Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
KHMER ROSSI

Morto Nuon Chea, sterminatore perché comunista autentico

Si è spento all’età di 93 anni Nuon Chea, ideologo dei Khmer Rossi, braccio destro di Pol Pot. Il regime che contribuì a costituire provocò 2 milioni di morti in quattro anni e immani sofferenze anche ai sopravvissuti. Era comunismo puro, senza tappe intermedie. 

Editoriali 05_08_2019
Nuon Chea durante il processo

Si è spento all’età di 93 anni Nuon Chea. Un nome che può dir poco alla maggioranza dei cittadini del mondo in questo 2019, ma che è quello di uno dei più sanguinari ideologi del Novecento. Nuon Chea era infatti il presidente dell’Assemblea rappresentativa del popolo, nonché vice-segretario del Partito Comunista cambogiano: era il “fratello numero 2” del regime dei Khmer Rossi, secondo solo al dittatore Pol Pot. Si dice che sia stato soprattutto lui l’ispiratore, l’ideologo del regime che assassinò due milioni di persone in meno di quattro anni, un quarto dell’intera popolazione cambogiana di allora.

Nuon Chea era nome di battaglia di Lau Kim Lorn, nato da famiglia abbiente di origine cinese, al confine con la Tailandia. Dopo aver studiato a Bangkok, militò prima nel Partito Comunista tailandese, poi alla guerriglia cambogiana, quando tutto il Sudest asiatico (gli attuali Vietnam, Laos e Cambogia) era ancora una colonia francese. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e dopo la sua militanza nell’insurrezione anti-francese, partecipò da subito, assieme a Pol Pot, alla formazione del Partito Comunista cambogiano. Quando i Khmer Rossi, cioè i comunisti cambogiani filo-maoisti, presero il potere alla fine di aprile del 1975, Nuon Chea si ritrovò ai vertici del nuovo regime. Per quei 4 anni al potere, dal 1975 all’inizio del 1979, il tribunale internazionale della Cambogia lo ha condannato all’ergastolo nel 2014 per crimini contro l’umanità, poi nel 2018 anche per genocidio (per lo sterminio sistematico delle etnie vietnamite e cham in Cambogia). E’ stato condannato anche per altri reati, quali: riduzione in schiavitù (nei campi di lavoro e “rieducazione”), matrimoni forzati e violenze sessuali sistematiche.

Il crimine cambogiano, uno dei peggiori nel “secolo crudele”, per ferocia e intensità, può essere considerato come un’aberrazione del comunismo o come una sua applicazione coerente? La domanda è d’obbligo nel giorno in cui muore il suo ideologo. L’opinione pubblica negli ultimi anni è rimasta sconvolta dalle notizie che riguardano la violenza dell’Isis e soprattutto è rimasta sbalordita per le regole di vita incredibilmente rigide imposte alla popolazione nei territori da esso controllati: divieto di cantare e di suonare, divieto di usare matite e pastelli colorati, divieto di bere il caffè o di fumare alla finestra potevano costare frustate o pene carcerarie severissime. Tutte le regole imposte dall’Isis nel nome della sharia erano già state imposte dai Khmer Rossi al popolo cambogiano nel nome dell'ateismo. Non si poteva scambiare neppure uno sguardo con la moglie, tantomeno tenerla per mano o dirle parole dolci (per un “cara” detto alla moglie, il medico e attivista cambogiano Haing Ngor venne torturato). Le religioni erano completamente bandite. I buddisti, che costituivano il 90% della popolazione, vennero sistematicamente "rieducati", i loro monaci sterminati. L'islam della minoranza Cham venne liquidato con metodi genocidi. La minoranza cristiana venne bandita e sradicata. Tutte le chiese furono rase al suolo, il materiale ricavato venne usato per altre costruzioni.

Non si poteva vivere in città: tutti i residenti cittadini vennero deportati in massa nei primi giorni del nuovo regime, inclusi malati, anziani, moribondi e bambini appena nati. Morirono a centinaia di migliaia, solo in quei primi giorni. Non si potevano parlare lingue straniere. Non si dovevano avere contatti con l’estero. Le minoranze etniche erano automaticamente considerate "nemiche" perché rappresentavano popolazioni straniere.

Non si poteva neppure portare gli occhiali: ogni segno di “decadenza borghese” era punito dai capi locali, anche con la morte se lo ritenevano necessario. La proprietà privata era abolita completamente. Non solo i pasti si dovevano consumare in comune, ma si doveva dormire in spazi comuni nelle comunità agricole fondate dal regime per creare l’uomo nuovo contadino cambogiano, "libero" da tutti i vizi cittadini. Si moriva di fame, perché il sistema di redistribuzione applicato a qualunque genere di prima necessità era insostenibile, ma chi rubava dai catasti era punito con la morte. I sentimenti personali erano vietati, come dimostra il caso di Haing Ngor, ma anche la stessa famiglia era di fatto abolita. Era il regime che decideva al posto della persona chi sposare, i figli erano affidati all'educazione collettiva, separati dai genitori fin dai primi anni di vita. L’amore più grande doveva sempre essere rivolto al Partito, che rappresentava la collettività.

Questa società non è l’aberrazione del comunismo: è comunismo puro. E’ l’utopia di Marx, applicata alla lettera dall’ideologo Nuon Chea e da Pol Pot, oltre che dai loro numerosi esecutori, senza gradualismo, senza passaggi intermedi. Senza, dunque, quella tappa storica chiamata “socialismo reale” che nell’Urss aveva portato alla burocratizzazione del regime e che anche in Cina, secondo il punto di vista dei Khmer Rossi, stava rallentando troppo la realizzazione della società comunista.