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APPROPRIAZIONE INDEBITA

Mosca è ancora la porta per entrare nel Palazzo di Bashar el Assad

I ribelli bloccati sulla via che porta a Damasco. Defezioni verso la massa critica. Il Cremlino offre mediazione.

 

La rivolta arriva così vicino che “sta forando come fosse una bolla quel senso di invulnerabilità che fino a ieri faceva credere nel governo e nella sua capacità di poter sopravvivere”, scrive Liz Sly, inviata intrepida a Damasco per il Washington Post. Nella sua residenza il presidente Bashar el Assad può sentire gli scontri a fuoco tra gli insorti e l’esercito a otto chilometri dalla capitale. Si avvicinano e si allontanano, a fasi alterne, attraverso la El Ghouta, la zona delle campagne coltivate a grano e uliveti che forma una fascia allungata verso sud e verso est, un tempo così bella che il profeta Maometto, arrivando, non volle avanzare di più “perché a un uomo è consentito di entrare in Paradiso soltanto una volta”. Da tempo è stata divorata dalla conurbazione sudicia ed è ingombra di quartieri poveri di sunniti che ora sono altrettanti focolai di rivolta. L’El Ghouta comincia ad appena mezz’ora di auto dal centro se si guida su quelle stesse strade che il presidente, su Vogue America di marzo 2011, si vantava di percorrere da solo al volante, senza scorta e anche senza nulla da temere grazie all’amore del popolo. Oggi sono occupate da un corpo militare di difesa messo assieme in fretta con duemila soldati e carri armati che blocca con successo l’avanzata dei ribelli riuniti nell’Esercito libero di Siria. Da sabato acqua e luce sono state tagliate. In tre giorni ci sono stati cento morti.

Il bollettino delle defezioni accelera.
Giovedì è uscito un video con la diserzione di cento pretoriani della Quarta divisione corazzata, trasformata in una festa di strada improvvisata dagli abitanti di Hama. La Quarta: si tratta – si trattava – dell’unità più leale delle forze armate, erede della Forza di Difesa comandata da Rifaat Assad – lo zio del presidente Bashar – che fu esecutrice materiale del massacro contro la Fratellanza musulmana di Hama nel 1982. Di solito la divisione era schierata fissa sul confine del Golan con Israele, per bloccare l’avanzata verso Damasco, ma da un anno corre qua e là per il paese a spegnere le rivolte. Oggi la comanda Maher al Assad, il fratello tristo del presidente, che per primo ha ordinato ai soldati di sparare contro i civili nella primavera 2011.

Domenica ha disertato un’unità missilistica,
che ora minaccerebbe di puntare i missili contro il palazzo di Bashar e contro la sede centrale dell’intelligence. Ha disertato anche Hani Mustafa Mansur, ufficiale nei servizi segreti dell’aviazione – che non si occupano di aviazione, è soltanto un’inquadratura formale, sono specializzati nella repressione dei sunniti. Soprattutto ha disertato Mohamed Khallouf, capo del cosiddetto settore Palestina dei servizi segreti, tra i più brutali e attivi nella controrivoluzione. Khallouf è nella lista dei comandanti colpiti dalle sanzioni europee e americane: è stato inseguito assieme a 300 dei suoi uomini da un convoglio di soldati lealisti sulla strada che porta all’aeroporto. Poche ore dopo, sulla stessa strada, i ribelli – hanno detto al quotidiano egiziano al Masri al Youm – hanno intercettato un corteo di auto che portava la famiglia del presidente verso un volo di fuga. E’ tornato subito indietro.

Ieri il ministero degli Esteri russo ha invitato il governo siriano e i ribelli a mandare due delegazioni di rappresentati a Mosca, per negoziare una sospensione dei combattimenti e un accordo (i ribelli hanno risposto già no). La Russia è la protettrice più potente di Damasco nell’arena internazionale. Vuole battere sul tempo la risoluzione che oggi Francia e Gran Bretagna chiedono al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, su proposta della Lega araba, che prevede le dimissioni del presidente e il trasferimento dei suoi poteri al vice. Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, sostiene la risoluzione. La Casa Bianca appoggia anche i negoziati a Mosca, “tutto per una soluzione politica, perché la caduta di Bashar è ormai inevitabile”. La Siria è uno dei primi cinque acquirenti di armi dalla Russia, assorbe il 6 per cento dell’export e ci sono contratti attuali per altri 4 miliardi di dollari, essenziali per la sopravvivenza di alcune industrie. Le compagnie russe hanno anche contratti da 20 miliardi di dollari per l’estrazione di gas. La sola base militare di Mosca fuori dal territorio dell’ex Unione sovietica è a Tartus, porto sul Mediterraneo, agognato e unico sbocco “in acqua calda” (gli altri porti sono intralciati dai ghiacci).

Da Il Foglio del 31 gennaio 2012