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LIBERTA' RELIGIOSA

Nel Nord Sudan i cristiani sono "infedeli"

La legge punisce con torture e il carcere chi si converte ad una religione che non sia l'Islam.

Attualità 21_04_2012
Nord Sudan

Nell’ultimo rapporto sulla libertà religiosa dell’Associazione Evangelica “Porte Aperte”, il Sudan (Nord Sudan, prima dell’indipendenza del Sudan del Sud avvenuta nel luglio del 2011) è salito dalla 35ma alla 16ma posizione.

Questo risultato dipende principalmente dal più alto numero di incidenti che hanno coinvolto cristiani e chiese. La religione è uno dei fattori, ma mescolata a questioni di lealtà politica e di controllo delle risorse. Conteggiamo queste vittime - avverte “Porte Aperte” - in relazione alla persecuzione dei cristiani perché la loro fede li evidenzia come potenziali obiettivi, mentre la loro vulnerabilità è alta in un contesto in cui governo e società limitano gravemente la libertà religiosa.

L’attuale Presidente del Sudan, Omar Hassan al-Bashir, già accusato nel 2009 di crimini di guerra e  contro l'umanità per le sue responsabilità nel massacro del Darfur - dove trecentomila donne, uomini e bambini, vennero perseguitati, stuprati, uccisi nelle regioni centrali e orientali del paese inserite nella grande provincia del Darfur e altri due e milioni e mezzo di individui erano stati costretti alla fuga e ammassati in campi di rifugiati - nel 2010 fu colpito da un nuovo mandato di cattura della Corte penale internazionale de l'Aja per il reato di genocidio.

Nessuno, però, ha mai osato applicare questo provvedimento, nonostante il fatto che le “gesta” del Presidente sudanese continuino. Da molti mesi, infatti, le milizie governative Bashir stanno devastando il Kordofan, dove si trovano le montagne di Nuba e in particolare il distretto di Abyei, un’area considerata un ponte fra il nord arabo (Sudan) e il sud cristiano e animista (il nuovo stato chiamato Sudan del Sud) che, fertile e soprattutto ricca di petrolio, è rivendicata da entrambi gli stati. Nell’ultimo anno, nell’area citata si sono verificati bombardamenti, esecuzioni, torture, rapimenti, saccheggi e distruzione, al fine di rivendicare quel territorio. Si contano a migliaia i profughi in fuga e a morire - a migliaia - sono sia i cittadini musulmani sia i cristiani, ma all’estero il dittatore sudanese pubblicizza il suo genocidio come una sorta di jihad (guerra santa islamica) contro gli infedeli, attraverso atti eclatanti come la distruzione di chiese e l’uccisione di cristiani, e questo per guadagnare il supporto delle nazioni islamiche. Secondo fonti di “Porte Aperte”, ci sono giorni in cui nelle montagne di Nuba le milizie si muovono casa per casa alla ricerca di cristiani e di africani indigeni (quindi non arabi, non musulmani) per ucciderli o cacciarli, mentre il governo bombarda alcune aree sfigurando questa parte della nazione. “Il nord islamico vede i cristiani di Nuba come degli infedeli che hanno bisogno di essere islamizzati attraverso la jihad. Ma il focus di questa guerra è la pulizia etnica, con un mix complesso di motivazioni politiche e religiose”, è la testimonianza di una fonte raccolta da “Porte Aperte”.

La shari’a vigente nel nord, applicabile a tutti i residenti indipendentemente dalla loro religione, prevede la pena di morte per il reato di apostasia dall’Islam, pene corporali che vanno dalla flagellazione alla mutilazione degli arti all’esecuzione capitale a seconda della gravità dei reati commessi, il divieto del consumo di bevande alcoliche, il divieto per le donne musulmane di sposare uomini di altra religione.

Comunemente i musulmani che si convertono ad altra religione o sono sospettati di averlo fatto, vengono puniti con il carcere o con pene pecuniarie; oppure sono sottoposti a minacce, intimidazioni, ostracismo sociale, sorveglianza e controlli polizieschi e infine costretti ad emigrare fuori dal Sudan. Tali trattamenti sono applicati anche a chi pratica il proselitismo religioso nei confronti dei musulmani. Invece è sempre legale e permessa la conversione da qualsiasi religione all’Islam.
Le leggi sull’apostasia dall’Islam, nel nord del paese, limitano l’apostolato dei missionari cristiani là presenti e insediati da decenni. Difficilmente vengono rilasciati visti per personale missionario cristiano, a meno che non limiti la sua attività al sociale; in molti casi i permessi vengono rilasciati con ritardo.

La blasfemia e la diffamazione dell’Islam sono punite con pene detentive. La shari’a è applicata a tutti i residenti indipendentemente dalla fede religiosa, ma si danno variazioni nelle pene previste per i vari reati in base alla religione del reo. Per esempio, il consumo di alcool è punibile con 40 frustate nel caso di contravventore musulmano, ma solo con 20 nel caso di contravventore cristiano.
Nel corso del 2009 e nei primi mesi del 2010 - documenta il rapporto dell’Istituto di Diritto Pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre” - sono proseguiti gli arresti e le flagellazioni di donne che hanno violato il codice di abbigliamento previsto dalla shari’a. Nel 2008, secondo il capo della polizia di Khartoum, tali infrazioni erano state 40mila nella sola capitale.

Nel territorio controllato da governo di Khatoum per l’edificazione di luoghi di culto i gruppi religiosi sono tenuti a fare domanda e a ottenere i permessi del ministero della Guida e dei Beni sociali, del ministero dell’Edilizia e della pianificazione e degli uffici locali di pianificazione urbanistica. Dal 1975 al 2005 nessuna richiesta per l’edificazione di chiese nel Sudan settentrionale è mai stata approvata. Molte chiese sono state costruite senza permesso e alcune di esse, soprattutto nei campi profughi per gli sfollati della guerra civile provenienti dal sud, sono state fatte abbattere dalle autorità.
Anche nel 2009 sono giunte notizie di conversioni forzate all’islam nei campi profughi per sfollati interni, fra i detenuti delle prigioni, fra le reclute delle Popular Defense Forces e fra i bambini dei centri di raccolta per ragazzi di strada. Il governo ha tollerato l’uso di aiuti umanitari per indurre conversioni all’islam. Gli orfani di origine non accertata nelle strutture governative sono considerati a priori musulmani e non possono essere dati in adozione a famiglie non musulmane.
Nel maggio 2009 sono stati liberati 232 schiavi, per lo più donne e bambini di etnia dinka, rapiti e schiavizzati da arabi del Darfur e del Kordofan. La maggior parte di essi era stata forzata a convertirsi all’islam. Secondo James Aguir, membro del Comitato governativo per lo sradicamento della schiavitù di donne e bambini in Sudan (Ceawc) i dinka tuttora in condizioni di schiavitù presso famiglie che considerano legittimo il loro stato di cattività in quanto non musulmani mmonterebbero a 35mila unità.

Nel Sudan del Nord, la persecuzione giunge da diverse fonti: gruppi islamici e la società in generale, che desiderano formare uno stato islamico; le famiglie degli ex musulmani; lo stato, fermo oppositore dei cristiani riconosciuti. Oggi, la conversione semplicemente non è riconosciuta: gli ex musulmani sono trattati come se fossero musulmani.

Nel futuro - avverte il rapporto di “Porte Aperte” - la persecuzione dei cristiani in Sudan è plausibile pensare che cresca considerevolmente, con i credenti (del Sudan del Nord) schiacciati fra l’islamizzazione e l’arabizzazione. Gli effetti di una possibile guerra fra il Sudan e il neonato Sud Sudan potrebbero essere ancor più disastrosi per i cristiani, poiché le dinamiche della guerra possono facilmente coprire i brutali atti di persecuzione religiosa.