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"CREDIAMO PERCIÒ PARLIAMO"

Nessuno sconto sulla verità. Parola di san Paolo

La fede di San Paolo lo porta a perseverare nell'annuncio del Vangelo, nonostante tutte le tribolazioni che questo gli provoca. Non può essere altrimenti: il discepolo di Gesù è convinto che la sua fede costituisca la salvezza del mondo e non può fare a meno di diffondere la verità. Se crediamo in Gesù, parlare è un dovere. Ecco cosa significa il titolo della Campagna raccolta fondi per la Bussola

Ecclesia 10_12_2021

La seconda lettera di San Paolo ai Corinzi ci dice che l'Apostolo fu già due volte a Corinto prima delle stesura della lettera e si apprestava a una terza visita.

La lettera fu scritta a Filippi nell'anno 57 ed è ricca di comunicazione palpitante, con cambi di tono: dal dolce allo sferzante, dalla pacata esposizione dottrinale alla energica difesa della sua azione apostolica, dall'esortazione a non lasciarsi prendere dagli allettamenti del mondo pagano alla difesa della comunità dall'influsso degli eretici, dall'umile narrazione di sé al rendimento di grazie in Cristo a Dio. Tutta la comunicazione di San Paolo è mossa dalla carità, ma da una carità viva, profonda, che guarda alla forza di Cristo, ma anche alla dolcezza e mansuetudine di Lui.

L'atteggiamento dell'Apostolo, quando deve esporre la dottrina di Gesù, ricorda la necessità di farlo sempre con chiarezza e coraggio, con rispetto e venerazione, come depositari, eredi e servitori di un tesoro ricevuto da Dio, che deve essere trasmesso con assoluta fedeltà.

Per questo San Paolo si dimostra radicale nel seguire Cristo, radicale nel rinnegare se stesso, radicale nell'amare gli altri. Anche noi, siamo invitati a questa radicalità che è alla base del vero cristianesimo. Infatti oggi va di moda il cristiano tiepidino che non alza mai la voce, che sta in un angolo e che, se dice qualcosa con convinzione, questo qualcosa non è molto diverso da ciò che dice il Mondo con i suoi potenti mezzi di propaganda.

Al contrario la franchezza e sincerità degli apostoli è ribadita con forza all'inizio del capitolo 4 della seconda lettera ai Corinzi dove San Paolo afferma perentoriamente: "Non ci perdiamo d'animo". La consapevolezza di essere inviati da Dio "secondo la sua misericordia", e sostenuti dalla sua grazia, fa sì che gli apostoli non si abbattano nelle difficoltà, non ricorrendo a "dissimulazioni vergognose", per presentare un'immagine edulcorata di sé corrispondente a ciò che la gente si attende, ma che non corrisponde alla verità.
L'Apostolo ribadisce che il vero seguace di Cristo non ricorre mai ad "astuzie" per risultare più accettabile alle masse, né modifica ciò che deve dire "falsificando la parola di Dio", adattandola abilmente a giustificare i comportamenti propri e degli altri. Gli apostoli si comportano, al contrario, secondo la grandezza del loro ministero "annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio".

Gli apostoli non cercano il loro prestigio annunciando le loro idee, ma quelle di Cristo ponendosi così come veri servitori degli uomini. Dice San Paolo: "Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore".

"Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta". Subito viene specificato che la forza degli apostoli viene da Dio, poiché il tesoro del loro ministero si trova "in vasi di creta". Tutto nella loro vita apostolica richiama alla loro fragilità di fronte alle prove che si abbattono sopra di loro, ma in tutto sono sostenuti dalla "straordinaria potenza di Dio". Il loro essere esposti sempre al pericolo, anzi "consegnati alla morte a causa di Gesù", manifesta la forza che viene da Dio. "In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi". Per chi segue davvero Cristo la persecuzione è la regola, non l'eccezione. Ma tutto quello che il cristiano subisce per aver seguito il suo Maestro e Signore verrà ricompensato nell'aldilà come è chiaro nella vita dei martiri.

"Animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo". La fede di San Paolo lo porta a perseverare nell'annuncio del Vangelo, nonostante tutte le tribolazioni che questo gli provoca. Non può essere altrimenti: il discepolo di Gesù è convinto che la sua fede costituisca la salvezza del mondo e non può fare a meno di diffondere la verità. Se crediamo in Gesù, parlare è un dovere. "Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne".
Ovviamente parlare per annunciare la verità non è solo un dovere, ma anche un piacere. Un diverso comportamento sarebbe indice di una fede tiepida e di mancanza di fiducia in Dio e vero amore per gli altri.

Come discepoli di Cristo non possiamo aver paura di nulla perché siamo "convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui". "Per questo non ci scoraggiamo" dice San Paolo e noi con lui. Fede in Gesù e paura sono in contrasto tra loro. Se c'è paura è perché non c'è la fede. Se c'è la fede, la paura scompare.

Concludiamo ricordando cosa scrisse San Paolo VI nella Evangelii nuntiandi al n. 78: "Da ogni evangelizzatore ci si attende che abbia il culto della verità, tanto più che la verità da lui approfondita e comunicata è la verità rivelata e quindi, più d'ogni altra, parte dalla verità primordiale, che è Dio stesso. Il predicatore del vangelo sarà dunque colui che, anche a prezzo della rinuncia personale e della sofferenza, ricerca sempre la verità che deve trasmettere agli altri. Egli non tradisce né dissimula mai la verità per piacere agli uomini, per stupire o sbalordire, né per originalità o per desiderio di mettersi in mostra. Egli non rifiuta la verità, non offusca la verità rivelata per pigrizia nel cercarla, per comodità o per paura. Non trascura di studiarla, ma la serve generosamente senza asservirla".