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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

Stato di diritto

Non c’è dubbio. Il colpevole è Kant

Kant scinde il diritto dalla giustizia, dato che non ammette la finalità di ordine naturale, senza cui viene a mancare anche il giusto. Questo errore è all’origine dell’odierno “Stato di diritto” e delle sue conseguenti storture.

Dottrina sociale 31_10_2024

Quando si esamina il rapporto tra la politica e il diritto, i guai maggiori nascono allorché si pensa che non ci sia diritto dove non c’è Stato, ossia si identifica il diritto con lo Stato. In questo modo si finisce per intendere la società come l’unione di una moltitudine di uomini sotto norme giuridiche, quelle appunto emanate dallo Stato, che diventa quindi il fondamento della convivenza politica. Normalmente questa situazione viene chiamata “Stato di diritto” e con essa si intende che i cittadini sono tali perché lo Stato ha normato la loro esistenza tramite appunto il diritto, sicché essi devono rispettare le leggi perché poste dallo Stato e lo Stato deve rispettare le leggi da sé stesso poste. Non essendoci un diritto precedente a quello statale, i cittadini avrebbero solo diritti se lo Stato non normasse la loro vita con il proprio diritto, per cui questo si riduce ad essere l’insieme delle condizioni per cui l’arbitrio di ogni singolo possa convivere con l’arbitrio degli altri. Lo Stato di diritto è quello che protegge i diritti individuali. Questo è lo Stato borghese liberale e il suo autore è Immanuel Kant.

Francisco Elías de Tejada, difensore del diritto ispanico, denuncia la colpa di Kant in modo inappellabile.  Queste argomentazioni possono essere lette nel suo libro, curato da Giovanni Turco, Filosofia del diritto pubblico. Contributi giusnaturalistici  (Jovene, Napoli 2022). Il testo raccoglie un’antologia di interventi di de Tejada e una ampia Introduzione di Giovanni Turco dal titolo La filosofia del diritto pubblico nel pensiero di Elías de Tejada.

Il colpevole, dunque, è Kant, che scinde il diritto dalla giustizia, dato che non ammette la finalità di ordine naturale, ma solo la legge, mentre senza il fine non c’è nemmeno il giusto, se non in senso formalista e legalista. Lo Stato kantiano deve solo garantire un’uguaglianza tra i cittadini rispetto alla rivendicazione dei loro diritti individuali, in modo che la libertà degli uni non impedisca la libertà degli altri. In questo modo la forma della legge è separata dal contenuto della legge. Lo Stato liberale borghese restringe il giuridico al legale e fonda il legale sulla forza dello Stato.  

De Tejada vede in Kant il distruttore del diritto ispanico, secondo cui il diritto consta di due fattori: la sicurezza nella convivenza e la giustizia del contenuto. Per la dottrina classica delle Spagne, fondata su basi tomiste, non vi è diritto senza giustizia, ossia la conformità dell’uomo alla tavola dei comandamenti imperata da Dio.

Oggi vediamo che lo Stato nega l’esistenza di un diritto anteriore a sé stesso, fa coincidere vigenza e validità della legge, ammette tutti i diritti individuali, anche i più strani, assegnando a sé stesso il compito di farli convivere con quelli di tutti gli altri. Di questo disastro sappiamo chi ringraziare, Kant appunto.

Stefano Fontana