Nessuno vuole rispettare la tregua in Siria
In teoria, da giovedì, tutte le armi dovranno tacere in Siria. Ma nessuno ha intenzione di rispettare la promessa. Perché, proprio gli ultimi sviluppi sul terreno, fanno sì che ognuno degli eserciti sul campo ritenga di essere sul punto di vincere (come nel caso dei regolari) o costretto a resistere (ribelli) o a reagire (curdi).
Dovrebbe entrare in vigore entro giovedì la tregua nel conflitto siriano concordata da russi e statunitensi ma che nessuno dei protagonisti del conflitto sembra avere intenzione di concretizzare.
Non la vasta galassia dei movimenti che combattono il regime di Bashar Assad che hanno annunciato la prosecuzione dei combattimenti benché l’intento di Washington fosse proprio quello di aiutarli nel momento più difficile del conflitto, specie sul fronte di Aleppo dove i ribelli sono circondati dalle truppe di Damasco.
Appare evidente che Washington puntasse sulla tregua per dare respiro ai ribelli sostenuti da occidentali e arabi che rischiano di venire spazzati via dal Nord della Siria. Mosca ha certo intuito l’obiettivo degli statunitensi ma sostenere un cessate il fuoco per aiutare la popolazione coinvolta negli scontri può giovare all’immagine della Russia, accusata da più parti (ma solo dagli sponsor dei nemici di Assad) di colpire indiscriminatamente i civili. Accuse rinnovate anche ieri dopo che sono stati colpiti due ospedali, uno dei quali sostenuto da Medici senza frontiere, nel nord della Siria: almeno una ventina i morti anche se non è chiaro chi abbia la responsabilità del bombardamento.
Neppure il regime di Damasco sembra avere intenzione di fermare le sue armate che con l’appoggio dei velivoli russi e delle truppe offerte dall’Iran, dagli hezbollah libanesi e dall’internazionale scita stanno avanzando su tutti i fronti: nel nord tra Aleppo e il confine turco nel sud lungo il confine giordano verso il valico di frontiera di Daraa. Attacchi che seguono un piano ben preciso teso a riprendere il controllo dei confini con quei vicini (Turchia e Giordania) che forniscono aiuti ai ribelli. Assad ha detto che l’offensiva si fermerà solo quando tutto il territorio nazionale sarà riconquistato, pur ammettendo che “ci vorrà tempo”.
Neppure la Coalizione a guida statunitense contro lo Stato Islamico, sospenderà le ostilità e il Pentagono ha precisato che i gruppi terroristici dell’Isis e dei qaedisti del Fronte al-Nusra sono esclusi dal cessate il fuoco e contro di loro le operazioni continueranno. Tenuto conto che i due movimenti controllano oltre un terzo del territorio siriano e le milizie affiliate ad al-Nusra costituiscono una parte rilevante dell’intera opposizione armata siriana è chiaro che la tregua non ha speranze di concretizzarsi. Ieri anche Mosca ha fatto sapere che continuerà comunque a colpire . "Stiamo combattendo contro gruppi terroristici: l'Isis, Jabhat al-Nusra e altre sigle legate ad al-Qaeda. I raid aerei contro gli obiettivi legati ai terroristi continueranno in ogni caso, anche se si raggiungerà un accordo sul cessate il fuoco in Siria" ha detto il viceministro degli Esteri russo Gennady Gatilov in un'intervista al Der Spiegel.
Inoltre ai protagonisti del conflitto presenti sui campi di battaglia sembrano volersi aggiungere sauditi e turchi che minacciano un intervento con forze terrestri ufficialmente contro l’Isis ma che in realtà mirerebbe a fermare l’offensiva degli uomini di Assad. Da quattro giorni i curdi siriani, sacrificati da Washington nel nome dell’alleanza con Ankara e oggi appoggiati e addestrati dai russi per combattere al fianco delle truppe di Damasco, lamentano i massicci bombardamenti effettuati dall’artiglieria turca contro le loro postazioni a nord di Aleppo.
Le forze di autodifesa curde (Ypg) hanno conseguito importanti successi su quel fronte strappando allo Stato Islamico il controllo della base aerea di Minagh, bombardata poi dai turchi che mai l’avevano colpita nei due anni in cui era stata nelle mai dei jihadisti. Un “dettaglio” che fa ben capire chi siano i veri alleati dell’Isis in questo conflitto. Ad Ankara lo sviluppo delle operazioni sul campo di battaglia sta determinando reazioni decisamente sopra le righe. Il premier Ahmet Davutoglu ha detto che "il regime siriano, la Russia che lo sostiene e “organizzazioni terroristiche”, in particolare le milizie curdo-siriane, stanno commettendo molti crimini contro l'umanità oggi in Siria”.
Davutoglu ha poi aggiunto che la Turchia non lascerà che Azaz, cittadina siriana prossima al confine turco, cada nelle mani delle forze curde. Il portavoce di Jaish al-Thuwar, gruppo alleato dei curdi, ha detto ad al-Jazeera che l’obiettivo è di "riprendere il controllo dei territori in mano all'Isis. La Turchia vuole che ci ritiriamo, ma questo non accadrà, noi stiamo avanzando".
Ankara e Washington hanno accusato nei giorni scorsi Mosca e Damasco di attaccare solo i gruppi ribelli anti Assad e non lo Stato Islamico. I curdi intendono vendicare l’assedio di Kobane e la distruzione di molti villaggi attuata l’anno scorso dall’Isis ma anche le forze regolari siriane stanno avvicinandosi a Raqqah, capitale del Califfato e "hanno conquistato delle alture strategiche nell'ovest della regione" come riferiscono fonti militari di Damasco citate dai media russi. I militari si trovano attualmente a circa 35 chilometri dall'aeroporto di Tabqa, quindi a un'ottantina di chilometri a sud di Raqqa.
La situazione militare venutasi a creare con le offensive governative grazie ai mezzi forniti da Mosca e al supporto di fuoco dei jet e degli elicotteri russi rischia quindi di risultare a breve insostenibile per tutte le formazioni ribelli, prossime a venire annientate o isolate su diversi fronti se l’offensiva manterrà l’attuale ritmo. Un’ipotesi che cancellerebbe i progetti turchi, sauditi e del mondo arabo sunnita di rovesciare Assad con le armi e che vanificherebbe anche gli accordi di Ginevra per un’uscita di scena concordata del presidente siriano.
Superfluo infine sottolineare l’imbarazzo di Stati Uniti e Coalizione arabo-occidentale se fossero gli uomini di Assad, con russi e curdi, a sbaragliare l’Isis e a cancellare il Califfato dalle mappe geografiche liberando Raqqah.