Napolitano a Pola, luci e ombre
Tutto benone. Ma i presidenti italiano e croato che condannano le passate violenze fasciste accennano invece
al comunismo solo indirettamente.
La visita del presidente della repubblica italiana Giorgio Napolitano a Pola sabato 3 settembre non ha rappresentato solamente un motivo di grande conforto e di gioia per i nostri connazionali residenti in Istria, a Fiume e nel Quarnero - questa è stata solamente la seconda visita di un capo di Stato all’unica minoranza nazionale italiana al di fuori dei confini dello Stato -, ma ha anche segnato, pur in presenza di contraddizioni non di poco conto, un’importante tappa nel cammino di riavvicinamento e di riconciliazione tra italiani e croati.
Nella loro dichiarazione congiunta, Napolitano e il presidente croato, Ivo Josipovic, hanno manifestato la fiducia che la comunanza fondata sulle istituzioni democratiche dei due Paesi e sul futuro cammino comune in Europa possa sempre più unire il popolo italiano e quello croato. Senza dimenticare i lati oscuri della storia comune, hanno affermato i due presidenti, «nel perdonarci reciprocamente il male commesso, volgiamo il nostro sguardo all'avvenire che con il decisivo apporto delle generazioni più giovani vogliamo e possiamo edificare in un'Europa sempre più rappresentativa delle sue molteplici tradizioni e sempre più saldamente integrata dinanzi alle nuove sfide della globalizzazione».
L’elemento positivo di questa dichiarazione è il riconoscimento dell’esistenza di gravi violenze che questi popoli si sono inferti reciprocamente nell’ultimo secolo sotto l’influenza di regimi totalitari nemici dell’umanità. In Italia, infatti, troppo spesso si tende a dimenticare il tentativo del regime fascista, in alcuni casi purtroppo con la collaborazione o il silenzio della Chiesa cattolica italiana, di italianizzare forzatamente le minoranze nazionali - sudtirolese, slovena e croata - presenti sul territorio del Regno d’Italia, e talvolta di espellerle dalle terre che abitavano. Da parte croata, invece, si minimizzano le violenze e i soprusi che portarono all’esodo in massa degli italiani dall’Istria, dal Quarnero e da Zara, considerato come frutto di una libera scelta di non accettare la cittadinanza jugoslava loro offerta.
La dichiarazione di Napolitano e Josipovic non manca tuttavia di contraddizioni, poiché il vero perdono reciproco e la riconciliazione possono sussistere solamente dal totale rinnegamento di quelle che sono state la radice delle violenze, il totalitarismo fascista e comunista.
In Italia lo Stato e la società hanno definitivamente tagliato tutti i ponti con l’oscuro passato fascista. Al contrario, fa parte della quotidianità politica della Croazia l’esaltazione da parte della sinistra, culturalmente egemone in questo Paese e della quale Josipovic fa parte a pieno titolo, della cosiddetta "lotta antifascista", la quale non ha portato, come in Italia, alla democrazia, ma a quasi cinquant’anni di feroce dittatura comunista, e ha provocato ferite nel popolo croato che ancora oggi non sono rimarginate. Vale la pena infatti ricordare che l’esclusivo interprete di questa lotta, il movimento partigiano di ispirazione comunista guidato dal maresciallo Tito, non si è reso responsabile solamente dei massacri degli italiani residenti nei territori da esso occupati, ma anche dell’uccisione a sangue freddo di decine di migliaia di croati non militari, e di una feroce persecuzione religiosa che durante la guerra e nei primi anni del regime ha portato in tutto il Paese all’uccisione di centinaia di sacerdoti e religiosi cattolici - il sito Internet del santuario dei martiri croati di Udbina rileva, per la sola zona di Karlovac, una sessantina di foibe nelle quali sono state gettate vittime del comunismo titino. Sulle violenze perpetrate dai partigiani titini e dal regime comunista da essi fondato la sinistra croata, ma anche quella slovena, respingono con indignazione ogni possibilità di discussione o indagine.
È interessante anche notare come nel comunicato vi sia la condanna esplicita delle violenze compiute dal fascismo, il comunismo venga menzionato solo indirettamente quando si parla della «folle vendetta delle autorità postbelliche dell'ex Jugoslavia». Evidentemente Napolitano e Josipovic non hanno ancora il coraggio di chiamare per nome l’ideologia totalitaria alla quale essi hanno contribuito personalmente e di fare pubblica ammenda a tale proposito.
Riponendo la propria speranza nel cammino comune nelle istituzioni europee, che di per sé favorirebbe la riconciliazione tra i popoli, i due presidenti sorvolano inoltre sul fatto che l’attuale politica dell’Unione Europea, caratterizzata da una sempre più manifesta normalizzazione in senso anticristiano, può al massimo portare a una versione più edulcorata delle famose "fratellanza e unità" (bratstvo i jedinstvo) che stavano alla base del totalitarismo comunista jugoslavo, per l’attuazione delle quali il regime cercò di cancellare la cultura, la lingua, la fede religiosa e la stessa coscienza nazionale del popolo croato.
Solamente la comune fede cristiana e cattolica di questi popoli, colpevolmente ignorata nel comunicato dei due Capi di Stato, se purificata da eccessi nazionalistici che sono per propria natura anticristiani, può portare al perdono reciproco e a una vera unità, permeata dall’amore, che rispetta le peculiarità di ogni popolo e le rende fondamenta per una reciproca elevazione e progresso.
Non possiamo quindi nascondere l’amarezza per il fatto che mentre un ateo e un agnostico parlano di perdono reciproco - pur con le contraddizioni espresse in precedenza, non possiamo dubitare della loro sincerità -, in queste terre un vescovo cattolico e il suo braccio destro, sacerdoti del Signore, gettano sale sulle ferite dei popoli che vivono in quest’area, risvegliando artificiosamente nel popolo croato sentimenti di ostilità contro gli italiani. Se degli uomini di Chiesa, anziché portare amore, diventano strumenti di odio, non possiamo che temere per il nostro futuro.