Non basta il rispetto delle leggi, serve la virtù
Un brillante intervento dell'arcivescovo di Milano getta le fondamente e mette i paletti a ogni discorso sulla legalità, che sennò si fa evasivo.
In una lucidissima ed illuminante intervista (la prima da quando è arrivato a Milano), rilasciata domenica ad Avvenire, il cardinale Angelo Scola ha toccato molti e importanti temi, spaziando dalla religione all’educazione, al lavoro, alla politica.
Per quanto riguarda quest’ultimo tema, bisognerebbe in particolare riflettere sulla seguente affermazione di Scola: «Alla vita civica sono necessari atteggiamenti virtuosi. Altrimenti anche il sacrosanto discorso su moralità e legalità si scontra con la strutturale fragilità umana. Occorre tornare alla sostanza virtuosa della vita personale e associata, a uno stile di vita in cui ogni atto sia posto secondo tutta la pienezza di bellezza, bontà e verità che gli è propria». Scola ha perfettamente ragione per diversi motivi, e ci limitiamo di seguito ad enunciarne solo alcuni.
Anzitutto, per agire moralmente bene non basta essere solo provvisti di norme-regole, bensì bisogna essere provvisti anche e soprattutto di virtù, perché i principi giuridici e morali e le regole non funzionano come un pilota automatico. In controtendenza rispetto a buona parte degli autori moderni, dobbiamo cioè notare che, non di rado, per sapere come agire bene non ci basta conoscere una regola. Piuttosto, è necessario compiere una serie di attività: bisogna, talora, dirimere i conflitti che si producono proprio tra le stesse regole; per applicare le stesse regole è necessario sia percepire i particolari salienti di una situazione sia individuare quali atti ricadano sotto di esse; in una situazione pratica devo capire se una norma mi riguarda; devo comprendere, inoltre, quando una norma che mi riguarda vada applicata; bisogna, ancora, che io capisca in che modo devo compiere un atto che una regola mi prescrive. Ora, tutte queste attività (e altre ancora che si potrebbero enumerare) richiedono le virtù, specialmente la virtù della saggezza pratica.
E tali attività, svolte dalle virtù, ha bisogno di compierle, per sapere come agire bene, sia il cittadino sia il politico: né l’uno né l’altro possono far affidamento unicamente sulle regole.
Inoltre, va sottolineato che, anche qualora le regole fossero sufficienti per sapere come agire bene, resterebbe il problema del rispetto delle regole stesse.
Infatti, il contrattualismo moderno e contemporaneo ha intrapreso il compito di reperire le norme della collaborazione interpersonale in vista della pace sociale. Tuttavia le società possono essere davvero giuste, e non il mero risultato del prevalere del più forte, solo se sono virtuose almeno alcune delle persone che le compongono e quanto più sono numerose tali persone virtuose. I soggetti (che siano solo dei cittadini oppure dei politici) non virtuosi non sono affidabili come partner della collaborazione, e sono ancor meno affidabili i soggetti utilitaristi oppure malvagi, perché trasgrediscono le norme se la violazione corrisponde ai loro interessi quando essi possono violare le leggi senza essere puniti.
Del resto, nessun sistema di controllo può essere perfetto, nemmeno se è pervasivo (e dunque molto costoso); anzi, alla lunga, può produrre persino l’aumento delle trasgressioni (come ha evidenziato Bruno Frey e come ho brevemente spiegato in un articolo precedente.
Un sistema poliziesco ha bisogno che i cittadini collaborino con le forze dell’ordine persino quando è pericoloso farlo, e ciò richiede la virtù del coraggio.
Così, il rispetto delle leggi richiede anche atteggiamenti e comportamenti virtuosi, quelli di chi è disposto a rinunciare ai propri interessi anche quando li potrebbe conseguire impunemente, quelli di chi, piuttosto, si prende a cuore il bene comune.
Come dice un passo (a cui ha alluso anche Scola) di Aristotele, dove ci sono le (vere) virtù c’è anche il rispetto delle giuste regole (purché sia un rispetto sensato e non contro lo spirito e lo scopo della legge stessa, cosa che è capace di stabilire la virtù della saggezza): «Sembra, poi, che sia l’amicizia a tenere insieme le città ed i legislatori si preoccupano [si dovrebbero preoccupare] più di lei che della giustizia [vale a dire l'equità, l'efficienza, il rispetto degli obblighi reciproci, ecc.]: infatti […] quando si è amici, non c’è alcun bisogno di giustizia, mentre, quando si è giusti, c’è ancora bisogno di amicizia ed il più alto livello della giustizia si ritiene che consista in un atteggiamento di amicizia».
E come dice la filosofa contemporanea Onora O’Neill, i legami sociali devono essere sempre rigenerati ed irrorati dalle virtù, le quali promuovono la fiducia, la collaborazione, la lealtà, il coinvolgimento, ecc.
Infine, anche se le istituzioni non avessero bisogno di questo sostegno che viene dall’esercizio delle virtù, resterebbe pur sempre vero che esse non possono venir incontro a tutte le forme della vulnerabilità e della finitezza dell’uomo, che solo le virtù mediante cui si realizza la sollecitudine sono in grado di mitigare. «L’amore […] sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. […] ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente - ogni uomo - ha bisogno: l’amorevole dedizione personale» (Benedetto XVI, Deus Charitas est, § 28).