L'EDITORIALE
Natalità e famiglia non restino discorsi
La crisi del sistema pensionistico ha aperto gli occhi sugli effetti della bassa fertilità. Ma questa è solo la punta dell'iceberg. Ci sono alcune scelte concrete da fare subito. Ecco quali...
Editoriali
24_08_2011
Benedetta crisi delle pensioni, verrebbe quasi da dire. Perché sembra che solo questa crisi abbia avuto il potere di aprire gli occhi ai politici sulla gravità dello squilibrio demografico provocata da quaranta anni di tassi di fertilità bel al di sotto del livello di sostituzione. Peraltro non ci voleva molto a capire che il crollo delle nascite, unito all’aumento della vita media, avrebbe portato nel giro di pochi anni a un rapporto insostenibile tra persone in età produttiva e pensionati. Ma , si sa, in un paese ubriaco di ideologie, guardare la realtà è un esercizio eroico.
Il rischio che si corre ora, però, è quello di vedere la questione demografica solo in funzione delle pensioni. In altre parole, ci si pone il problema della natalità soprattutto in funzione delle pensioni che verranno a mancare per i giovani di oggi e del futuro. Ma questa è una riduzione del problema, che prepara altre tragedie. Se non altro perché quando parliamo del futuro dei giovani pensiamo soprattutto a tutto quello che c’è prima della pensione, a cominciare dal lavoro. Sarebbe davvero paradossale se il futuro cui pensiamo fosse solo l’ammontare della pensione. E in ogni caso si fa fatica a condividere l’ottimismo del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, secondo cui – parole pronunciate al Meeting di Rimini - con la recente riforma il nostro sistema pensionistico è sostenibilissimo.
Bisogna allora aver chiaro che le conseguenze di una bassa natalità vanno ben oltre il problema pensionistico. Basterebbe soltanto notare il rapporto direttamente proporzionale fra calo della fertilità e aumento della disoccupazione. Uno dei temi forti dei vari neo-malthusiani che cianciano di sovrappopolazione è che, diminuendo il numero delle persone si starebbe sicuramente tutti meglio: più risorse, più lavoro per tutti. Sembrerebbe logico, elementare: e invece è la più grossa castroneria che si possa affermare, e la realtà è lì a dimostrarcelo. Come mai la disoccupazione giovanile è in aumento malgrado siano calati i giovani?
Il punto è che le risorse non sono affatto una quantità data, ma dipendono dalla capacità dell’uomo di usare gli elementi della natura per rispondere a sempre nuovi bisogni. E nella storia l’aumento della popolazione è sempre stato un fattore fondamentale nello stimolare la creatività dell’uomo per rispondere alle necessità di tutti. Basterebbe pensare allo sviluppo dell’agricoltura, oppure alla scoperta di nuove fibre – addirittura costruite in laboratorio - che oggi hanno in gran parte sostituito cotone e lana per la confezione degli indumenti necessari. E si potrebbe continuare all’infinito.
Ma anche i posti di lavoro non sono un numero fisso e immutabile, dipendono dagli investimenti. E chi non mette al mondo figli neanche investe, a maggior ragione in un paese come il nostro dove il 95% delle imprese è costituito da quelle piccole e medie. Nella piccola impresa c’è il proprietario che reinveste i profitti nell’azienda che dovrà passare ai suoi figli; e investendo crea nuovi posti di lavoro, e così faranno i suoi figli e poi i nipoti, e così via. Ma se i figli non ci sono perché i profitti dovrebbero essere reinvestiti? Del resto, mettere al mondo i figli indica un’apertura verso il futuro, decidere di non averli indica che non c’è alcun futuro da costruire, esiste soltanto l’oggi da consumare: e il profitto viene consumato. Senza investimenti, non solo i posti di lavoro non si creano, gradualmente si perdono. E così eccoci ad oggi: i giovani in cerca di lavoro sono diminuiti, ma i posti di lavoro ancor di più.
Non solo: con un crollo della fertilità persistente nel tempo tende a invecchiare anche la forza lavoro, con conseguente perdita di competitività. E’ logico infatti che le idee innovative, quelle che fanno conquistare nuove fette di mercato, vengono soprattutto dai giovani: con una età media crescente della forza lavoro non si ha più la capacità di competere con paesi più giovani e “affamati”. E’ una situazione che ancora oggi è mascherata da leggi commerciali internazionali dove viene fatto ancora prevalere il vantaggio di chi ha posizioni acquisite (vedi le grandi battagli in sede di Wto, organizzazione mondiale del commercio), ma presto o tardi anche questa diga verrà necessariamente abbattuta.
Si potrebbe continuare ancora nell’elencare gli effetti drammatici di una durevole bassa fertilità, ma questi pochi esempi possono far almeno intuire che il problema delle pensioni è soltanto la punta dell’iceberg.
La questione della natalità è dunque il nodo centrale di qualsiasi politica che abbia come obiettivo lo sviluppo del paese. Ma non è soltanto questione di numero di figli che vengono al mondo. E qui ha perfettamente ragione ancora il ministro Sacconi quando afferma – sempre al Meeting di Rimini – che ci si deve riferire a figli nati in una famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Perché i figli non valgono soltanto per il numero, ma è centrale la questione dell’educazione, che può essere garantita – è la realtà a dirlo – solo all’interno di una unione stabile e duratura.
Ma allora – se questa consapevolezza c’è – è ancora più pesante la responsabilità del governo e del parlamento davanti alle scelte da fare per garantire all’Italia una via d’uscita dalla crisi. Alcuni giorni fa, riprendendo il discorso del premier britannico David Cameron, avevamo rilanciato l’idea di un “test familiare” per ogni provvedimento da prendere, ovvero verificare se aiuta la famiglia oppure no. Lo si faccia subito a partire da questa manovra straordinaria.
In questi giorni al Meeting di Rimini si sono sentiti politici di ogni schieramento, anche ministri, pronunciarsi contro tagli lineari, cioè tagli percentualmente uguali per ogni voce di spesa (noi lo abbiamo fatto subito). E’ stato anche detto che sono disponibili 160 miliardi di euro in agevolazioni fiscali: sono tantissime le voci per possibili detrazioni, ma è qui che si deve immediatamente indicare una priorità, scegliere cosa è più importante, come ha proposto l’onorevole Gabriele Toccafondi: se è vero che oggi si possono detrarre 258 euro per le visite dal veterinario di animali domestici e 120 euro per la retta della scuola materna per i figli, allora qualcosa non quadra. Con tutto il rispetto per chi ha degli animali domestici, un governo normale di un paese normale non dovrebbe avere neanche il minimo dubbio su cosa tagliare e su cosa incentivare.