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MEDITERRANEO

Noi non aiutiamo i laici libici? Ci pensa la Russia

L’Italia e l’Occidente perdono tempo e non premono sulle Nazioni Unite per l’abrogazione dell’embargo sulle armi alla Libia e il governo laico di Tobruk, guidato da Abdullah al-Thani, guarda alla Russia. A Mosca si dice disposto a "collaborare con chiunque, anche con il diavolo" per combattere contro gli jihadisti. 

Esteri 18_04_2015
Al Thani

L’Italia e l’Occidente perdono tempo e non premono sulle Nazioni Unite per l’abrogazione dell’embargo sulle armi alla Libia e il governo laico di Tobruk, guidato da Abdullah al-Thani, guarda alla Russia e alla Cina.

Impegnato a combattere i jihadisti dello Stato Islamico e le milizie islamiche (Fratelli Musulmani e salafiti) del Fronte Alba della Libia che controlla Tripoli, il premier al-Thani, in visita a Mosca, ha dichiarato di essere pronto a "collaborare con chiunque, anche con il diavolo," pur di avere forze di sicurezza efficaci.

"Noi chiediamo all'Occidente di sostenere il nostro governo legittimo, chiediamo assistenza nell'addestramento del personale militare e della polizia. Se non dovessimo ottenere tale sostegno, siamo pronti a collaborare con chiunque, anche con il diavolo, per raggiungere tali obiettivi - ha detto Thani all'agenzia di stampa Interfax per poi accusare ai microfoni di Russia Today soprattutto il Regno Unito di sostenere il mantenimento dell’embargo.

“Abbiamo bisogno di armi e se l'Occidente ci abbandona abbiamo il diritto di fare qualsiasi cosa in nostro potere per garantirci una vita dignitosa; cercheremo di ottenere le armi in qualche altro modo". Già ieri, chiedendo il sostegno di Mosca per la revoca dell'embargo, al-Thani aveva sottolineando come la Libia sia oggi "fortemente dipendente" da russi e cinesi per poter contrastare il terrorismo. I libici possono farcela, ha dichiarato, ma hanno bisogno del sostegno di "Paesi amici" come la Russia per armare l'esercito e fornire sostegno di intelligence. Al-Thani ha concluso ieri una visita di tre giorni a Mosca, accompagnato dal viceministro per gli Affari di sicurezza, Almahdi Allabad, dal ministro degli Esteri, Mohamed Dairi, e dal ministro della Difesa Masoud Erhouma.

Secondo l'ufficio di Beida dell'agenzia di stampa libica LANA, i colloqui di questi giorni puntano a rilanciare i rapporti bilaterali con l'obiettivo di concludere un accordo di cooperazione militare e tecnico. Al-Thani non ha fatto mistero di voler riattivare "molti" degli accordi siglati con Mosca dal regime di Muammar Gheddafi, tra cui molti di carattere militare. Questione già sollevata lo scorso febbraio durante la visita al Cairo del presidente russo Vladimir Putin, quando si recò nella capitale egiziana anche il capo di Stato maggiore dell'esercito libico, il generale Abdulrazek al Nadoori. Il portavoce di Nadoori, Ahmed al Mismari, ammise allora che "armare l'esercito libico è stata una delle questioni discusse dai presidenti egiziano e russo al Cairo", ricordando che la Libia ha "contratti per forniture belliche russe del valore di decine di miliardi di dollari, datati prima della rivoluzione del 17 febbraio 2011, che, se applicati, porterebbero a una rapida vittoria dell'esercito libico. Da sempre gli armamenti dell'esercito libico arrivano da Est, dalla Russia, e abbiamo la conoscenza militare e tecnica per usare immediatamente queste armi" aveva aggiunto.

Supporto e forniture militari russe alla Libia potrebbero venire pagate dall’Arabia Saudita o dagli  Emirati Arabi Uniti che già sovvenzionano il riarmo egiziano o potrebbero venire saldate dallo stesso governo di Tobruk con petrolio o con cessioni di sfruttamento alle società russe degli immensi giacimenti della Cirenaica meridionale. Il disinteresse dell’Occidente per la lotta all’islamismo in Libia rischia quindi di consentire a Mosca di mettere le mani sul Paese in termini di commesse e concessioni energetiche. Uno sviluppo che suonerebbe come una beffa per l’Italia e per quei Paesi occidentali che si mobilitarono nel 2011 per far cadere il regime di Gheddafi e mettere le mani sulla Libia.

A fine febbraio,  la Libia, appoggiata dall'Egitto, ha chiesto senza risultato al Consiglio di Sicurezza Onu di revocare l'embargo in vigore dal  2011, che vieta di fornire armi e  munizioni alla Libia. Finora gli occidentali hanno risposto con riluttanza, in attesa di una "soluzione politica" al caos che regna nel Paese, e dell’esito dei negoziati patrocinati dall’Onu. Proprio in questi giorni sono ripresi in Marocco i negoziati tra le due parti, mediati dall'inviato Onu per la Libia, Bernardino Leon, con l'obiettivo di arrivare a un governo di unità nazionale capace di riportare stabilità nel paese e fronteggiare la minaccia terroristica posta dai jihadisti dello Stato islamico attivi nell'Est libico.

"I Paesi occidentali devono assumersi la responsabilità del caos in Libia", ha denunciato al-Thani da Mosca. Da parte sua, il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha sottolineato che i colloqui in corso si stanno concentrando "sul modo migliore per tornare all'integrità territoriale" del Paese.

Armi continuano comunque a entrarne, fornite dall’Egitto alle forze del generale Khalifa Haftar fedele al governo di Tobruk e dal Qatar agli islamisti di “Alba della Libia”. Si tratta di armi ed equipaggiamenti abbastanza sofisticati (missili, visori notturni, apparati radar ed elettronici) mentre per quanto riguarda le armi più rudimentali o portatili la Libia continua ad essere un esportatore clandestino grazie al saccheggio dei grandi depositi un tempo appartenenti all’esercito di Gheddafi e che oggi alimentano gruppi qaedisti e milizia in tutto il Nord Africa e Sahel.

La settimana scorsa, la stampa araba ha rivelato che l’Italia punta al sostegno dei Paesi confinanti con la Libia per dare vita a un’opzione militare contro le organizzazioni estremiste nel Paese nordafricano. Lo ha riportato un editoriale del 9 aprile sul quotidiano libico al-Arab, citando fonti diplomatiche egiziane all’indomani dell’incontro trilaterale a livello di ministri tra Italia, Egitto e Algeria a Roma sulla crisi libica e la lotta al terrorismo. Il governo italiano, riporta il quotidiano panarabo pubblicato a Londra, ritiene che gli estremisti in Libia "siano diventati una minaccia per la sicurezza e gli interessi di Roma". Le fonti hanno inoltre sottolineato che “l’Italia sta studiando seriamente di passare alla fase dell’intervento militare” ma tale mossa richiederebbe il sostegno sia arabo sia europeo. Una prova delle intenzioni di Roma sarebbe l’operazione della Marina militare italiana “Mare Aperto”, sottolinea il quotidiano e considerato vicino al governo di Tobruk.

Al-Arab ha ricordato che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ventilato di nuovo l’ipotesi di un intervento militare contro i terroristi in Libia nel corso di un’intervista al Corriere della Sera alla vigilia dell’incontro con il suo omologo egiziano Sameh al-Shoukry e con il ministro algerino per gli Affari maghrebini Abdelkader Messahel. Gentiloni ha poi corretto il tiro, escludendo un intervento italiano, che ha però ipotizzato nuovamente in un’altra più recente intervista.