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STORIE DI VITA

Nadia, che vuole sentirsi accompagnata per accompagnare

Una gravidanza salvata all'ultimo momento, fa nascere non solo il bambino: Nadia, felicissima, racconta la sua storia anche in tv e da lì tante altre donne si rivolgono a lei per un consiglio, un sostegno, finché anche Nadia decide di fondare un centro di aiuto alla vita.

Editoriali 21_06_2014
Donna incinta

Innumerevoli gli incontri al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli e innumerevoli le storie di donne, di racconti, di relazioni. Tutte belle e importanti le storie e le persone ma, come sempre, qualcuna sembra più significativa delle altre e ti rimane nel cuore in modo indelebile. Così è accaduto con Nadia ed è di lei che voglio raccontare.   

Periodo movimentato con la stampa! La rivista Panorama produce un bellissimo servizio sul Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, con tanto di splendide fotografie, una anche in copertina, e racconti di storie vissute. Dopo qualche giorno dalla sua uscita in edicola, ricevo un messaggio di posta elettronica che recita, più o meno, così: «Sono sul mio grande tappeto e sto giocando con i miei due cani; mi è capitata tra le mani la rivista Panorama che mostra la vostra attività e mi sono soffermata a sfogliarla. Sono incinta all’ottava settimana e, tra qualche giorno andrò a interrompere la gravidanza. Mi è, però, venuta la curiosità di parlare con lei; potremmo incontrarci?».

Seguivano tutti i diversi modi per poterla contattare. Mi sono precipitosamente attivata e, parlandole, riesco a fissare un appuntamento per il giorno precedente l’aborto. Nadia non vive a Milano per cui anche il trovarci è stato complicato. Essendo l’interruzione della gravidanza fissata per il martedì, ci incontriamo il lunedì pomeriggio, con la sensazione, da parte mia, che “i giochi” siano già fatti.

Nadia è una bella e giovane donna di trentadue anni, moderna e intraprendente, che non ha riserve a raccontare la sua storia. Comincia subito col dire che lei ha già interrotto una gravidanza alcuni anni fa, che ne ha un brutto ricordo, ma che, anche questa volta, non vede altre vie d’uscita.

Nadia ha da un anno circa una storia che lei giudica “seria” con Mario, un giovane equilibrato e maturo, a cui piace l’informatica, e che, purtroppo, non ha più la garanzia del lavoro stabile. Nadia ha però incontrato Josè, brasiliano, creativo, effervescente, che la fa sentire molto viva. Hanno preparato un lavoro insieme, si sono sentiti sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda, hanno anche sperimentato un’intimità sessuale.

Tutta concentrata su ciò che mi sta raccontando, mi guarda come se volesse studiare l’espressione del mio viso in cerca di qualche traccia di giudizio morale o, peggio, moralistico; forse non immagina quante storie di tutti i tipi sono abituata ad ascoltare e di quanto io sia convinta che ciascuno debba essere protagonista della propria vita. Un po’ ingenuamente mi chiede: «Di chi sarà questo bambino secondo lei? Non potrei vivere con Mario sapendo che il bimbo che mi porto dentro è di un altro uomo».

In questi momenti è il silenzio che mi aiuta; Nadia e io siamo lì insieme a sentire la densità delle sue parole. Perché la vita di quel bambino deve dipendere da una paternità piuttosto che da un’altra?Sembra che la sua vita possa continuare o no a seconda dei gesti compiuti da altri e che a lui nessuno pensi.

«Credo proprio di non poterle essere di aiuto! Per queste cose è sufficiente lo scarto di qualche ora, (mi riferisco naturalmente al momento dell’ovulazione), ma forse non è di questo che dobbiamo parlare. Com’è la relazione con le due persone? Con quale si sente di condividere la propria vita?».

Non lo sa; con Mario si sente più sicura, con Josè si sente più viva e frizzante. Mario le resterebbe accanto anche con il dubbio che il figlio non sia suo, Josè fa fatica a pensarla incinta. E poi ci sono tutte le preoccupazioni economiche: Nadia svolge un lavoro molto creativo di tipo artigianale che, però, è fortemente calato, e Mario non ha più entrate sicure. La casa è proprio adatta per loro e per le sue attività artistiche, per non parlare di come si trovano bene i suoi cani!

Stando insieme, però, nel tentativo di instaurare una relazione, Nadia diventa sempre più pensosa e problematizzante, per cui mi spingo un po’ più in là e inizio a farle delle proposte cercando di mettere un po’ d’ordine. Comincia, per esempio, a parlare di un test di paternità e di vari accomodamenti del suo tenore di vita. Tento di farle sentire la mia empatia fino ad accorgermi che mi sta rovesciando addosso tutto il dolore per l’aborto precedente.

«Davvero lei e il suo Centro mi aiutereste?» Le parlai, allora, anche dei nostri eventuali colloqui futuri, dei progetti che avremmo potuto mettere a punto insieme, del male che non si sarebbe procurata con un altro aborto… 

«Porterò avanti questa gravidanza! Dovrò comunque comunicarlo all’ospedale». Ci salutammo, le lasciai il mio numero di telefono per qualunque evenienza, e l’accompagnai alla porta, pensando che tutto fosse ancora molto confuso e pencolante. Confesso che la mattina successiva la pensai in ospedale per l’intervento di interruzione, ma nel pomeriggio arrivò una sua telefonata in cui mi confermava di non esserci andata e di aver deciso per la vita del suo bambino.

Cominciammo a fornirle i nostri aiuti; Nadia per lungo tempo, ogni mattina, mi scriveva messaggi di “buon giorno” affermando che l’aria si riempiva di profumi, l’acqua del lago era trasparente e un cespuglietto di mughetti del suo prato era dedicato a me. Il pancione di Nadia cresceva e lei sentiva la fatica di non saper attribuire la vera paternità e, così, si organizzò per andare a Roma dove aveva scoperto di poter indagare con certezza su quest’aspetto della sua gravidanza.

Il bimbo risultò figlio di Mario e Nadia ne fu felice. Ora aspettavano in due e, in due, cominciarono a fare progetti. Nadia era diventata una strenua sostenitrice del nostro Centro di Aiuto alla Vita, tanto che un giorno, essendo entrata in un bar e avendo sentito accuse ideologiche sull’operato del nostro Centro, intervenne nella discussione dicendo che le cose buone della sua vita, anche la spremuta che stava bevendo, erano dovute al nostro aiuto.

Poi nacque Federico, un bel bambino sano che si rivelò anche di buon carattere. Nadia era felice della sua maternità, tanto che trovò anche il modo di andarne a parlare in televisione. Quella trasmissione fu l’inizio di un’altra avventura: infatti, subito lo stesso giorno, Nadia fu chiamata da una donna che, prenotata per abortire, aveva deciso di portare avanti la gravidanza, ancora una volta all’ultimo minuto, per aver ascoltato la sua storia.  Qualche tempo era passato quando mi arrivò un suo messaggio che mi annunciava un’altra gravidanza voluta e cercata: questa volta si trattava di una bambina. Qualche altra settimana e poi un S.O.S. che, inizialmente, mi fece un po’ spaventare: «Chiamami, ti prego, ho urgentemente bisogno di te».

L’ho chiamata, naturalmente, e mi sono sentita dire che dalla trasmissione televisiva, altre donne si erano messe in contatto con lei e altre gravidanze stavano proseguendo. Aveva cambiato casa, aveva venduto l’automobile, Mario stava lavorando, e lei voleva tutte le coordinate formali per aprire un Centro di Aiuto alla Vita. «Solo se tu mi aiuti, però!».

Nadia non stava chiedendo aiuti materiali o professionali, poiché aveva già coagulato attorno al nascente Centro la presenza di una ginecologa e di una psicologa e messo a disposizione uno spazio per insegnare alle future madri vari tipi di lavori da poter svolgere a casa. 

Nadia vuole sentirsi accompagnata per accompagnare.