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KENYA

Nairobi, ecco chi c'è dietro l'attentato

Una donna residente in Gran Bretagna, convertita all'islam quando aveva solo quindici anni, sarebbe una delle anime dell'attacco al centro commerciale di Nairobi. Samantha Lewthwaite è affiliata ad Al Qaeda, ideologia tutt'altro che morta, che fa proseliti in Occidente.

Esteri 24_09_2013
centro commerciale di Nairobi

“Sono così triste e/ mi domando perché/queste nere nubi sul Kenya/che continuano a volteggiare intorno a me./ E’ una perdita di tempo/preferirei ricevere la mia shahada/penso che mi preparerò/acquisterò un vestito/e so che mi libererò dei kuffar  e dei murtadd e incontrerò il mio shaykh/Quindi forse domani sarà il Paradiso/troverò la mia via che conduce al Paradiso/ Quindi forse domani sarà il Paradiso/troverò la mia via che conduce al Paradiso/Mi guardo intorno e vedo quanto sia bello il jihad/E’ vivo in Kenya/E’ vivo in me/Respiro il jihad./ Voglio entrare felicemente nell’atmosfera del jihad in Somalia/Voglio la shahada oggi/E’ il mio momento/Quindi forse domani sarà il paradiso/troverò la mia via che conduce al Paradiso/ Quindi forse domani sarà il Paradiso/troverò la mia via che conduce al Paradiso/Chiedo a Allah di esaudire presto il mio desiderio per raggiungere presto il mio shaykh Aboud Rogo”.

Questa poesia risale al settembre 2012 ed è stata postata da Samantha Lewthwaite il cui nome oggi viene indicato tra le anime dell’attacco sferrato al centro commerciale Westgate di Nairobi. La donna è nota negli ambienti legati all’integralismo islamico come la “vedova bianca”, in quanto vedova di Germaine Lindsay, uno dei quattro terroristi suicidi degli attentati che hanno colpito Londra il 7 luglio 2005. Germaine Lindsay si era convertito all’islam radicale di stampo jihadista nel 2000 e nel 2002 si sposa con la Leawthwaite, anche lei convertita all’Islam e conosciuta in internet. In poche parole due convertiti residenti in Gran Bretagna sono passati da una delle tante chat nei forum legati al jihadismo alla costituzione di una famiglia di terroristi. Ma quel che deve farci riflettere è la storia di Samantha. La sua conversione avviene quando ha soli quindici anni. Una giovane che non è stata attratta da una religione, bensì da una ideologia, quella jihadista. Una giovane per la quale appartenere all’islam non ha significato credere in Allah e in una religione più consona alla propria anima e alla propria spiritualità.

La sua conversione, come quella del marito, ha segnato l’adesione a un’ideologia manichea che divide il mondo in buoni e cattivi, laddove i cattivi sono gli altri in senso lato ovvero i cristiani, gli ebrei e i musulmani che non condividono siffatta visione del mondo. Una conversione che ha richiesto la pronuncia della professione di fede islamica “Non esiste altro dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo Inviato” innanzi a testimoni. Curioso e triste è notare, nella poesia citata qui sopra, proprio l’uso della parola shahada, che letteralmente significa “testimonianza” e che in linea di massima indica il primo pilastro dell’islam ovvero la professione di fede. L’utilizzo del termine da parte della Leawthwaite è evidentemente un altro. Nel componimento indica quella che l’autrice, e i jihadisti, intendono come la forma più alta di testimonianza ovvero il martirio, l’immolazione sulla via di Allah. 

La giovane Samantha, oggi ventinovenne, viene considerata come una delle donne più pericolose al mondo per la sua affiliazione ad al-Qaeda. Il sito della televisione satellitare Al-Arabiya riporta, da anonime fonti dei servizi segreti, che la donna era risaputo raccogliere fondi attraverso una rete di contatti, che estendeva dal Regno Unito al Sudafrica, dal Pakistan alla Somalia, che poi venivano convogliati per finanziare operazioni di al-Qaeda in Africa. Non solo, pare che si occupasse anche dell’addestramento di donne suicide. 

E’ interessante sottolineare come un’ideologia manichea che si presenta come la quintessenza dell’islam radicale e conservatore che vorrebbe relegare le donne nelle retrovie, abbia trovato nelle donne uno strumento, e ribadisco un mero strumento, per affermarsi e per attaccare gli altri. “Ci avvieremo coperte dai nostri veli, avvolte nelle nostre vesti, le armi in pugno, i bambini in grembo, col sacro Corano e la sunna del profeta di Allah a indicarci la via” era d’altronde la benedizione delle martiri di Allah pubblicata nel 2004 dalla rivista Al-Khansa, il primo bollettino elettronico del jihad femminile. Ebbene Samantha è di fatto figlia di questa brutale ideologia distruttiva. 

Purtroppo l’attacco al centro commerciale di Nairobi e le notizie che continuano a giungere sia sulle vittime, ma soprattutto sulle persone coinvolte, ci portano ben aldilà di un singolo caso isolato. L’analista Walid Phares, riportando come fonte account Twitter legati agli Shabab, il gruppo jihadista che rivendica l’attacco, comunica che i terroristi sarebbero tutti di un’età compresa tra i 20 e i 27 anni. Ma la notizia che più colpisce è quella che riguarda la loro provenienza: Stati Uniti, Canada, Svezia, Gran Bretagna, Siria, Finlandia e Russia. Tutti addestrati in Somalia. Si tratta ancora di notizie che attendono conferme, ma che ci ricordano in primis che Al-Qaeda, e soprattutto la sua ideologia, non è morta, che Al-Qaeda recluta tra i giovani non solo musulmani, ma anche occidentali, che l’ideologia jihadista attrae a sé giovani che cercano un’identità, un valore forte per cui combattere e morire.

I tragici fatti di Nairobi sono destinati a diventare un tragico paradigma, un tragico esempio di come la cultura della morte possa ancora fare proseliti. Se lasciati liberi d’agire i predicatori della morte, del suicidio/martirio, possono dare solo i frutti che stiamo seguendo inermi e attoniti. Questi predicatori agiscono ancora liberamente in Occidente, mentre spesso sono monitorati e arrestati nel mondo islamico. Dovremmo fare un serio esame di coscienza e domandarci, guardando le vittime di Nairobi, se anche noi abbiamo qualche responsabilità nella conversione al jihad di giovani residenti sul territorio occidentale. Infine le istituzioni dovrebbero agire senza timore nella repressione di chi sostiene e diffonde l’ideologia jihadista, ma principalmente senza applicare quel relativismo/razzismo che vuole che non ci si preoccupi del terrorismo che pur nascendo da noi poi va a colpire altrove. Perché la vita, quella di tutti, è sacra senza se e senza ma.