Mosul attende la liberazione, l’Isis decapita le “spie”
Mosul si prepara all’offensiva finale delle forze irachene e della Coalizione per liberare la città dai miliziani del Califfato. Nelle ultime ore, l’Isis ha intensificato la repressione interna con esecuzioni sommarie di persone accusate di "spionaggio" e pubblicazione di video di decapitazione di decine di vittime.
Defezioni e panico a Mosul tra i miliziani dello Stato Islamico in vista dell’imminente offensiva di iracheni e Coalizione per liberare la città. Lo riferiscono numerose fonti anche se nessuna verificabile e vale sempre la pena di prendere con le molle informazioni che hanno un chiaro valore propagandistico.
Abitanti del capoluogo citati dal portale Vetogate riferiscono di una grande mobilitazione dei jihadisti dopo insistenti voci sulla fuga dalla città di tre stretti collaboratori del Califfo Abu Bakr al Baghdadi. Si tratterebbe di Abu Iman al Iraq (indicato come direttore di al Bayan, principale radio del Califfato che trasmette proprio da Mosul), Mahmoud Mohammed Sliman, (definito «rappresentante personale del Califfo») e «il capo della polizia segreta» dell'organizzazione il cui nome non viene indicato. Secondo il quotidiano panarabo al Sharq al Awsat, l'Isis «ha scavato un fossato largo due metri intorno a tutta Mosul» lasciando solo una striscia nella parte occidentale probabilmente «per lasciare una via fuga nel deserto verso la Siria» per i suoi combattenti, come sostengono le fonti del giornale.
Nel fossato i jihadisti avrebbero sistemato delle «taniche di petrolio per incendiarlo e oscurare la vista agli aerei». Il quotidiano raccoglie anche diverse testimonianze di abitanti della città secondo i quali gli uomini dell’Isis «hanno eretto barricate di cemento e terrapieni introno a molti quartieri, costruito reti di tunnel sotterranei» oltre ad aver «trasportato grandi blocchi di cemento all'aeroporto per impedire l'atterraggio sulla pista degli aerei» della Coalizione. Ieri anche il Washington Post ha pubblicato un lungo articolo nel quale parla di «segnali di panico e di ribellioni» a Mosul e riferisce di esecuzioni sommarie di persone accusate di "spionaggio" con tanto di pubblicazione di video di decapitazione di decine di vittime proprio in questi ultimi giorni.
In particolare, in un filmato che mostra uomini inginocchiati in tute arancione, prima di essere colpite alla testa, si vede la lettera "m" spruzzata sul muro alle spalle delle vittime (iniziale di Mukawama, ovvero Resistenza, slogan delle “brigate di Mosul”, partigiani che combattono l’Isis). Anche il sito iraniano Iran Front Page, (Ifp) conferma le difficoltà del Califfato a Mosul e rilancia la notizia di cui riferimmo anche noi, secondo la quale dall'inizio di questo mese, per motivi di sicurezza, a Mosul gli uomini del Califfo avrebbero vietato il velo integrale alle donne che intendono entrare nei comandi militari e di polizia dopo che diversi comandanti dell'Isis sono stati uccisi da uomini vestiti con abiti femminili.
Mercoledì il generale Joseph Dunford, capo di stato maggiore delle forze Usa, ha lasciato intendere che l'assalto delle forze irachene e della Coalizione a Mosul potrebbe prendere il via a inizio ottobre aggiungendo che «gli iracheni avranno tutte le forze pronte ed equipaggiate per le operazioni». Per l’offensiva l’Iraq ha raccolto circa 100 mila combattenti tra forze militari e di polizia, peshmerga curdi e milizie scite appoggiate da migliaia di iraniani e dalla Coalizione internazionale. Washington ha inviato in Iraq altri 400 militari (sono ormai 4.500 i militari Usa in Iraq) con lanciarazzi a lungo raggio Himars e 12 elicotteri da attacco Apache nella base aerea di Qayyara, 60 chilometri da Mosul e da pochi giorni strappata all’Isis. Anche l’imminente arrivo della portaerei francese “Charles de Gaulle”, che con i suoi 24 caccia Rafale triplicherà il potenziale aereo di Parigi in Medio Oriente, sembra indicare il prossimo avvio delle operazioni per la riconquista di Mosul per le quali i francesi hanno inviato sul terreno anche 4 obici semoventi.
Improbabile, invece, il coinvolgimento dei militari italiani presenti nella regione con 500 bersaglieri che proteggono la Diga di Mosul e 8 elicotteri AW-129 e NH-90 basati a Erbil. Forze che non hanno l’incarico di partecipare all’offensiva, ma potrebbero comunque trovarsi coinvolte in combattimenti. Sul campo di battaglia il cerchio intorno a Mosul continua a stringersi (ieri è caduta Shirqat, cento chilometri più sud), ma si valuta anche l‘impatto dell’offensiva sulla popolazione. Non ci sono stime accurate del numero di civili che rimangono in una città che prima dell’invasione dell’Isis contava due milioni di abitanti, ma le Nazioni Unite valutano che più di un milione di persone potrebbero abbandonare Mosul e i suoi dintorni durante l'offensiva. Gli Usa hanno stanziato 181 milioni di dollari per aiuti umanitari destinati alla nuova ondata di profughi interni prevista quando scatterà l’attacco a Mosul.
Mentre accelerano le operazioni contro l’lsis in Iraq, gli Usa sembrano al tempo stesso voler congelare il conflitto in Siria per evitare la vittoria di Damasco e dei suoi alleati russi e iraniani. L’ambigua, ma pragmatica strategia statunitense per gestire in modo diversificato i due fronti del conflitto in “Siraq” emerge chiaramente dalle iniziative militari e diplomatiche degli ultimi giorni. I raid aerei compiuti sabato “per errore” (ma né Mosca né Damasco ci credono) dalle forze aeree americane contro i militari di Damasco a Deir ez Zor hanno compromesso la tregua che ha avuto il colpo di grazia dall’incursione attribuita ai jet russi (che Mosca nega e l’Onu non conferma) contro un convoglio umanitario ad Aleppo. Un cessate il fuoco che consentiva di colpire i ribelli jihadisti per poi dialogare con i “moderati” che non piaceva agli arabi né a Washington.
Il peso politico e militare dei “moderati” sarebbe, infatti, molto scarso un volta tolti di mezzo le più potenti milizie jihadiste (Isis, salafiti ed ex al-Qaeda) lasciando Bashar Assad (e Putin) padroni indiscussi della Siria. Per questo, le ultime proposte di Kerry prevedono una no-fly zone per impedire l’impiego dello strumento aereo, marginale per la Coalizione a guida Usa, ma che invece costituisce il grimaldello delle offensive russo-siriane. A complicare ulteriormente lo scenario siriano, ma a chiarire ancora una volta il ruolo ambiguo di Washington, contribuiscono anche le iniziative annunciate dall'amministrazione Obama che sta per armare direttamente i combattenti curdi in Siria del Pyd. Il New York Times parla di una possibile "svolta" da parte della Casa Bianca dettata dalla necessità di accelerare l'offensiva contro i militanti dell'Isis, ma che irriterebbe la Turchia che si vedrebbe costretta a estendere l’operazione “Scudo dell’Eufrate” contro lo Stato Islamico a tutto il nord della Siria controllato dai curdi.
A quanto pare Obama vorrebbe una grande offensiva contro Raqqah, capitale del Califfato, prima del suo addio alla Casa Bianca ma il premier turco Binali Yildirim ha definito «un'azione da condannare» le eventuali forniture belliche statunitensi ai curdi delle Forze di Difesa Popolare (Ypg) considerate un'organizzazione terroristica da Ankara. In occasione dell'Assemblea generale Onu, il portavoce del presidente turco Ibrahim Malik, ha specificato che nell’offensiva contro Raqqah «se vi parteciperanno i curdi siriani la Turchia si tirerà fuori».