Nell'Anno della fede, torniamo al Catechismo
La scristianizzazione non è un fatto ineluttabile. Il pontefice rilancia
la nuova evangelizzazione con un progamma preciso. -Il Motu proprio
Il 17 ottobre è stata resa pubblica la lettera apostolica di Papa Benedetto XVI in forma di Motu proprio «Porta fidei», formalmente datata 11 ottobre, con la quale s'indice l'Anno della fede come grande «anno di grazia». Questa lettera parte dal dato di fatto che la fede è in crisi, non solo all'esterno ma perfino all'interno della Chiesa Cattolica, e propone per tornare alla fede un percorso di nuova evangelizzazione che ha al suo centro il Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato nel 1992 e di cui come il Papa ricorda nel 2012 cade il ventennale.
Dopo avere affermato che, comunque sia, «la "porta della fede" (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi», il Papa ricorda che «fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede». Parlare di riscoperta non è eccessivo. Infatti, «capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone». Le difficoltà per la Chiesa - afferma il Papa citando la Costituzione «Lumen Gentium» del Concilio Ecumenico Vaticano II - «vengono sia dal di dentro sia dal di fuori». E il risultato finale è una società senza fede.
Ma questa situazione di scristianizzazione è qualcosa che «non possiamo accettare». Di qui il vasto programma, di cui il Papa ha parlato nello scorso weekend, della nuova evangelizzazione. E di qui l'indizione di un secondo Anno della fede. Secondo, perché il servo di Dio Paolo VI (1897-1978) ne indisse un altro, il primo, nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza. Il servo di Dio Paolo VI, ricorda Benedetto XVI, «lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse "un'autentica e sincera professione della medesima fede"; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera "individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca". Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere "esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla"».
Il primo Anno della fede, quello del servo di Dio Paolo VI, si concluse - emblematicamente - nel 1968. «I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’anno - scrive Benedetto XVI - resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio, per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato». Il richiamo all'Anno delle fede del servo di Dio Paolo VI non è una curiosità storica. Quello che era in gioco allora è in gioco oggi: l'autentica interpretazione del Concilio. Benedetto XVI sottolinea che «il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una "conseguenza ed esigenza postconciliare", ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II [1920-2005], "non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre". Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: "se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa"».
Questo brano della lettera apostolica è molto importante. Benedetto XVI - forse con uno sguardo rivolto anche al tentativo di riconciliazione in corso fra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da mons. Marcel Lefebvre (1995-1991), che ha al suo centro proprio questo tema - prende ancora una volta posizione, per usare i termini famosi del suo incontro con il clero delle diocesi di Belluno- Feltre e Treviso del 24 luglio 2007 ad Auronzo di Cadore, contro il «progressismo sbagliato» e contro l'«anticonciliarismo». Ai progressisti ricorda che non ha senso negare che una grave crisi di fede ci sia, anche all'interno della Chiesa, e fingere che tutto sia andato per il meglio dopo il Concilio. Agli anticonciliaristi - che vorrebbero rifiutare non solo il progressismo e l'interpretazione errata dei testi del Concilio, ma quegli stessi testi - il Papa vuole «ribadire con forza» che i documenti del Vaticano II, letti «in maniera appropriata», costituiscono ancora oggi «una grande forza», «una grande grazia» e «una sicura bussola per orientarci».
A chi rischia di soccombere alla tentazione progressista il Papa fa notare che la fede non è un sentimento, una vaga aspirazione senza contenuti, una mera scelta individuale che ciascuno poi modellerebbe come preferisce. Al contrario, la fede è della Chiesa e nella Chiesa e ha un contenuto dogmatico preciso, che parte dal Credo. «Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino [354-430] quando, in un’Omelia sulla "redditio symboli", la consegna del Credo, dice: "Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore"».
«Il cristiano - aggiunge il Papa - non può mai pensare che credere sia un fatto privato». La professione della fede «è un atto personale ed insieme comunitario. È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza». A chi invece è tentato dal rifiuto dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, Benedetto XVI propone una guida sicura per la loro interpretazione - ben sapendo peraltro che proprio questa guida è stata anch'essa contestata da ambienti «anticonciliaristi» - che è il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992. Il Papa ricorda che il Catechismo è un «testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II» - dunque si tratta di Magistero pontificio, precisazione necessaria perché oggi vi è chi lo nega - e che questo «autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio della catechesi e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica». Tra l'altro, aggiunge il Papa, «proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede».
Il percorso dell'Anno della Fede, che il Pontefice raccomanda di seguire a tutte le diocesi, è dunque delineato con chiarezza. «Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica "Fidei depositum", non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: "Questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede"». Pertanto «l'Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede».
Inoltre, «nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera». L'Anno della fede dovrà dunque essere l'anno di un grande e rinnovato incontro della Chiesa con il Catechismo del 1992. «A tale scopo - annuncia il Papa - ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare», tra l'altro criticando la mentalità corrente che «riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche» e mostrando come il Catechismo consenta di ripercorrere, nella fede e per la fede, tutta la storia della salvezza.
Naturalmente - e contrariamente a una vecchia polemica protestante - la fede non dovrà mai essere opposta alle opere. Anzi, «l'Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo: "Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!" (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti - che da sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava: "A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»" (Gc 2,14-18)».
Ma l'Anno della fede servirà anche a ricordare che, se è vero che la fede «senza la carità non porta frutto», non è meno vero che «la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio». È fondamentale che molti dedichino «la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo». Ma è precisamente la fede che «permette di riconoscere Cristo» nel povero, e senza la fede e la verità - un grande tema già dell'enciclica «Caritas in vertiate» - la carità si ridurrebbe a mera beneficenza. I tempi sono difficili, ma non dobbiamo scoraggiarci. Ci sono nazioni di antica tradizione cristiana dove percentuali importanti, forse maggioritarie, della popolazione non professano la fede della Chiesa. Ma «non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico "preambolo" alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di "ciò che vale e permane sempre". Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro».
Questi ricercatori spirituali incontreranno la Chiesa solo se sapremo essere testimoni credibili. «Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine». A chi continua a essere tentato dallo scoraggiamento il Papa ricorda che «la vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: "quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre».