padre, uomo onesto che per questa onestà ha combattuto con le banche per tutta la vita, con una buona dose di ironia, sorridendo amaramente, diceva che più disoneste delle banche, c’erano solo le assicurazioni. Non me ne vogliano gli onesti che, per grazia di Dio sono tanti, ma quello a cui stiamo assistendo a livello globale e locale, non può che confermare il fatto che stiamo passando un mondo sfinito ai nostri figli.

Coloro che in un ateismo radicale, in un agnosticismo da salotto hanno strappato dal cuore dei figli la speranza, l’idea di vita buona, il volto di Dio come Padre, àncora e orizzonte di ogni sospiro di bene. E adesso, con facce di bronzo senza pari, vengono a dirci che i giovani sono senza colonna vertebrale. Chi gliel’ha tolta se non noi adulti, noi che abbiamo mangiato anche le loro, di provviste? Incontro ogni giorno coppie di fidanzati che non riescono a sposarsi perché non hanno uno straccio di lavoro o ne hanno uno iper-precario grazie al quale nessuna banca fa loro credito. Accompagno giovani famiglie che vivono con l’incubo della miseria e il rimpianto di non “potersi permettere” un figlio. A loro parlo della Provvidenza, del fatto che il Signore aiuta gli audaci, di fidarsi, di buttarsi, ed è vero che Dio è fedele e dispiega la propria generosità.

Ma il coraggio non è di tutti come non di tutti è la fede. Così passa il tempo e restano in famiglia, invecchiano senza neppure la soddisfazione di essersi rialzati da un fallimento non avendo neppure avuto la possibilità di fallire, essendo restati sulla soglia della vita. Non mi vengano a dire di giovani fannulloni: li vedo quando si dà loro uno scopo, una passione come rispondono: con generosità, con fantasia. La responsabilità che non gli abbiamo dato quando gli abbiamo fatto credere che avessero diritto a tutto, quando hanno la fortuna di incontrare qualcuno che gliela concede, allora dispiegano il meglio della propria umanità. Già: la responsabilità. Adesso, almeno, si abbia il buon gusto di assumersene la propria senza irridere chi vorrebbe, semplicemente, iniziare al propria avventura di uomo e di donna.