Negri: La Consulta tradisce la Costituzione
Sulle sentenze della Corte Costituzionale che hanno stabilito il "diritto al figlio" e imposto al Parlamento di riconoscere le unioni civili, interviene l'arcivescovo di Ferrara: «Assistiamo ogni giorno più stupefatti alla sostanziale modifica dei criteri fondamentali che hanno costituito il riferimento ideale della Costituzione e delle nostre istituzioni». «Il diritto al figlio non esiste nella Costituzione».
Stupefatto e preoccupato per la deriva ideologica della più alta magistratura italiana, che tradisce la Costituzione arrogandosi competenze non sue e promuovendo forme giuridiche e istituzionali nuove. È la reazione di monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio – ma ci tiene a precisare che in questo caso parla da «cittadino comune, senza implicare la responsabilità ecclesiale» – alle ultime sentenze della Corte costituzionale che hanno stabilito «il diritto al figlio» (leggi qui) e imposto al Parlamento di riconoscere le unioni civili, anche fra persone dello stesso sesso (leggi qui).
Monsignor Negri, anche a proposito di queste ultime sentenze della Corte Costituzionale si è parlato in questi giorni di magistratura creativa.
Non so se la magistratura debba essere creativa, io so che la magistratura deve cercare di applicare la legge in un modo che sia adeguato: adeguato alla vita della società, adeguato anche a coloro che contingentemente si trovano ad essere oggetto della responsabilità della magistratura. Invece il cittadino comune assiste ogni giorno più stupefatto alla sostanziale modifica dei criteri fondamentali che hanno costituito il riferimento ideale della Costituzione e delle nostre istituzioni. In questi giorni ci siamo sentiti dire che appartiene alla struttura ultima della Costituzione italiana il diritto ad avere un figlio come principio incoercibile ed espressione della autodeterminazione della persona.
Princìpi che in effetti non troviamo nella Costituzione.
Autodeterminazione è concetto ideologico, facilmente recuperabile all’interno di quel movimento secolarista, laicista e anticattolico che costituisce una parte delle ideologie presenti nel nostro paese, ma che certamente non ha determinato i princìpi fondamentali della Costituzione. Dire che in nome della Costituzione è necessario consentire questo diritto ad avere un figlio è fatto sostanzialmente incomprensibile.
Cosa è invece il figlio per la Costituzione?
Per la immagine di famiglia naturale - e non di famiglia cattolica, si badi bene - che sta alla base della nostra Costituzione, il figlio trova la sua collocazione ideale e pratica all’interno di una comunione di vita precisamente normata dalla Costituzione e dal diritto italiano e che non lo vede come diritto dell’autodeterminazione né del singolo né della coppia, ma lo vede come gravissima e irriducibile responsabilità culturale, etica e sociale. Affermare che il figlio è un diritto incoercibile significa surrettiziamente far passare dei principi di riferimento della famiglia e del nostro Stato che non trovano alcuna formulazione né alcuna difesa nella nostra Costituzione. Questo è il fatto grave per il presente e per il futuro della nostra società.
Certe sentenze vengono giustificate con la difficoltà che hanno tante coppie nell’avere figli e dei problemi che ne derivano.
Ma tutt’altro la “gente gente” (il popolo, secondo la definizione che ne dava monsignor Luigi Giussani) si sarebbe aspettata dai difensori della nostra Costituzione: collocare la difficoltà con cui talune coppie sono chiamate a vivere questa loro responsabilità ma in termini che tengano presenti tutti i fattori che costituiscono il riferimento della nostra Costituzione e hanno costituito l’impianto vivo e attivo della nostra socialità.
Poi è arrivata anche la sentenza sulla coppia dove uno dei protagonisti cambia sesso e però vogliono restare sposati. Qui la Corte Costituzionale ha confermato lo scioglimento del matrimonio ma imponendo al Parlamento di riconoscere le unioni civili in modo che i due possano continuare a godere degli stessi diritti.
È una sentenza altrettanto stupefacente, anche questa chiaramente ideologica. È certo che non compete alla più alta magistratura – sia essa la Corte Costituzionale o la Corte di Cassazione - operare interventi di carattere ideologico che eccede i suoi compiti e le sue responsabilità. Oggi come oggi il diritto della persona, della famiglia, dei gruppi, delle realtà sociali, sembra più riferito o dipendente dalle ideologie che di volta in volta vengono messe in primo piano da una parte della magistratura, che non da quell’ethos sociale e storico di cui la magistratura dovrebbe essere in ogni caso custode e promotrice. Le grandi rivoluzioni - se proprio si vuole sprecare questo termine per queste vicende assolutamente banali - non si affermano in questo modo surrettizio e ultimamente imposto alla mentalità dei nostri cittadini e della nostra vita sociale.
Protestiamo giustamente per queste sentenze della Corte Costituzionale che toccano famiglia e vita, però vediamo che nel frattempo in Parlamento sta arrivando una valanga di proposte di legge che vanno nella stessa direzione.
Con una grande differenza: che il Parlamento fa il suo lavoro. Esso è espressione di una vita sociale in difficoltà, in contrapposizione, talora in contraddizione in cui vivono profonde lacerazioni; è comprensibile che sia chiamato a legiferare tenendo conto della varietà delle posizioni. Toccherà poi alla maggioranza stabilire una linea e alla minoranza eventualmente mettere in atto tutte le contromisure.
Il Parlamento nell’affronto di questi problemi gode di una sua sovranità, la magistratura invece non ha il compito di promuovere forme giuridiche e istituzionali nuove. Se lo fa eccede dal suo preciso ambito e competenze. Mi sembra avesse ragione il presidente Cossiga, che in molte occasioni esprimeva fortissime riserve con questo modo di procedere della magistratura, che adesso sta raggiungendo le estreme e deplorevoli conseguenze.