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GIUSTIZIA ANIMALE

«Nessuno tocchi Gattino», sentenziò il giudice

Milano, una sentenza che farà scuola: il giudice dà torto a una coppia che protestava per la trasformazione del loro condominio in ritrovo di gatti.

Attualità 18_08_2011
gatti

La sentenza bestiale così decretò: “Nessuno tocchi Gattino”. Di recente il Tribunale di Milano si è visto coinvolto nel dirimere una controversia tra una coppia di uno stabile e una loro condomina la quale sfamava dei gatti tramite il posizionamento di alcune cassette contenenti cibo in zone comuni del palazzo. Il cattivo odore e l’andirivieni dei felini ha esasperato la coppia che è passata alla vie legali chiedendo l’allontanamento delle bestiole e il risarcimento dei danni morali. Il giudice ha dato ragione alla gattara: i quadrupedi di cui sopra “sono animali sociali” e non vanno cacciati perché deve essere data loro la possibilità di muoversi liberamente. Che i gattofili esultino.


La vicenda sembra tratta dalla “Fattoria degli animali” di George Orwell dove gli animali si ribellano alla sfruttamento degli uomini: solo che in questo caso hanno ricevuto anche la benedizione di un giudice. Infatti i felini di questo stabile a leggere la sentenza hanno avuto un trattamento di riguardo, né più né meno come gli abusivi rasta-punkabbestia-noglobal del Leoncavallo che occupano, pardon: okkupano, lo stabile di via Watteau 7 e il cui motto è “Qui sono e qui resto”. Da anni tali soggetti sono inamovibili. Chissà forse sotto sotto il giudice avrà applicato per analogia al caso in specie la ratio dell’istituto dell’usucapione o della servitù prediale? Di questo passo tra poco dovremo dare diritto di voto nelle assemblee condominiali tramite alzata di zampa anche a Silvestro, o più realisticamente nominargli un tutore, oppure assicurargli posti di favore nell’assegnazione di spazi sociali nelle case popolari. Tracciata la via che la si percorra sino in fondo. Ecchediamine.


E pensare che i nostri vecchi in tempo di guerra, stretti dai morsi dalla fame e dalla penuria di cibo, non di rado se li dovevano mangiare i gatti. Altro che mettere cestini con alimenti per questi amici a quattro zampe.


Il pronunciamento giurisprudenziale di Milano non può che far gioire i cuori più ambientalisti. Non solo perché, è proprio il caso di dirlo, il giudice ha lisciato il pelo per il verso giusto, cioè si è inserito appieno nella vulgata corrente che antepone le esigenze di Fido e Fuffy a quelle del signor Rossi. Ma perché ora grazie a questa sentenza il Parco Naturale dello Stelvio è sotto casa nostra, anzi è dentro casa nostra. C’è infatti un allargamento significativo dei polmoni verdi che fanno respirare l’Italia, un allargamento che contagerà le nostre tristi città abbruttite dal cemento. Fino a ieri vi erano zone protette di verde perché lì c’erano specie di animali e piante ugualmente protette.

Se prima l’escursionista munito di debita autorizzazione poteva con stupore ammirare de visu specie di cui conosceva l’esistenza solo grazie a Super Quark, ora le specie protette hanno fatto irruzione sul pianerottolo di casa e possiamo goderne la compagnia senza il bisogno di mostrare pass alcuno. Si pregano quindi i gentili condomini di contemplare d’ora in poi, con il medesimo stupore e timore con cui si ammirava l’orso bruno, il certosino della sciura Maria che con altrettanta perizia certosina si farà le unghie sullo stipite della vostra porta di ingresso.

Se prima nel Parco Naturale dell’Adamello ci veniva ripetuto fino alla noia che in buona sostanza lì l’uomo è il vero estraneo, il fastidioso intruso, ecco che uguale consapevolezza ci dovrà accompagnare ogni qualvolta faremo le scale di casa: siamo noi i randagi. E guai a gettar occhiatacce al felino del portinaio: scatterà la severa tagliola del reato di violenza privata su animale domestico. D’altro canto non si ecceda in senso opposto, magari con una carezza in più: cadremo di certo in stalking su micio non consenziente. Insomma dopo il problema della multiculturalità e della convivenza con etnie diverse ecco affacciarsi ora la spinosa questione della multispecialità: più specie che dovranno imparare a convivere sotto lo stesso tetto (condominiale). Anzi a ben guardare i gatti ci stavano ben prima sul suolo italico dei poveri magrebini e quindi dovrebbero essere trattati con maggior riguardo.


E’ chiaro che il passo successivo toccherà le sensibili corde del principio di uguaglianza. Perché i gatti vanno tutelati e i topi no? Anzi non si danno gatti senza topi nell’immaginario collettivo. E gli scarafaggi e piattole dove le mettiamo? E via delirando fino ad organismi unicellulari e muffe. Infatti chi si azzarderà dopo questa sentenza a rompere quel delicatissimo ecosistema virale che pullula in ogni sottoscala, nelle cantine e box? Anzi, intanto che ci siamo e per coerenza via le pellicce di ermellino dalle toghe dei magistrati di Cassazione: che diano loro per primi il buon esempio.


E’ comunque aspetto curiosissimo che la decisione giuridica filo-felina abbia definito il gatto “animale sociale”. Tale espressione fu usata da Aristotele nella Politica per qualificare non un quadrupede qualsiasi bensì il bipede uomo, e solo lui. Si tratta di uno dei tanti segnali preoccupanti della volontà di sovvertire l’ordine naturale: il rapporto gerarchico che vedeva il primato dell’uomo sugli animali si sta ribaltando. E’ la solita ideologia utopista che è dura a morire – ha sette vite ci viene proprio da aggiungere -: non accettare l’ordine delle cose dato ma tentare di rivoluzionarlo. Il realista vede la realtà per quello che è, l’ideologo per quello che dovrebbe essere. Questo inganno ha portato nel passato a ridurre in schiavitù l’uomo trattandolo come un animale. Oggi si rischia esattamente l’errore opposto: trattare gli animali come uomini.


La sentenza zoofila di Milano in fin dei conti ruota intorno allo stesso principio per cui Caligola un giorno celiò sul fatto che avrebbe potuto nominare senatore il proprio cavallo. E quindi perché stupirsi che i miao-miao e i bau-bau valgano di più dei vagiti di un bambino che vorrebbe nascere ma sul cui capo pende la scure dell’aborto legalizzato? Perché – ci viene da chiedere – il nascituro non è considerato anche lui almeno un animale sociale? O forse per i giudici e i politici il diritto è una coperta troppo corta? Se riconosci alcuni “diritti”agli animali li devi poi togliere agli uomini, magari partendo da quelli che non possono protestare.


Da appuntare che però iniziano a registrarsi inaspettati effetti boomerang, non sempre piacevoli per l’homo sapiens sapiens, di questa strategia animalista. Ad esempio a Levico Terme, in provincia di Trento, un hotel a tre stelle fa pagare 55 euro a persona e 50 euro ai cani anche di piccola taglia. La vogliamo o no la parità tra le specie? E allora non fiatiamo e mettiamoci la museruola. Nonostante il principio di uguaglianza però – ci corre l’obbligo di glossare – il cane non pagherà di tasca sua…


Chiudiamo con un invito che esprime un’esigenza. Dato che i gatti ora si sentono dei re, degli aristogatti, e non se la sentiranno più di svolgere alcune sgradevoli incombenze che una certa e stereotipata mentalità anti-animalista ha affibbiato loro quali la caccia di topi e lucertole, chiediamo che se ne faccia carico il magistrato della sentenza felina di cui sopra esortandolo – dal momento che la pronuncia è stata formulata all’ombra della Madonnina – in tal guisa: “Ma va’ a ciapà i ratt!” (“Ma vai ad acchiappare i topi!” per i non meneghini).