L'EDITORIALE
Nomine e riforme: l'Italia degli autogol
Il braccio di ferro su Bankitalia è l'ennesimo esempio di come l'Italia sia insuperabile nel farsi male da sola. La crisi può essere un'opportunità per le riforme, ma la stiamo perdendo.
Editoriali
30_09_2011
Ci sono scelte politiche che dimostrano come l’Italia sia ormai insuperabile nel farsi del male da sola. L’ultimo caso è quello della nomina del nuovo Governatore della Banca d’Italia dopo la designazione di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea. Il passaggio delle consegne dovrà avvenire il primo novembre, ma in un paese normale scelte di questo tipo si fanno con largo anticipo in modo da garantire la massima continuità operativa e in modo da evitare che lotte di Palazzo e conflitti politici possano condizionare le decisioni. Invece l’Italia rischia di arrivare all’appuntamento, se va bene, solo negli ultimi giorni utili.
La procedura per la nomina è solo in apparenza complessa: la designazione avviene con decreto del presidente della Repubblica su indicazione del presidente del Consiglio previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia. In pratica una indicazione chiara ed autorevole del premier che tenga conto delle indicazioni della Banca potrebbe far superare facilmente tutti questi passi.
In un momento come questo di forti turbolenze finanziarie, di crescita dei tassi di interesse chiesti dai mercato per la sottoscrizione dei titoli italiani, di tensioni sulla moneta unica europea per i forti aumenti dei debiti degli Stati, ci sarebbe bisogno come l’ossigeno di istituzioni finanziarie autorevoli, credibili, capaci di operare con un ampio consenso politico e sociale pur nella necessaria autonomia di gestione.
Appare in questa prospettiva del tutto fuori luogo la polemica che ha visto contrapposte, loro malgrado, due figure entrambe di alta competenza e prestigio: da una parte Fabrizio Saccomanni, attuale vice di Draghi e con il quale quindi si attuerebbe una successione del tutto naturale, e dall’altra Vittorio Grilli, direttore generale del ministero dell’Economia e che proprio nel ministro Giulio Tremonti ha il suo più importante sostenitore. Saccomanni è la prima scelta anche di Berlusconi, una scelta sicuramente gradita al capo dello Stato e che riscuoterebbe il consenso anche dal Consiglio della Banca d’Italia. Tremonti tuttavia, con il sostegno esplicito della Lega, pare abbia posto quasi una questione di fiducia perché ritiene indispensabile avere a Via Nazionale (la sede di Banca d’Italia) una persona vicina non tanto al Governo quanto alla propria politica.
Bisogna dire che da un punto di vista personale, professionale, culturale, le due personalità hanno entrambe le carte ampiamente in regola per ricoprire l’incarico di Governatore. Saccomanni per la lunga esperienza nella banca centrale, Grilli per le competenze tecniche acquisite in una lunga carriera all’interno delle istituzioni. Peraltro la provenienza dal ministero non è certo un limite: basti pensare che lo stesso Draghi negli anni ’90 aveva ricoperto lo stesso incarico. Ma di fronte a scelte di questo tipo sarebbe meglio evitare, come spesso invece capita, di dover dire alla fine: si è scelta la persona migliore nel modo peggiore.
Per l’Italia in questa fase, proprio per le polemiche che sconvolgono la politica, appare fondamentale la credibilità e la dignità delle istituzioni. E una nomina in Banca d’Italia frutto di equilibrismi politici e di esplicite contese personali sarebbe il peggior viatico per chi deve avere un ruolo di garante della moneta e del sistema bancario. Senza dimenticare che nei prossimi mesi sarà fondamentale il ruolo della Banca d’Italia, un ruolo che dovrà essere svolto in stretto collegamento con la Banca centrale europea. Nelle ultime settimane infatti solo gli interventi sul mercato della Bce, che ha acquistato titoli italiani per parecchi miliardi di euro, hanno mantenuto la situazione finanziaria sotto controllo. Ma nello stesso tempo questi interventi hanno dimostrato come la situazione fosse terribilmente fragile per i ritardi italiani nel mettere seriamente sotto controllo i conti pubblici.
Ma tant’è. Di fronte alla crisi economico-finanziaria il Governo e il Parlamento sembrano occuparsi d’altro rispetto alle riforme altrettanto necessarie quanto difficili perché toccano comunque interessi consolidati e privilegi diffusi. Eppure proprio questa crisi potrebbe essere una grande opportunità per rendere più leggero ed efficiente il ruolo dello Stato.