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REFERENDUM

Nazionalisti e pro-gay, lo strano caso dell'Irlanda

Il Sinn Fein, quintessenza del nazionalismo irlandese gioca le sue carte a sinistra e dunque è favorevole alle "nozze" gay, alla vigilia del prossimo referendum che le potrebbe legalizzare. Paradossalmente a difendere la famiglia naturale, nell'Irlanda del Nord (Regno Unito) è il partito degli unionisti.

Famiglia 15_05_2015
Irlanda, campagna per il Sì

«Nel nome della Santissima Trinità, da cui proviene ogni autorità e a cui, come ultimo fine, debbono riferirsi tutte le azioni sia degli uomini sia degli Stati, Noi, il popolo dell’Éire, umilmente ci riconosciamo debitori del nostro Signore divino, Gesù Cristo, che diede sostegno ai nostri Padri lungo secoli di prove…». Il preambolo della Bunreacht na hÉireann, la Costituzione della repubblica d’Irlanda, recita così da quando fu varata nel 1937, ma oggi va stretta a troppi irlandesi. Tanto che la vogliono modificare attraverso un referendum, il 22 maggio. Sì, non è quell’incipit trionfale la preoccupazione primaria dei progressisti dell’Isola Verde, ma non è lo stesso una buona notizia. Fra tre settimane, infatti, gli irlandesi saranno chiamati alle urne per pronunciarsi sui due emendamenti alla Bunreacht ammessi dalla Convenzione costituzionale convocata per la prima volta nella storia del Paese repubblicano il 1° dicembre 2012 e scioltasi il 31 marzo 2014: uno riguarda l’abbassamento da 35 a 21 anni dell’età minima affinché un cittadino irlandese possa candidarsi alla presidenza del Paese, ma l’altro punta a introdurre nell’ordinamento giuridico irlandese il “matrimonio” omosessuale.

Ora, per l’Occidente che procede a marce serrate verso la “normalizzazione” totale dell’omosessualismo un mutamento di questo tenore non è certo uno shock, ma per l’Irlanda sì. Perché comunque l’Irlanda è ancora il Paese dove la religione mantiene rilevanza sociale e culturale, dove la liberalizzazione dell’aborto procede più lenta che in ogni altro luogo, dove la secolarizzazione avanza come ovunque ma spesso in modo più sornione. Se dunque il 22 maggio vincessero le forze favorevoli al “matrimonio” omosessuale, l’Irlanda potrebbe trovarsi nella medesima situazione in cui si trovò l’Italia all’indomani del referendum sul divorzio del 1974: il risveglio traumatico da un sogno andato rapidamente in fumo.

Le premesse, purtroppo, ci sono tutte. Ampliamo lo sguardo all’intera Isola (cioè anche al Nord facente parte del Regno Unito) e prendiamo per esempio il Sinn Féin, il partito dal nome gaelico (significa “Noi stessi”, ma anche “Noi soli”) che è la quintessenza del nazionalismo storico irlandese e che da sempre studia da “partito dei cattolici” sia nella repubblica irlandese a sud sia in Irlanda del Nord. Il Sinn Féin campa immeritatamente di rendita sull’onda di un’equazione che in verità assomiglia a un corto circuito e che più o meno suona così: gl’irlandesi sono buoni perché sono cattolici (e sono buoni cattolici perché sono irlandesi); tutti gl’irlandesi sono buoni d’ufficio perché sono battezzati cattolici; essere nazionalisti ed essere cattolici in Irlanda è sostanzialmente la stessa cosa (il che implica che non sono veri o buoni irlandesi tutti gli altri, puta caso magari gli unionisti  o “i protestanti”, realtà comunque non automaticamente sinonimiche).

Ma si dà il caso che il Sinn Féin il suo nazionalismo lo abbia sempre giocato a sinistra e che oggi il soi-disant “partito della nazione” sia, nell’Isola (tanto nel Sud repubblicano indipendente quanto nel Nord istituzionalmente unito alla Gran Bretagna), uno dei principali nemici del matrimonio (l’unico possibile) e della famiglia naturale. Da tempo la branca del Sinn Féin attiva nell’Irlanda del Nord (dove il partito gioca ancora più che nella repubblica del sud il ruolo di “voce unica” dei nazionalisti “cattolici”) invoca a gran l’equiparazione delle unione tra persone dello stesso sesso al matrimonio. Tutto perduto allora? Non proprio. Per ben quattro volte in anni recenti, infatti, l'ex braccio politico dell'Ira ha costretto l’Assemblea legislativa dell’Irlanda del Nord, dove detiene la maggioranza politica, a discutere e a pronunciarsi su quella proposta ma per tutte e quattro le volte ne è uscito sonoramente sconfitto.

L’Irlanda del Nord rimane cioè un’oasi felice: uno dei pochi luoghi dell’Occidente dove non solo il matrimonio omosessuale resta illecito, ma dove soprattutto le forze che mirano a ribaltare la situazione vengono continuamente battute. In questo unico angolo di Regno Unito dove il matrimonio resta sempre e solo quello tra un uomo e una donna, la famiglia naturale, piaccia o no, resiste anche in sede legislativa non certo grazie alle forze politiche del nazionalismo “cattolico” ma per merito degli avversari politici, gli unionisti (cattolici e non). E la cosa è così seria da avere allarmato un colosso della bontà come Amnesty International, l’organizzazione che dovrebbe occuparsi dell’abolizione della tortura e della pena di morte nel mondo e che invece ha dichiarato guerra aperta ai nordirlandesi affermando, sin dalla primavera 2013, che se la situazione non muterà finirà tutto davanti a un tribunale dei diritti umani. Riusciranno il 22 maggio i repubblicani del sud a sbugiardare i loro falsi profeti come sono capaci di fare gli unionisti del Nord?