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LA VISITA ALLA CAMERA ARDENTE

«Noi, la sua famiglia», il popolo di Caffarra in una Bologna distratta

Una camera ardente familiare e intima, mentre fuori, i portici bolognesi "scoppiano" distratti di vita e apertiviti. La Bologna che ha saltuato Caffarra: un popolo di contadini e donne con la borsa della spesa che con orgoglio si sono sentiti la sua famiglia. Perché per loro è stato un padre, che ha offerto nella sofferenza di questi tempi la sua stessa esistenza. 

Ecclesia 10_09_2017

Lo scirocco agita il grande drappo viola appeso al quale il grande crocifisso sovrastava la piccola bara del cardinal Carlo Caffara. Una bara di legno scuro e lucido, mogano, avanza qualcuno. Soffia da una delle finestre della sala dei cardinali che sono rimaste aperte lungo tutta la giornata. Il composto corteo di saluto al cardinale, in una camera ardente famigliare, che non ha conosciuto in questi giorni le lunghe file dei morti eccellenti dove anche il cordoglio è regolato dai tempi, dai ritmi e dai codici istituzionali.

Tutto è apparso tremendamente famigliare, perché famiglia è stata la parola con la quale Caffarra ha letto e proposto nel corso della sua vita un cristianesimo vissuto prima di tutto nella sua dimensione eucaristica e sponsale. Famigliare perché in fondo neppure gli austeri busti di marmo che precedono la sala incutono soggezione. Sono i predecessori di Caffarra nella carica ad Arcivescovo di Bologna e danno il benvenuto ai fedeli che in questi giorni hanno fatto visita al loro arcivescovo. A guardarli così freddi e consueti veniva da chiedersi: «Chissà se un giorno ci sarà anche il suo, di busti».

Ma dentro l’atmosfera è raccolta, le sedie sul pavimento veneziano per fermarsi a pregare davanti alla salma. Una donna entra con la borsa della spesa. E’ trafelata come quando si scende dall’autobus sotto la pioggia, appoggia le sporte, si avvicina alla bara di mogano, si rannicchia con un gesto affettuoso delle braccia. Poi riprende le borse e con esse la sua vita. Un contadino si aggira impacciato e timido, perché ai nuovi arrivati che entrano, tocca la strana sensazione di sentirsi in un recinto sacro dove altri stanno vegliando prima di te qualcuno di caro, proprio come nel tinello di casa allestito per vegliare il parente defunto.

Sembra quasi chiedere permesso, poi si siede e diventa parte di questo recinto sacro. Lo diventa di diritto. Perché in fondo Caffarra era il padre di tutti. Che sia un contadino lo si capisce dalle mani ruvide e tozze e abbronzate sotto il sole torrido dell’estate. Un sacerdote in talare entra e si siede accanto a lui, sgrana il Rosario, sembra uno di quelli che qua chiamano “un furesteer”, un non bolognese. Viene da lontano, si avvicina al contadino e chiede con educazione: «Ci sono i famigliari, qui?». Il contadino alza lo sguardo, e dà un’occhiata al nipote del cardinale seduto di fronte a lui, con il vestito scuro a lutto e il volto rabbuiato. Ma prima di indicarglielo esclama: «Siamo noi i suoi famigliari», con quella “S” rotonda e strascicata che solo sotto le due torri acquista un piglio così stentoreo.

Perché il cardinale è stato il padre nella fede riconosciuto da questo contadino, ma anche della donna con la borsa della spesa e di quella che arriva subito dopo, una signora sulla sessantina con una sahariana e la borsa da insegnante universitaria. Dal taglio di capelli né lungo né corto e piuttosto anonimo, avresti detto che era appena uscita dalla vicina via Zamboni dove spesso lo scirocco è ancora più forte perché si incanala da porta San Vitale. 

Come si fa a dire che Caffarra è stato un rigorista nemico sempre di qualcosa? Per Repubblica dei matrimoni gay, per il Corriere, del Papa, comunque un nemico sempre di qualcosa. Chi ha fatto visita alla sua salma ha pianto un padre. Con quale coraggio si vede in un padre un nemico? sembrano dire con il loro gemito educato e sommesso queste persone che così difficilmente sui giornali acquistano la dignità di popolo, ma che sono il vero, unico e originale popolo bolognese che ha visto in Caffarra un uomo di Dio, che ha amato e servito la Chiesa e che per la Chiesa è morto.

Di questo ne sono convinti in tanti, cioè che per amore della Sposa, abbia voluto essere coerente con la sua dignità di cardinale pronto a versare il sangue per la fedeltà al Papa e alla Chiesa abbia offerto così intensamente la sua vita in riparazione degli oltraggi e dei gravi turbamenti che sta attraversando. E chissà se di questo ne aveva parlato con la depositaria del mistero della mortificazione per la salvezza della Chiesa, quella Suor Lucia, che nell’annunciargli che lo scontro finale tra Dio e il Diavolo avverrà sulla famiglia, consentì al Cardinale di capire e agire.

Chi non si rifà a quell’incontro che lui ricordava sempre con fretta e trasporto, non può capire perché Caffarra si sia fisicamente consumato di amore per la Chiesa. Anche nel dolore e nello scherno di sentirsi improvvisamente additato allo ludibrio sconcio di tanti guardiani della rivoluzione. I quali, infatti, non sono stati visti in questi giorni sotto il grande drappo viola agitato dallo scirocco.

Fuori, nel frattempo, scoppia il mondo. In via Indipendenza, locali alla moda allestiscono aperitivi luccicanti e festaioli che distraggono e allettano. Grandi vassoi di tartine e bollicine per il venerdì sera che sta per iniziare; dentro, in quella piccola sala approntata con parsimonia, un cuore pulsante di preghiera come un piccolo seme pronto presto a dare frutto, nel nascondimento, ma portato a volo da un lucido scirocco, per arrivare a guardare «dietro la faccia abusata delle cose e dietro allo specchio segreto d’ogni viso».