Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
PRIMA DOMENICA DI AVVENTO

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo

L'inizio dell'anno liturgico, con la prima domenica di Avvento, ci dispone all'attesa di quell'evento che resta il fatto decisivo della storia. "Dio si è fatto carne", questa è la notizia delle notizie. Non c'è un solo fatto che possa essere più importante di questo. Per questo per tutte le domeniche di Avvento e per Natale, vi proponiamo una lectio divina sulle letture del giorno preparata da una monaca trappista del Monastero di Valserena.

Ecclesia 03_12_2017
SS. Trinità, Affresco bizantino, santuario di Vallepietra (RM)

L'inizio dell'anno liturgico, con la prima domenica di Avvento, ci dispone all'attesa di quell'evento che resta il fatto decisivo della storia. "Dio si è fatto carne", questa è la notizia delle notizie. Non c'è un solo fatto che possa essere più importante di questo. E vale per tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni latitudine. È anche il punto di riferimento quotidiano del lavoro della Nuova BQ. Per questo per tutte le domeniche di Avvento e per Natale, vi proponiamo come "primo piano" una lectio divina sulle letture del giorno preparata per tutti i lettori della Nuova BQ da una monaca trappista del Monastero di Valserena, suor Maria Francesca Righi. Buona meditazione.

La mensa che la Parola di Dio ci serve sulla soglia di questo nuovo anno liturgico potrebbe essere riassunta nella formula con cui diamo inizio alla preghiera, il segno della croce: Nel Nome del Padre (Prima lettura) e del Figlio (seconda lettura) e dello Spirito Santo (Vangelo) «E’ il segno più santo che ci sia…abbraccia tutto l’essere tuo, corpo e anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, e tutto diviene irrobustito, segnato, consacrato nella forza di Cristo, nel Nome del Dio uno e trino», dice Romano Guardini (I santi segni, Morcelliana 2007).

Questo Nome è invocato a vivificare tre dimensioni fondamentali della nostra umanità, tre dimensioni che la costituiscono: la preghiera nel dolore, (I) il ringraziamento di fronte al dono (II) e l’attesa del compimento (III). Tutto questo suppone il considerare la persona umana nell’ottica della Rivelazione: un essere che chiede il suo compimento a un Altro da cui ha pure ricevuto la vita in dono, un essere che è strutturalmente domanda e desiderio. Accostiamoci a ciascuna delle letture.

Nel Nome del Padre: il desiderio dell’Incarnazione

La prima, tratta dal profeta Isaia, inizia e termina con un’invocazione accorata: Tu sei nostro Padre, che è insieme una preghiera e una confessione di fede. Il testo è una specie di salmo di lamentazione inserito in una lettura profetica della storia in cui il profeta, per la prima e unica volta in tutto l’Antico Testamento, si rivolge a Dio come abinu, padre nostro. Il salmista nei versetti precedenti ha fatto memoria della storia, dell’esodo, delle grandi gesta di Mosè, di Abramo, ma è come se queste grandi guide del popolo impallidiscano nella loro consistenza autonoma e trovino invece posto nell’affermazione della paternità originaria di IHWH: TU sei nostro Padre. Il nostro tempo, stanco di orfanezza, anela ormai a questa paternità ritrovata dopo la sconfessione di questo nome, dopo la sua pratica eliminazione dalla storia, dopo la sua sostituzione con altri appellativi generici; ha bisogno di questa relazione viva, in cui ritrovare il suo volto: Tu sei Padre - Noi siamo opera tua. Il salmista attribuisce la presente condizione di abbandono, d’indurimento, di lontananza, che Agostino e Bernardo chiamano la regione della dissomiglianza, alle circostanze storiche e al peccato del popolo, ma da questa coscienza s’invoca il ritorno del padre, dell’Amore originario nella certezza che esso è più forte della durezza di cuore, della ribellione e della sonnolenza in cui la presente generazione giace... Questa preghiera accorata si scioglie nel dolcissimo canto del Rorate…che accompagna tutti i nostri Avventi.

Nel Nome del Figlio: la presenza venuta di Cristo nell’oggi.

La seconda lettura è costituita dall’indirizzo e dal saluto di Paolo nella prima lettera ai Corinzi.  Stupisce a ogni versetto la ripetizione del Nome di Gesù Cristo, come se fosse proprio questo Nome a dare identità: al mittente (Paolo), ai destinatari (i Corinzi), a tutti coloro che liberamente lo invocano. Egli è anche la sintesi e la pienezza di ogni dono, di parola, di conoscenza che diventa testimonianza e ulteriore manifestazione e consolidamento nella perseveranza finale della comunione con il Figlio. Il Figlio è, infatti, la risposta dell’amore del Padre alla preghiera dell’uomo, in Lui sono tutti i doni, ed Egli stesso è il dono dell’Amore redentore. In pochi versetti il Nome è ripetuto nove volte!! L’esperienza umana qui evocata è la capacità di gratitudine di fronte al dono, esperienza elementare, ma non comune.

E dello Spirito Santo, l’attesa della venuta definitiva.

Nel Vangelo, gli ultimi versetti del discorso escatologico di Marco, prolungano nella tonalità dell’evangelista dell’anno B, la descrizione dell’attesa del terzo avvento, quello definitivo, verso cui tendevano tutte le ultime domeniche dell’anno liturgico, e sottolineano un’altra dimensione fondamentale dell’esperienza umana: quella dell’attesa, della vigilanza, della responsabilità operosa. Ma come c’entra la vigilanza con il dono dello Spirito? Lo Spirito viene a guarire uno dei peccati abituali del nostro tempo, il cuore addormentato o ingrato, ma sostanzialmente il cuore che è incapace ormai di percepire le dimensioni dell’eternità, della trascendenza, della verità, il cuore che intorpidisce nell’accidia. Il dono dello Spirito, il Dono che è lo Spirito è anch’Egli la risposta alla preghiera del dolore; Egli è colui che compie la comunione del Padre e del Figlio, il loro legame, e compie pure la nostra comunione in Loro; è Colui che tiene sveglio il cuore dell’uomo alla dimensione della trascendenza, della vera spiritualità.

Le letture: Is 63,16b-17.19b; 64,2-7; Sal 79; 1 Cor 1,3-9; Mc 13,33-37