Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MEDIO ORIENTE

Non c'è pace in Terra Santa, parla il vescovo Khader

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È ancora scontro frontale tra israeliani e palestinesi. Come vivono i cristiani in questo nuovo clima di violenza? Parla Jamal Khader, vicario del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini ad Amman. Per la pace, "Dobbiamo intensificare le nostre azioni per diffondere i valori della vita umana".

Esteri 21_06_2023
Scontri a Jenin

È ancora scontro frontale tra israeliani e palestinesi. Ancora una volta il campo di battaglia è il villaggio di Jenin. Ma anche nella zona di Betlemme si sono verificati degli scontri, dove un giovane palestinese è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco, dopo aver lanciato una molotov contro le truppe israeliane. Una reazione, questa, agli attacchi israeliani contro la popolazione di Jenin e Nablus. L'incidente è avvenuto alla fine di una giornata particolarmente violenta: la mattina di lunedì scorso ha registrato un tragico bilancio: sei palestinesi uccisi e otto soldati israeliani feriti durante gli scontri a Jenin, mentre alla sera altri due soldati sono rimasti feriti in un presunto attacco con speronamento d’auto con due sospetti palestinesi colpiti e feriti. Risultato finale: oltre cento i feriti tra i palestinesi, venti dei quali ricoverati in ospedale in gravissime condizioni. La lista, purtroppo, si allunga. Ieri mattina almeno altri 4 israeliani sono rimasti uccisi in un attacco a colpi d'arma da fuoco avvenuto in una stazione di servizio nelle vicinanze dell'insediamento ebraico di Eli, vicino Nablus, in Cisgiordania. Un terrorista, invece, è stato ucciso da un civile armato.

Il riesplodere delle violenze è dovuto alla decisione del governo Netanyahu di dare il via libera a nuovi insediamenti in Cisgiordania, contestati sia dai palestinesi, che dagli Usa e dalle Nazioni Unite. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, in una dichiarazione ufficiale ha affermato che gli Stati Uniti sono profondamente turbati dalla decisione di Israele di promuovere circa 4.500 unità abitative in Cisgiordania e ha aggiunto: «Queste nuove costruzioni sono un ostacolo alla pace. Chiediamo a Israele di rispettare i suoi obblighi e di fermarsi».  Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, da parte sua, ha esortato Israele a sospendere e annullare quelle che ha descritto come decisioni preoccupanti e allarmanti sull'attività degli insediamenti in Cisgiordania, e che rappresentano un grave ostacolo alla realizzazione della soluzione dei due stati, per una pace giusta, duratura e globale.

Ma in questo clima di tensione e insicurezza come vivono i cristiani della Terra Santa? L’abbiamo chiesto a mons. Jamal Khader, profondo conoscitore della questione palestinese. «Noi cristiani, nonostante le difficoltà nelle quali siamo costretti a vivere quotidianamente, non possiamo e non dobbiamo mai disperare. Cristo è la nostra forza, la vita è più forte della morte e la giustizia è più robusta della menzogna. È questa la nostra fede; è questo il nostro essere discendenti degli apostoli». Oltre ad essere nativo di Zababded, città a quindici chilometri a sud-est di Jenin, è stato decano dell'Università di Betlemme e rettore del seminario patriarcale, prima di essere nominato da papa Francesco vicario del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini ad Amman, in Giordania.

Il vescovo Khader è molto preoccupato per quanto, ancora una volta, sta accadendo nella sua terra. «Purtroppo - dice a La Nuova Bussola Quotidiana - gli abitanti della Terra Santa stanno vivendo un “inverno glaciale”, sono abbandonati da tutti e sono costretti a subire la prepotenza dell'esercito israeliano». 

Eccellenza, partiamo dall'attualità. In Terra Santa, cioè in Palestina e Israele, la situazione è sempre più pesante. 
I palestinesi stanno soffrendo perché sono politicamente deboli, lo è anche l'Autorità Palestinese. Non ha alcuna forza politica e, soprattutto, non ha i mezzi per potersi opporre all'esercito israeliano, quando i soldati entrano, nei territori della Cisgiordania arrestando o uccidendo uomini, donne e bambini.

Molti sono considerati, però, terroristi?
Terroristi... È semplice e scontato dire che i palestinesi siano terroristi. Ce ne saranno, ma quando un popolo vive segregato, in una prigione a cielo aperto, va da sé che qualcuno reagisca in modo violento.

Ma la violenza va combattuta ...
Dice bene. Ma va combattuta da entrambe le parti.

A suo parere siamo di fronte a una svolta peggiorativa delle tensioni?
Mi auguro di no. Lo spero e soprattutto prego che la violenza si fermi. Ma sento che la gente, in particolare i giovani, è pessimista, sfiduciata. È da oltre settantacinque anni che vive con il terrore di non svegliarsi la mattina o di tornare a casa la sera e trovare l’abitazione demolita dalle ruspe dell'esercito.

Dunque, i giovani non hanno più fiducia.
Sono rassegnati e stanchi. Anzi disperati. Non li sto giustificando, ma molti di loro non vedono altra soluzione che entrare in quelle organizzazioni che si oppongono alla politica repressiva israeliana. Vogliono una vita migliore come gli altri giovani, non vogliono passare il resto della loro esistenza senza un futuro, né per loro, né per la loro famiglia.

Dagli Stati Uniti sono arrivate parole di condanna per gli attacchi ai civili e di monito sia al governo israeliano, che all’Autorità Nazionale Palestinese per scongiurare il pericolo che la violenza sfugga di mano.
Dagli Stati Uniti arrivano tante belle parole, ma mai sono seguite dai fatti. La comunità internazionale, se esiste, è completamente assente. Hanno abbandonato la Palestina. Oggi i riflettori politici sono puntati su altri scenari.

I cristiani vivono in mezzo a palestinesi-musulmani e israeliani. Quale il loro ruolo?
Come cristiani non possiamo rassegnarci. Non possiamo mai pensare che non si possa fare nulla per raggiungere la pace. Dobbiamo intensificare le nostre azioni per diffondere i valori della vita umana, della dignità dell'uomo.

In che modo?
Innanzitutto, formando le nuove generazioni. Le scuole del Patriarcato sono frequentate da oltre ventimila alunni, sia cristiani che musulmani. È in questo luogo che dobbiamo inculcare i valori della convivenza e della pace.

Pace! Tutti vogliono la pace. Ma quale pace ci potrà mai essere in Terra Santa?
Se c'è volontà da ambo le parti, si potrà realizzare una convivenza pacifica tra i due popoli. Ma se per pace s’intende occupare tutta la Cisgiordania, oppure, con le angherie, costringere la gente a lasciare la propria terra, la pace non ci potrà mai essere.

La soluzione "due popoli, due stati", potrà mai essere realizzata?
Israele, giorno dopo giorno, occupa i territori palestinesi. I nuovi insediamenti vengono costruiti in modo sparso, e sempre su terra palestinese. Lo scopo è frantumare la Cisgiordania, in modo che, in un futuro, sia impossibile abbandonare quei luoghi.

Dunque?
Oggi si vive di fatto la segregazione: due sistemi di governo, due legislazioni, una per gli israeliani l’altra per i palestinesi.

Si riferisce anche alla numerosa comunità araba che vive in territorio israeliano?
Gli arabi israeliani hanno un "passaporto" israeliano, ma vengono considerati cittadini di second’ordine, e i diritti non coincidono con quelli degli ebrei. Non esiste giustizia per questo popolo!

Che ruolo può avere il Vaticano per portare pace in questa terra?
La Santa Sede è una voce importante nello scenario politico mondiale. Ma per questa terra la sua voce dovrebbe essere più incisiva. Più audace. Qui c'è un popolo che occupa la terra di un altro popolo. Questa è la realtà. Quando si parla di stato ebraico si dimentica, forse volutamente, delle migliaia e migliaia di arabi che ci vivono. Come può, dunque, esserci uno Stato d’Israele che esclude gli arabi?