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METROPOL

Niente rubli alla Lega. Dopo il fango, c'è l'archiviazione

La procura di Milano ha chiesto l'archiviazione dell'indagine su presunte tangenti russe alla Lega. Sul sospetto di una compravendita di petrolio per 3 milioni di euro si è basata la campagna anti-leghista per anni. Adesso si scopre che non ci sono elementi di reato. E che gli unici a prendere rubli da Mosca, a suo tempo, furono i comunisti.

Politica 18_01_2023
Matteo Salvini

Nel maggio 2019 le elezioni europee confermarono la supremazia delle forze europeiste. Più o meno in tutti gli Stati prevalsero nelle urne i partiti che si erano battuti per il rafforzamento dell’Unione a trazione franco-tedesca. In Italia, però, si registrò un vero e proprio exploit della Lega di Salvini, considerata una forza populista e sovranista. Da quel momento, chissà perché, è partita un’offensiva giudiziaria e mediatica internazionale contro quel partito.

In Italia, per quattro anni, Pd e grillini hanno fatto la guerra a Matteo Salvini, accusandolo di avere rapporti d’affari in Russia e complicità con il mondo putiniano. La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta su presunti fondi neri finiti nelle casse della Lega e derivanti dalla compravendita di petrolio. In altri termini, il Capitano avrebbe beneficiato di aiuti in rubli perché Putin e i suoi avevano interesse a far crescere quella forza politica. Un episodio in particolare aveva attratto l’attenzione di chi indagava: una presunta cricca di sei persone, tre italiani e tre russi, a un tavolino dell’Hotel Metropol, a Mosca, il 18 ottobre 2018, avrebbe trattato un gigantesco affare petrolifero per finanziare illecitamente il Carroccio.

Due giorni fa, però, la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione dell’accusa di corruzione internazionale per tutti. Nel febbraio 2019, a tre mesi dal voto europeo, era uscito il Libro nero della Lega. A partire dai contenuti di quel volume, il settimanale L’Espresso aveva rilanciato le accuse anti-leghiste con due articoli: «Quei 3 milioni russi per Matteo Salvini: ecco l'inchiesta che fa tremare la Lega» e «La lunga trattativa di mister Lega». Ma evidentemente il tentativo di screditare quel partito in vista dell’appuntamento con le urne non aveva sortito gli effetti sperati. I racconti di quell’incontro al Metropol, al quanto fantasiosi e costruiti su congetture prive di riscontri, puntavano a disegnare intrecci suggestivi spacciandoli per reati. Il peggio del giornalismo d’inchiesta, insomma. Secondo l'accusa, emissari della Lega, in particolare nella seconda metà del 2018, avrebbero cercato di concludere accordi commerciali riguardanti il petrolio con fornitori russi, al fine di far affluire ingenti somme di denaro nelle casse della Lega, in vista delle elezioni del 2019.

Di qui l’insistito accanimento nei confronti di Salvini e dei suoi, con il prolungamento delle indagini, che però non sono approdate a nulla. Le registrazioni audio e gli altri elementi raccolti non avrebbero condotto gli inquirenti a grandi conclusioni, non essendo emersi elementi concreti di una partecipazione del segretario della Lega a quella ipotetica negoziazione e risultando vago il contenuto di quell’incontro al Metropol.

Intanto, però, per anni i titoloni dei giornali italiani più importanti hanno spiattellato ai quattro venti una realtà che non esisteva, infangando i nomi dei protagonisti e macchiando l’immagine della Lega, considerata al soldo di Putin e dunque priva di autonomia politica. Per indebolire il Carroccio e la sua presenza nel Governo Conte 1, fu orchestrata una campagna mediatica violentissima, ma il partito di Salvini aveva già prosciugato o quasi il serbatoio dei voti dei 5 Stelle, drenando il 17% del bottino conseguito da Di Maio e soci alle elezioni politiche del marzo 2018. Ci voleva, quindi, qualcosa di ancora più radicale. Di qui le pesanti insinuazioni sui rapporti tra i vertici leghisti e il regime di Putin, riemerse anche all’indomani dello scoppio, un anno fa, del conflitto russo-ucraino.

Ora che tutto sta per essere archiviato, rimane il fango mediatico, emerge ancora una volta la giustizia usata come arma di lotta politica per delegittimare l’avversario politico. Certa informazione è stata di fatto il braccio armato di questa strategia. Che fosse qualcosa di voluto non è dato saperlo, ma è chiaro che il danno d’immagine per la Lega e il suo leader è stato innegabile e ora si scopre che la narrazione di quei fatti è anche sganciata da qualsiasi elemento di reato.

Ancora una volta viene da chiedersi chi pagherà per queste aggressioni mediatico-giudiziarie, che interferiscono ciclicamente con la quotidiana dialettica politica. Soprattutto, il pensiero corre a tutti i finanziamenti che per decenni sono affluiti nelle casse del Partito Comunista Italiano e che provenivano dall’Unione Sovietica. In Italia un partito che ha gestito il potere in una dimensione consociativa con i partiti del vecchio pentapartito invocava spudoratamente una sorta di diversità morale poi smentita sonoramente dai fatti e, sottobanco, prendeva soldi dai nemici dell’Occidente. Con Tangentopoli quel partito, risparmiato dalle inchieste di Mani Pulite, ha tentato di conquistare il potere, speculando sulle macerie della Democrazia Cristiana e delle altre forze filo-occidentali. Ecco perché, se la sinistra si indigna per i presunti finanziamenti russi alla Lega e pretende abiure dai post-fascisti, forse sarebbe il caso di ricordare agli italiani chi per primo attingeva ossigeno vitale alle sorgenti di Mosca, quando c’era la guerra fredda e l’Urss era nemico dichiarato del nostro Paese.