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ORA DI DOTTRINA / 46 - IL SUPPLEMENTO

Newman, l'amore per la Chiesa anglicana e la crisi della Via Media

Arriva il tempo in cui Newman comprende che la Via Media aveva un difetto di costruzione strutturale. Non si trattava di mettere in discussione il principio dogmatico e quello sacramentale, ma di cercare di capire dove si trovava effettivamente questa Chiesa dei Padri. Ancora Newman non riusciva a liberarsi dall’idea di una Chiesa di Roma idolatra, ma capiva che la prospettiva che l’anglicanesimo potesse incarnare la vera Chiesa non era più percorribile.

Catechismo 20_11_2022

Gli anni del Movimento di Oxford, per esplicita ammissione di Newman, furono anni di prosperità: «Nella primavera del 1839 il mio successo nella Chiesa anglicana era al culmine. Avevo una grandissima fiducia nella mia posizione, ed incontravo un successo grande ed ancora in aumento nel diffonderla», scriveva nel terzo capitolo dell’Apologia. Eppure, proprio in questi anni di successo, iniziava ad affacciarsi alla sua mente che la Via Media non era così granitica come gli era parsa all’inizio.

Quali erano i suoi tre pilastri? La convinzione di un cristianesimo dogmatico, che riposa cioè sulla verità così come Dio l’ha rivelata; il principio sacramentale; l’affermazione dell’idolatria e della superstizione della Chiesa di Roma. Erano questi i punti fermi che avrebbero dovuto dar vita ad una nuova chiesa inglese, una chiesa che avrebbe dovuto riappropriarsi della Chiesa antica ed abbandonare le derive del protestantesimo. Eppure, più si gettava a capofitto nell’antichità cristiana e più Newman non era così sicuro che la chiesa anglicana avesse le caratteristiche per proporsi come prosecutrice della Chiesa dei primi secoli. «La mia roccaforte era l’antichità; ora, in pieno quinto secolo io trovavo […] rispecchiata la cristianità del secolo sedicesimo e del diciannovesimo. In quello specchio vidi il mio volto, ed io ero un monofisita. La Chiesa della Via Media era nella posizione di quella orientale, Roma era allo stesso posto di ora; i protestanti erano gli eutichiani».

Il monofisismo era un’eresia cristologica del V secolo, che affermava la sola natura divina di Gesù Cristo; venne dapprima accolta dal conciliabolo di Efeso (449), durante il quale fu presente la figura storica più significativa, legata al monofisismo, quella dell’archimandrita di Costantinopoli, Eutiche, e poi condannata dal Concilio ecumenico di Calcedonia (451), grazie all’intervento decisivo di papa san Leone Magno. Le decisioni di questo concilio provocarono lo scisma delle chiese d’Egitto, di Siria e di Armenia, le quali adottarono invece la posizione miafisita, che sostiene un’unica natura in Cristo, al contempo umana e divina. La posizione miafisita cercava di mediare tra il monofisismo, che affermava l’unica natura divina, e il difisismo, proclamato nel Concilio calcedonese e esposto nel Tomus ad Flavianum di Leone Magno, sostenendo che due nature distinte non erano possibili in un’unica persona, e che perciò nell’unica persona di Cristo c’era un’unica natura, frutto dell’unione di quella divina e di quella umana.

Questo il riferimento storico. Ma cosa voleva dire Newman quando identificava il suo volto con quello dei monofisiti? Di sicuro, non era questione di adesione a quella dottrina: Newman aveva molto chiara la verità sul mistero delle due nature nell’unica persona del Figlio. Eppure in lui diventava sempre più netta la convinzione che se eutichiani e monofisiti erano eretici, allora lo erano anche protestanti ed anglicani; così come «era difficile trovare contro i padri di Trento argomenti che non valessero anche contro i padri di Calcedonia; difficile condannare i papi del sedicesimo secolo, senza condannare quelli del quinto».

Un ulteriore cuneo si inseriva con forza nella costruzione della Via Media. Un amico gli mise in mano  l’ultimo numero di The Dublin Review, periodico cattolico fondato da Nicholas Wiseman, Michael Joseph Quin e Daniel O'Connell, nel quale lo stesso Wiseman aveva dedicato un articolo alla crisi donatista, paragonando quest’ultima chiesa scismatica alla chiesa anglicana. Newman si era reso conto che, sotto certi punti di vista, il parallelo era un po’ forzato, ma era rimasto nondimeno colpito da una citazione di sant’Agostino: Securus judicat orbis terrarum - il mondo intero giudica in modo sicuro (Contro la lettera di Parmeniano, III, 4. 24). Il consenso della Chiesa, inteso in senso diacronico e sincronico, è criterio sicuro per giudicare insegnamenti e pratiche di nuova introduzione. Il vescovo di Ippona si era avvalso di questo criterio per condannare la pratica donatista di ribattezzare e riordinare; Newman ne presentiva tutta la portata per la situazione a lui contemporanea. Queste parole «decidevano le questioni ecclesiastiche sulla base di una norma più semplice di quella dell’antichità». Non è questione di applicare il principio democratico della maggioranza, né di un consenso momentaneo, magari estorto con l’inganno della propaganda o la minaccia di fastidiose conseguenze. Newman sapeva bene che la massa può «oscillare nella propria capacità di giudizio»; così come sapeva che, durante la terribile crisi ariana, la gran parte delle sedi vescovili si erano «piegate davanti alla sua furia, staccandosi da sant’Atanasio». Quella frase indicava che «il risoluto giudizio al quale alfine la Chiesa tutta dà il suo tacito consenso, è un decreto infallibile ed una sentenza inappellabile contro quelle sue parti che protestano e si separano», fossero anche parti copiose o numericamente maggioritarie. E da questo giudizio, sia esso recente o remoto, non è lecito staccarsi. E’ il principio di tradizione, il principio che obbliga ad osservare quanto la Chiesa ha insegnato nel suo Magistero ordinario e universale, e non solo in quello straordinario, appunto per il principio che la Chiesa, nel suo insieme, in modo stabile e concorde, non può errare. La Chiesa può passare – e storicamente ha passato – crisi tali che l’errore veniva accolto e propagato dalla maggioranza dei pastori e/o dei fedeli; la ragione di ciò sta nel fatto che, spiega Newman, sempre gli eretici sono «sfuggenti, mutevoli, riservati ed infidi, sempre pronti a corteggiare il potere civile e mai d’accordo tra di loro se non grazie al suo aiuto». Dunque ci può essere un momento storico nel quale sembra che l’errore sia la posizione dell’orbis terrarum. Ma anche nella crisi c’è sufficiente luce per giudicare dell’armonia di una pratica o di un insegnamento con la tradizione della Chiesa; perché mai la Chiesa può contraddirsi de fide et moribus. Ed alla fine, dopo dispute e reciproci anatemi, la Chiesa universale emerge nel suo giudizio certo e vincolante.

Ritenere che la Chiesa universale, dal Concilio di Trento in poi, abbia errato, significa mettersi dalla parte dei donatisti, degli eutichiani, dei miafisti. Newman se ne rendeva conto. La Via Media iniziava così a mostrare un difetto di costruzione strutturale: la chiesa anglicana, nemmeno grazie al restyling auspicato dal Movimento di Oxford, poteva rivendicare la comunione nella fede, nella vita sacramentale e nel governo con la Chiesa universale, la comunione dei vescovi locali d’Inghilterra nell’unica Chiesa. La chiesa anglicana restava sempre e comunque una chiesa particolare, atomizzata; e la Chiesa antica, così sinceramente amata e seguita da Newman, condannava questa atomizzazione. Non si trattava di mettere in discussione il principio dogmatico e quello sacramentale, ma di cercare di capire dove si trovava effettivamente questa Chiesa dei Padri. Ancora Newman non riusciva a liberarsi dall’idea di una Chiesa di Roma idolatra, ma capiva che la prospettiva che l’anglicanesimo potesse incarnare la vera Chiesa non era più percorribile.