Museruola ai virologi? Sempre pericoloso censurare
Arrivano le restrizioni anche per i virologi. Un ordine del giorno della Camera propone limiti alla libertà di espressione dei virologi, responsabili dell'infodemia che dura da un anno e mezzo. Le proteste dei virologi, che parlano di fascismo dopo che hanno dominato la scena, sono surreali. Ma la censura è sempre pericolosa.
A un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, le restrizioni arrivano anche per i virologi. Non riguardano divieti di circolazione o di accesso, ma solo di strombazzamento mediatico. La notizia ha una duplice lettura e va valutata con obiettività, senza pregiudizi. Mercoledì alla Camera, nell’ambito della discussione sul decreto legge Green Pass bis, è stato approvato un ordine del giorno, prontamente accolto dal governo, che prova a mettere ordine nelle esternazioni dei virologi e dei medici in tv e sui giornali. A presentarlo Giorgio Trizzino, medico, eletto nel 2018 con il Movimento 5 Stelle e passato al Gruppo Misto pochi mesi fa.
La questione è complessa e attiene all’autonomia di pensiero e di azione del singolo professionista di una struttura pubblica o privata nel commentare notizie di interesse pubblico utilizzando il ruolo in essa ricoperto. La notorietà di tali soggetti, infatti, deriva in primo luogo dall’autorevolezza delle istituzioni nelle quali lavorano, oltre che da meriti personali. Giusto, quindi, calibrare i pensieri su temi sensibili evitando di mettere in difficoltà i responsabili della struttura nella quale si lavora.
Questo è più o meno il ragionamento alla base dell’ordine del giorno, che ha però anche e soprattutto un positivo risvolto pratico legato al diritto dei cittadini di ricevere un’informazione corretta in un ambito così delicato come quello della tutela della salute. Se la ratio è questa, appare alquanto tardiva una iniziativa del genere, visto che il peggio sembra alle spalle e considerato il fatto che per oltre un anno e mezzo il “Festival della virologia a reti unificate” ha alimentato quel terrorismo mediatico tanto deleterio per la psiche delle persone e per la serenità dei rapporti interpersonali. La gente, già disorientata dai continui dpcm e dai soliloqui notturni dell’ex premier, Giuseppe Conte, ha sperimentato la parziale inaffidabilità di molti scienziati che hanno affrontato il tema Covid evidenziando spesso contraddizioni e mostrando incoerenza nei messaggi.
Nei dettagli, il testo approvato a Montecitorio impegna il governo a «valutare l’opportunità di intervenire affinchè l’esercente la professione sanitaria dipendente di una struttura pubblica o privata, siano esse convenzionate o accreditate, nonché i dipendenti e i collaboratori, gli organismi ed enti di diretta collaborazione con il Ministero della Salute possano fornire informazioni relative alle disposizioni concernenti la gestione dell’emergenza sanitaria in corso, tramite qualunque mezzo di comunicazione, previa esplicita autorizzazione della propria struttura sanitaria». Tutto ciò «al fine di evitare di diffondere notizie o informazioni lesive per il Sistema sanitario nazionale e di conseguenza per la salute dei cittadini».
Ovviamente i diretti interessati non l’hanno presa bene e gridano addirittura alla censura e al fascismo. «Non si può mettere un bavaglio a medici e professori universitari che parlano di come evolve una malattia infettiva come il Covid perché, fino a prova contraria, siamo in uno stato democratico. Limitare la libertà di parlare sarebbe gravissimo, scandaloso, questo è fascismo. Sarebbe una norma che rasenta la stupidità, il ridicolo», tuona Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, che addirittura azzarda: «Credo che abbiano paura del nostro pensiero, ci vogliono tappare la bocca perché siamo più convincenti della fuffa dei no vax».
Non meno duro Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano: «Certo – dice – ci sono persone che dicono assolute sciocchezze, altri che dicono e poi disdicono, e ci sono anche professionisti che spiegano le cose come stanno. Ma in questo caso siamo al grottesco: impedire ai medici di esprimersi è come dire che un avvocato non può discutere di argomenti giuridici in Tv e sui giornali o un ingegnere di argomenti tecnici». Curiosa, invece, la reazione di Fabrizio Pregliasco. «Più che quest’ordine del giorno – commenta il virologo milanese - servirebbe una Carta che contenga modalità e principi per la divulgazione di notizie scientifiche. Una Carta che valga anche per politici, giornalisti, avvocati, cosiddetti esperti, tutti coloro che intervengono sui media. Ma poi non si sa chi è che dovrebbe controllare». Pregliasco evidentemente non sa che i giornalisti e i mezzi di informazione hanno già regole ben precise per la divulgazione delle notizie di natura scientifica. Sono contenute nel Testo unico dei doveri del giornalista, peraltro modificato proprio nel novembre 2020 a seguito della pandemia, al fine di rilanciare l’importanza del giornalismo medico-scientifico e di evitare che esso rimanga prigioniero di sensazionalismi e approssimazioni non fondate su dati scientifici. Evidentemente nessuno ha vigilato, neppure i consigli di disciplina dei giornalisti, se è vero che la deriva della spettacolarizzazione delle opinioni dei virologi ha preso il sopravvento su qualsiasi analisi giornalistica ragionata e documentata sull’andamento della pandemia.
Detto questo, se è ragionevole immaginare di mettere ordine nelle opinioni di immunologi e virologi e, dunque, se appare opportuna l’iniziativa parlamentare di due giorni fa, occorre comunque sottolineare quanto sia pericoloso legittimare interventi a gamba tesa del governo sul terreno dell’esercizio della libertà d’espressione. In altre parole, se l’ordine del giorno approvato alla Camera 48 ore fa si traducesse anche in una limitazione aprioristica delle opinioni sul Covid, sulla gestione della pandemia, sulle incertezze della campagna vaccinale e sugli altri aspetti relativi all’emergenza, la libertà d’informazione ne risulterebbe menomata e il giornalismo medico-scientifico diventerebbe lo specchio di interessi di parte anziché la rappresentazione pluralistica di fatti, idee e opinioni riguardanti la salute delle persone.