Nel nome del Papa: quando Leone XIII salvò gli agostiniani
Il primo agostiniano sul soglio di Pietro ha voluto chiamarsi come il pontefice della Rerum novarum, che dalla natia Carpineto era legato all'Ordine di Sant'Agostino. Un vincolo che riaffiora nella scelta di Leone XIV.

Perché Robert Francis Prevost abbia scelto il nome pontificale di Leone presumibilmente sarà lui stesso a dircelo, come solitamente hanno fatto i predecessori nei primi giorni di pontificato. Certamente il richiamo più immediato è a Leone XIII, al secolo Gioacchino Pecci, il Pontefice della Dottrina sociale della Chiesa e dell’enciclica Rerum novarum.
Ma c'è una ragione specifica che lega Papa Pecci e Papa Prevost? Un indizio già filtrato proviene da una conversazione, naturalmente a conclave terminato, tra il neoeletto Leone XIV e il cardinale Ladislav Nemet che ne ha riferito all'emittente croata HRT. Oltre a menzionare i temi del lavoro e della giustizia sociale, quali riferimenti al lontano predecessore, il nuovo Papa ha ricordato che «Leone XIII quando era giovane veniva spesso in una parrocchia guidata da padri agostiniani a Roma».
Il primo pontefice agostiniano non deve aver dimenticato il legame tra Leone XIII e il suo ordine di provenienza. Carpineto Romano, dove Pecci nacque nel 1810, era territorio pontificio ma all’epoca occupato da Napoleone. Nell’anno precedente le leggi napoleoniche di soppressione degli ordini religiosi avevano imposto la confisca del convento di Sant’Agostino e dei relativi beni, che vennero in parte recuperati proprio grazie a Ludovico Pecci, padre del futuro pontefice, permettendo in qualche modo la permanenza dell’ex priore fino a che i francesi non ne imposero l’abbandono. Anche in seguito i Pecci continuarono ad aver cura dell’ex convento e fu proprio sotto il pontificato di Leone XIII che gli agostiniani riuscirono a tornare a Carpineto.
Prima di Napoleone l’ordine aveva già subito gli effetti delle analoghe leggi di soppressione decretate in Austria nel 1786 da Giuseppe II d’Asburgo, chiamato non a caso “l’imperatore sacrestano” per la mania di interferire in ambito ecclesiastico. Leggi che colpirono numerosi monasteri e conventi di vari ordini, ma che inflissero un duro colpo agli agostiniani. Gli effetti delle soppressioni e il crollo delle province e dei membri, con la sola eccezione degli Stati Uniti e delle Filippine, nel corso dell’Ottocento condussero gli agostiniani molto vicino all’estinzione. La salvezza venne alla fine del secolo dall’America e da Leone XIII.
Eletto Papa nel 1878, Gioacchino Pecci aveva portato sul soglio di Pietro quel legame di famiglia con l’Ordine di Sant’Agostino. Suo confessore era l’agostiniano Guglielmo Pifferi, da lui nominato vescovo titolare di Porfirio e sacrista del Palazzo Apostolico nel 1887. Su consiglio del confessore, Leone XIII inserì nelle litanie lauretane l’invocazione: «Mater Boni Consilii, ora pro nobis»: infatti erano e sono tuttora gli agostiniani a coltivare la devozione alla Madonna del Buon Consiglio nel santuario di Genazzano.
E fu Leone XIII a risollevare gli agostiniani dalla crisi, prendendo in mano la situazione e richiamando a Roma da Oltreoceano padre Antonio Pacifico Neno, che aveva già dato buona prova nella giovane ma fiorente provincia americana, perché guidasse la rinascita dell’ordine. Non fu l’unico segno dell’antica affezione di papa Leone, che nel suo pontificato creò tre cardinali agostiniani: Luigi Sepiacci, Agostino Ciasca e Sebastiano Martinelli. Quest’ultimo, che ricevette la porpora nel 1901, alcuni anni prima era stato nominato delegato apostolico per gli Stati Uniti d’America. Per inciso, la scelta del nome può essere ispirata anche dall’attenzione di Leone XIII per la nazione di nascita dell’attuale pontefice, espressa nell’enciclica Longinqua oceani del 1895.
Non dimentichiamo i santi agostiniani del pontificato leonino. Chiara da Montefalco fu iscritta nell’albo dei santi nel 1881 da papa Leone, che l’anno seguente beatificò il sacerdote e mistico Alonso de Orozco (poi canonizzato nel 2002 da San Giovanni Paolo II). Infine la santa più celebre e più invocata di tutto l’ordine: Rita da Cascia, canonizzata il 24 maggio dell’anno giubilare 1900. Il 7 ottobre successivo le spoglie di Sant’Agostino dopo oltre un secolo di “temporaneo” rifugio nella cattedrale di Pavia furono restituite alla restaurata basilica di Sant’Agostino in Ciel d’Oro, anch’essa vittima delle truppe francesi nel 1796.
Torniamo a Carpineto Romano e al convento di Sant’Agostino, rimasto nelle mani della famiglia Pecci, il che permise a Leone XIII di ampliarlo e (fallito il progetto iniziale di trasformarlo in ospedale) riconsegnarlo agli agostiniani, che dal 1888 vi tennero anche il noviziato (trasferito poi a Genazzano nel 1928). La chiesa fu arricchita in quegli anni anche dai dipinti del pittore Tito Troja, che vi raffigurò Il trionfo di Sant’Agostino e La liberalità di Leone XIII, a testimonianza del legame tra gli agostiniani e quel Papa originario di Carpineto, che riaffiora oggi nella scelta inaspettata di Robert Francis Prevost «qui sibi nomen imposuit Leonem XIV».