Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
GIUNTA MILITARE

Myanmar, le prime esecuzioni capitali. Inutile appello alla Cina

Nel Myanmar sono stati impiccati quattro prigionieri politici. Il deputato Phyo Zeya Thaw, lo scrittore Kyaw Min Yu, gli attivisti Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw erano stati condannati a morte da un tribunale militare. Gli Usa si appellano alla Cina perché induca il Myanmar a rispettare i diritti umani. Ovviamente senza esito.

Esteri 27_07_2022
Omaggio ai prigionieri politici giustiziati nel Myanmar

Per la prima volta in un trentennio, nel Myanmar sono stati impiccati quattro prigionieri politici. Il deputato Phyo Zeya Thaw, lo scrittore Kyaw Min Yu, gli attivisti Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw erano stati condannati a morte da un tribunale militare a gennaio. Nonostante le proteste internazionali, anche dei vicini Paesi dell’Asean, la giunta birmana ha ordinato le esecuzioni lunedì.

Phyo Zeya Thaw era diventato celebre come rapper, le sue canzoni erano proteste contro i militari. Negli anni precedenti il golpe di febbraio, quando il Myanmar pareva avviato nella sua transizione democratica, Phyo Zeya Thaw era stato eletto in parlamento nelle file della Lega Nazionale della Democrazia, conosciuto come stretto alleato della sua leader storica Aung San Suu Kyi. Era anche fondatore del movimento giovanile Generazione dell’Onda. A gennaio, in un processo politico senza possibilità di difesa, è stato condannato per “cospirazione con finalità terroristiche”, assieme allo scrittore Kyaw Min Yu.

Quest’ultimo, noto con lo pseudonimo di Ko Jimmy, era un dissidente di vecchia data. Era diventato una figura di spicco dell’opposizione democratica alla precedente giunta militare nella rivolta del 1988, sempre nelle file del partito di Aung San Suu Kyi. Arrestato allora, era rimasto anch’egli agli arresti per 20 anni, fino all’inizio del tentativo di transizione democratica e di apparente disgelo. Si conoscono meno dettagli degli altri due attivisti giustiziati, Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw, accusati di aver ucciso una presunta informatrice della giunta militare.

Per le organizzazioni internazionali per i diritti umani, fra cui Amnesty International, i quattro prigionieri condannati a morte hanno subito un processo farsa. La giunta ha infatti imposto la legge marziale e trasferito l’autorità giudiziaria dai tribunali civili a quelli militari, dove gli imputati sono giudicati «a seguito di un processo sommario e senza diritto di appello». «Secondo il diritto e gli standard internazionali, le esecuzioni eseguite a seguito di processi iniqui violano il divieto di privazione arbitraria della vita, nonché il divieto assoluto di tortura e altre punizioni crudeli, inumane o degradanti», recita il comunicato della nota Ong.

Persino Hun Sen, primo ministro della Cambogia e considerato vicino alla giunta birmana, consigliava al generale Min Aung Hlaing di “riconsiderare” e “astenersi” dall’eseguire gli ordini di impiccagione. A nome dell’Asean, di cui è presidente di turno, riteneva che stessero causando «grave preoccupazione tra i Paesi membri dell'Asean e i suoi partner». La giunta militare ha risposto seccamente che questi prigionieri “meritavano la pena di morte”.

La condanna della comunità internazionale non si è fatta attendere, ma solo a parole. Tom Andrews, inviato speciale delle Nazioni Unite nel Myanmar, ha sollecitato una “risposta forte” dopo che: «Queste persone sono state processate, incarcerate e giustiziate da un tribunale militare, senza diritto d’appello e, secondo quanto riferito, senza una difesa legale, in violazione della legge internazionale sui diritti umani».

Oltre alla tragedia, negli ultimi giorni c’è stato spazio per la farsa: gli Usa, tramite il Dipartimento di Stato, hanno chiesto alla Cina di intervenire sul governo militare per indurlo a rispettare maggiormente i diritti umani. Secondo il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, l'ascendente di Pechino sul Myanmar è "unico". Ma La Cina, che detiene il record di esecuzioni capitali, anche per reati meramente politici, ha immediatamente risposto di non voler “interferire negli affari interni di altri Paesi”. Anche se tuttora resta il sospetto che il regime di Pechino abbia contribuito, direttamente o indirettamente, al golpe militare nel Myanmar.

Le quattro esecuzioni capitali, sono solo la punta dell'iceberg della repressione militare. Da febbraio ad oggi, secondo fonti indipendenti birmane, i civili uccisi sono circa 2mila, spesso a seguito di esecuzioni extra-giudiziali.