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L'EDITORIALE

Nella notte, dietro a Giuda

Celebrare il Giovedì Santo per quelli che sono dentro al Cenacolo, significa ardere dal desiderio di far esplodere nel mondo la luce di quello sguardo che abbiamo incontrato.

Editoriali 21_04_2011
MARTINOTTI
Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce
(Gv11,9)

Il panorama che ci circonda, quello che questo Giovedì santo sorprende, come tempo Altro nel tempo cronologico, è così oscuro che non si può incontrar queste parole di Gesù senza sentirsene presi, senza rimanerne impigliati. Quell’ora notturna in cui è inevitabile l’inciampo, la indicò Giuda, uscendo dal cenacolo: era notte, commenta l’evangelista Giovanni. Era notte, una notte così nera da non poter distinguere cosa da cosa, verità da menzogna, bene da male, vero da falso. Era come la notte di questo mondo così terribilmente impenetrabile, nonostante le illuminazioni a giorno, le luci al neon, le lampade fluorescenti. Sì, nonostante ciò, siamo al buio, inciampiamo nella menzogna, nel grottesco, nel non senso. Siamo nella notte della capacità critica, nella notte della ragione, nella notte dei valori. Ed entriamo nel Giovedì santo così, dietro le spalle di Giuda, mentre si chiude la porta del cenacolo e noi fuori con lui, soli e nella paura perché la notte impenetrabile del cielo corrisponde a una notte interiore, ancora più fonda e silenziosa.

La via di quello splendore che Cristo ha inaugurato pare lontana e ormai perduta. Mi sembra realisticamente questo il Giovedì Santo di molti miei fratelli che si dibattono là fuori dal Cenacolo. Come riportarli dentro? Mi viene in mente un dipinto inedito, di un pittore italiano ormai scomparso, Antonio Martinotti, che ebbe molto successo all’estero, in America. Si tratta di un olio, appartenente a una collezione privata, il cui titolo è Cristo alla porta.

Uno scorcio di porta, una mano, il volto di Cristo: è tutto ciò che, nel dipinto, ci è dato di vedere. Eppure è sufficiente per riportarci là dietro la porta di Giuda, nel cenacolo. In quell’ora.

Al di qua della porta ci siamo noi, bruni di terra, come l’ombra che s’indovina sull’uscio. Noi, chiamati ad un banchetto, eppure così irrimediabilmente distratti; noi invitati alla comunione col Mistero, eppure così ottusamente ripiegati sulle nostre certezze quotidiane. Quel volto dietro l’uscio è una rivelazione: le labbra sono dischiuse, sono le labbra di chi ha appena finito di parlare, di chi ha detto tutto, di chi ha pronunciato il suo Amen. Eppure sono anche le labbra di chi parlerà di nuovo, instancabilmente, ripetendo quell’Unica Parola che redime se questo dovesse servire alla salvezza di chi sta al di qua della porta.

E lo sguardo? Lo sguardo getta uno spiraglio di luce sulle nostre oscurità: in quello sguardo c’è la trepidazione dell’attesa, c’è il timore di scorgere ciò che non si vorrebbe. La luce del quadro è tutta lì, negli occhi mesti e profondi di Gesù. Chi la contempla ne resta affascinato: è una luce che non ammette ombre, che penetra, che conosce, che ama.

È la verità di questo sguardo che chiama, che può riportarci entro i confini del Mistero. È solo la verità di un incontro, di un amore. L’ultima cena di Gesù prima di essere un rito, prima di essere il rinnovo di un’alleanza è la storia di un amore, di una passione per l’uomo, di una scelta totale per la Verità che è Dio.

Dice Benedetto XVI: Ciò di cui il mondo ha bisogno è l'amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui. Per questo l'Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa; lo è anche della sua missione: «Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria». Anche noi dobbiamo poter dire ai nostri fratelli con convinzione: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi!» (1 Gv 1,3). Veramente non c'è niente di più bello che incontrare e comunicare Cristo a tutti.

Celebrare il Giovedì Santo per quelli che, come me, sono dentro al Cenacolo, significa farsi carico delle infinite notti che si consumano là fuori. E ardere dal desiderio di far esplodere nel mondo la luce di quello sguardo che abbiamo incontrato.

Mi piace pensare che Cristo, in tutti i «Giovedì Santi» della storia, sia eternamente dietro la porta del Cenacolo. Giuda non ha potuto chiuderla del tutto, la mano di Cristo è allo spiraglio, come la mano dello sposo del Cantico dei Cantici. È allo spiraglio ma non apre totalmente, quello spiraglio per spalancarsi chiama la nostra libertà.

Antonio Martinotti ha potuto realizzare un Cristo così, con la forza evocativa di questo sguardo, non solo perché è passato dentro l’esperienza dei campi di sterminio, ma perché non si è arreso alla notte che nei campi di sterminio aveva incontrato. Lui ha risposto, aprendo lo spiraglio. Forse anche a noi è necessario non arrenderci alla notte.

Dentro gli occhi mesti di Cristo si riflette il Cielo, anzi di più: un cielo risplende azzurro anche là, dietro lo spiraglio della porta. Non possiamo arrenderci alla notte ma dobbiamo far leva sul quel cielo che dentro ogni uomo chiede l’eternità.