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LE RAGIONI DELLA CAMPAGNA

Natalità, mai così male dal 1861

Il demografo Blangiardo. "Nel I trimestre 2016 calo del 4% sul 2015, che fu l'anno peggiore con 486mila neonati". E avverte: "La ricetta nel Piano famiglia che i governi tengono nel cassetto". Perché puntano sulla procreazione assistita? "Sospetti, ma la fecondazione naturale toglie business all'artificiale".

- ANCHE LA DANIMARCA E' FASCISTA?

Vita e bioetica 03_09_2016
La campagna sul Fertility Day

Una cosa è certa: la contestata campagna sul Fertility Day è servita ad accendere una luce su quello che secondo molti economisti e sociologici è il principale problema della mancata crescita italiana: una crisi demografica drammatica, che sta proiettando l’Italia all’estinzione per mancanza di nati sufficienti a ribaltare un trend che ad oggi ci vede con la media impietosa di 1.3 figli per coppia. Dunque insufficiente per garantire un ricambio generazionale, che avrebbe bisogno del 2.1.

I demografi lo dicono da tempo: fate figli, sennò l’Italia sparisce. E il ministro della Salute Lorenzin con la campagna che ha lanciato il primo Fertility Day ha seguito questa scia. Che, come abbiamo visto non piace a molti intellò perché forse va a intaccare il mito della Procreazione medicalmente assistita sulla quale gravano molti business e interessi.

La Nuova BQ ne ha parlato con il professor Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia all’Università Bicocca di Milano.

Professore, il sospetto è che non si voglia parlare di fertilità e di natalità perché questo andrebbe rompere le uova nel paniere all’industria ormai fiorente della procreazione medicalmente assistita…

Bè, diciamo che andrebbe dimostrato, una correlazione c’è. E’ chiaro che se dovesse aumentare la fecondità naturale il business che deriva dalla Fivet subirebbe dei cali.

Al di là degli errori della campagna una cosa è certa: il governo ha preso atto per la prima volta di un problema demografico. Anche se forse sarebbe meglio dire: una parte del governo.

Diciamo che c’è stata una consapevolezza maggiore rispetto al passato. In quanto a trovare le risposte giuste ce ne passa. La fotografia attuale della demografia in Italia è preoccupante.

Ha dei numeri?

Nel primo trimestre 2016 i nati scendono del 4% rispetto al 2015, che è stato l’annus horribilis dell’inverno demografico dal 1861. Nel 2015 ci sono stati 486mila nuovi nati, quest’anno questo dato è già peggiorato del 4%. Vedremo a fine anno, ma se il trend prosegue siamo di fronte ad un nuovo record negativo.

Bisogna invertire la tendenza. Ma il tema della demografia investe la politica, la società, la cultura della vita e persino l’educazione umana. Può un governo farsi carico di tutto ciò?

No, è chiaro. Ma può prendersi una responsabilità politica per illustrare su che cosa vuole investire.

Che fare?

Non ho ricette, ma solo consigli. Perché una ricetta è già scritta. Si chiama Piano Nazionale sulla Famiglia ed è stato elaborato dal governo Berlusconi quando responsabile delle politiche famigliari era Carlo Giovanardi. Ma dopo l’approvazione del governo Monti è stato messo nel cassetto dallo stesso esecutivo e non vi è stata data attuazione quando a prendere il posto di Giovanardi arrivò Andrea Riccardi.

Che cosa prevedeva?

Aveva diverse aree di intervento: un’area economica, una di natura fiscale, ma senza arrivare al quoziente famigliare francese che non potremmo mai permetterci, ma veniva illustrato i Fattore Famiglia con i classici aiuti di Stato. Soprattutto veniva sancito un principio: le spese individuali sostenute dalle coppie per produrre un bene, come il figlio, hanno dei ritorni di natura collettiva.

Figli come oggetti di consumo. E’ brutale…

Ma è così. Non nel senso di oggetti di consumo, ma di beni. I figli sono un bene. E lo Stato ne ha bisogno. Il piano prevedeva anche interventi di ordine culturale per creare le condizioni affinché venisse riconosciuta una gratificazione sociale alle coppie per questo loro difficile compito che svolgono. Io questo lo so bene perché partecipai come esperto alla stesura di questo piano che dopo essere stato condiviso è rimasto nel cassetto.

Sarebbe ancora attuale?

Certo, diciamo che un primo farmaco ce l’abbiamo in casa, non serve correre in farmacia a comprarne un altro. Poi, è chiaro che la Lorenzin se ne occupa dal punto di vista della salute. Ma intanto fa qualcosa, gli altri colleghi di governo che cosa fanno?

Perché c’è stata questa opposizione generale? Pensa che sia solo a causa delle vignette?

No. Mi sembra una becera opposizione. L’altra sera ero ospite di Rai 3 e sentivo molte storie di persone che non avevano figli per motivi professionali, perché siamo in troppi sulla terra. Il fatto è che la gente non si preoccupa del futuro perché ragione coi problemi del presente.

Ha visto lo spot della Danimarca che invita a fare l’amore per invertire il trend negativo?

Sì, e mi fa ridere pensare che se lo avessimo fatto noi qualcuno si sarebbe stracciato le vesti per qualche rigurgito fascista.

Intano però in Danimarca c’è un boom nataliatà…

Io aspetterei a parlare di boom. Nel 2015 ci sono stati 1500 nati in più rispetto all’anno precedente. Non parlerei di boom, ma di leggera inversione di tendenza. Per parlare di boom bisogna aspettare almeno 5 anni. Però è sicuramente un dato importante.

Chi sta meglio di noi allora?

La Francia, almeno per quanto riguarda le politiche di sostegno alla demografia. Lo fanno da molti anni ormai e sono quasi vicino ad un tasso di 2.0 che, considerata la bassa mortalità infantile è un dato accettabile. In Francia tra l’altro è attivo il cosiddetto quoziente famigliare e il governo aiuta i francesi a fare lo scatto di avere il terzo figlio che è il vero salto di qualità.

E i Paesi nordici?

Anche loro sono vicini a 2 figli per coppia. Ma loro hanno investito soprattutto su interventi socio culturali: asili, assenza dal lavoro del partner e altre misure.

Ciononostante in Italia sembra che non vogliamo rendercene conto.

Il clima generale è sfavorevole. Pesano l’occupazione e le prospettive di avere condizioni di garanzia che sono elementi determinanti nella scelta procreativa. Questo fa “giocare” la gente sul calendario e sui tempi, così si arriva ad essere una coppia matura a 35 anni che pretende di avere gli stessi livelli di fecondità di dieci anni prima.

Se fosse nel premier che cosa farebbe?

Aprirei il cassetto e tirerei fuori il piano sulla famiglia. Sceglierei alcuni ambiti di intervento illustrati nella 40 pagine e inviterei a spingere l’acceleratore. Sarò comunque un inizio. Non è tempo sprecato.

Basterà? Le politiche demografiche hanno un respiro più lungo di un tweet e il politico vive sull’oggi non sul futuro…

Il politico che non è lungimirante e vive del consenso immediato, forse.