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Non c'era alcuna "lobby nera". Solo un falso scoop di Formigli e Fanpage

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Nel settembre 2021 Piazzapulita, su La7, mandava in onda l'inchiesta di Fanpage su una presunta "lobby nera" della destra milanese. Ora tutti i casi sospetti sono stati archiviati.

Politica 09_02_2024
Piazzapulita (Imagoeconomica)

Una pseudo-inchiesta costruita sul nulla, impregnata di illazioni, conclusioni arbitrarie e intrisa di malanimo e pregiudizio ideologico. Per oltre due anni qualcuno ha pensato che esistesse una “lobby nera” avvezza a traffici illeciti per un tornaconto elettorale. Ieri è stata messa la parola fine a una farsa della quale sono responsabili Fanpage e Piazzapulita, la trasmissione in onda il giovedì su La7 e condotta da Corrado Formigli.

A distanza di ben ventotto mesi dalla messa in onda di quel delirante servizio, che ha amplificato i contenuti delle rivelazioni di Fanpage, il gip di Milano Alessandra Di Fazio ha archiviato - come chiesto dalla stessa procura meneghina - Carlo Fidanza, l'europarlamentare di Fratelli d’Italia finito nell'indagine giudiziaria per finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio. Tutti archiviati anche gli altri otto indagati, tra cui l'eurodeputato della Lega Angelo Ciocca, gli esponenti della destra milanese Massimiliano Bastoni e Chiara Valcepina, e il "barone nero" Roberto Jonghi Lavarini, finiti nell'inchiesta del pm Giovanni Polizzi. Quest'ultimo aveva poi chiesto l'archiviazione, anche se ci sono voluti ben tredici mesi per dare seguito alla richiesta, nella quale aveva affermato: «Bisogna concludere nel senso dell’insussistenza delle ipotesi di reato formulate. Perché dalle indagini svolte non sono emersi elementi in grado di confermare quanto emerso dai video che hanno dato origine al procedimento». Tradotto: zero prove sui presunti finanziamenti illeciti.

La sera del 30 settembre 2021 un presunto "scoop" giornalistico di Fanpage sulla destra venne mandato in onda in prima serata su La7 dalla trasmissione condotta da Corrado Formigli, a soli tre giorni dalle elezioni comunali a Milano. Un giornalista di Fanpage si era infiltrato negli ambienti della destra meneghina e in particolare di Fratelli d'Italia, fingendosi un imprenditore interessato a finanziare un partito politico per ricevere poi in cambio vantaggi e favori per la sua impresa. In altre parole, un finto tentativo di corruzione costruito per mettere in difficoltà quei politici e screditarli agli occhi dell’opinione pubblica.

Inutile sottolineare quanto quell’episodio sia stato cavalcato per anni da certa stampa, soprattutto quotidiani di sinistra, per attaccare i protagonisti della vicenda. Giorgia Meloni, che all’epoca era ancora all’opposizione, non aveva ceduto ai ricatti e alle pressioni e si era rifiutata di cacciare dal suo partito il suo fedelissimo a Bruxelles, Carlo Fidanza. Col senno di poi ha fatto bene, visto come è andata a finire. Il garantismo del leader di Fratelli d’Italia si è rivelato lungimirante. Peraltro è questa la ragione per la quale la Meloni ha deciso di non parlare più con la redazione di Piazzapulita.

Che cosa rimane di questa assurda vicenda, che restituisce l’onore ai suoi protagonisti e proietta una luce fosca su certo dossieraggio travestito da giornalismo d’inchiesta? Una riflessione s’impone e riguarda, al di là della grave sanzione morale nei confronti di giornalisti che scavano a senso unico e solo per finalità di lotta politica, anche l’inerzia degli organismi di disciplina della categoria dei giornalisti, che in questi casi non dovrebbero avere alcuna remora nell’avviare procedimenti disciplinari nei confronti di iscritti all’Ordine certamente colpevoli di avere violato le norme deontologiche.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ribadito che il giornalismo d’inchiesta è il sale delle democrazie e concorre ad arricchire il diritto all’informazione dei cittadini su fatti di interesse pubblico. Il giornalista non deve, cioè, fermarsi alle fonti ufficiali, ma deve ricercare fonti alternative per poi riportare la verità sostanziale dei fatti, quella che emerge dopo tutte le verifiche del caso e dopo tutti i controlli incrociati sulla base del principio del contraddittorio. Tuttavia, in base all’articolo 2 del Codice deontologico del 1998 sul rapporto tra giornalismo e privacy, il cronista può occultare la sua identità, fingersi un altro e documentare reati o condotte riprovevoli utilizzando i mezzi fraudolenti come le telecamere nascoste solo quando esista un consolidato interesse sociale alla notizia e quando sussistano elementi probatori inoppugnabili e tali da giustificare la lesione della privacy dei protagonisti.

Nel caso del presunto scoop sulla cosiddetta lobby nera non c’è stato nulla di tutto questo. Sono state carpite confidenze, registrate conversazioni private e il camuffamento del giornalista non ha prodotto le prove di un reato. Poco male, nel senso che il giornalista, se ha fondati sospetti, può utilizzare trucchi e artifici, purchè nel confezionamento del servizio, quindi prima della pubblicazione, selezioni gli elementi di interesse pubblico e li separi da quelli che integrano solo gli estremi di patenti violazioni della privacy. Tutto questo, nel caso di Fanpage, non è avvenuto. Ci sono state ore e ore di registrazione, che non hanno portato a nulla di rilevante e che avrebbero dovuto rimanere riservate. Invece sono finite nel letamaio mediatico, che le ha rilanciate attraverso una voce, quella di Piazzapulita, non nuova a iniziative spericolate e di vero e proprio sciacallaggio come questa.

Per la credibilità del mondo giornalistico diventa allora fondamentale che i consigli di disciplina competenti accendano i riflettori su condotte profondamente anti-deontologiche come queste, anche al fine di rilanciare la battaglia in difesa della professionalità giornalistica, quella rispettosa dei doveri della buona informazione e quindi dei diritti delle persone protagoniste dei fatti narrati.