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ETERNIT

Morire di amianto, soffrire di maxi processi

Il processo Eternit è caduto in prescrizione. È il problema di tutti i maxi processi. Dilatando il numero degli imputati, i Pm ci guadagnano in notorietà e carriera, ma la giustizia ne risente perché i tempi diventano eccessivi. È questo il vero problema seguito a una tragedia. 

Editoriali 23_11_2014
Eternit, la protesta

È notevole il clamore suscitato dalle sentenza della Corte di Cassazione sul “caso Eternit”: una vicenda nel corso della quale si sono verificati migliaia di morti, esperite decine di cause, pubblicate migliaia di pagine.

Deve essere chiaro che utilizzare l’amianto, o anche semplicemente avere contatto con questa sostanza, è estremamente pericoloso quando si presenta in forma di microfibre, inspirando le quali può insorgere una forma perniciosa di tumore ai polmoni, chiamato mesotelioma. Nessun rischio comporta il contatto con l’amianto quando non sia in forma di fibra. L’uso dell’amianto è proibito dal 1991, a seguito della scoperta della sua pericolosità, e da quella data è reato utilizzarlo, organizzarne o consentirne l’utilizzazione; l’utilizzazione residuale, le bonifiche dei luoghi in cui è presente ed il suo smaltimento sono oggetto di leggi e regolamenti particolarmente stringenti.

L’Eternit è un particolare prodotto a base di amianto; il principale stabilimento italiano di produzione dell’Eternit è a Casale Monferrato, dove si sono verificati gran parte dei decessi per mesotelioma che hanno poi innescato il clamoroso processo. Rispetto al quale va detto che l’applicazione della prescrizione da parte della Cassazione era facilmente prevedibile; del resto quella della prescrizione è la fine che si verifica quasi senza eccezioni in quei processi che i Pm vogliono ipertrofici; e dico vogliono a buona ragione, perché alle dimensioni del processo sono legate notorietà e (almeno in determinati casi) carriera del titolare. Questa propensione ai maxi processi costituisce uno dei motivi, e non il meno importante, per i quali la giustizia penale del nostro Paese è una delle più lente, e quindi una delle meno giuste, del mondo intero.

Tra gli specialisti in maxiprocessi e in procedimenti clamorosi un posto di assoluto rilievo spetta al Procuratore di Torino Raffaele Guariniello, che ha condotto il processo Eternit. Più noto per il risalto giornalistico delle sue iniziative che per il loro successo in termini di sentenze, trova comunque quasi sempre il modo per trovarsi al centro dell’attenzione mediatica; e anche questa volta, per superare la decisione della Cassazione, ha allargato il discorso, aprendo sull’argomento un fascicolo per omicidio, aggirando così la prescrizione, naturalmente in conferenza stampa. In effetti, a mio modo di vedere, ha posto le basi per una nuova sentenza assolutoria.

E qui voglio ampliare il ragionamento: può essere che a questi signori non sia posto un limite nelle spese che fanno fare allo Stato, e che possano passare indenni da un fallimento all’altro, mentre tengono bloccata in attività inutili, incongrue e costose la parte più delicata della macchina dello Stato? Eppure basterebbe porre termini più brevi alle indagini, non indulgere alle richieste di proroga, chiamare i magistrati a rispondere della percentuale di esiti dei procedimenti loro affidati, processare, come in tutti i Paesi civili, un solo imputato per volta: credo che questo basterebbe a porre termine al caos ingovernato e strumentalizzato in cui vive il sistema giudiziario italiano.

Quanto al merito della questione, credo che i tristissimi eventi di Casale, e gli altri simili verificatosi altrove, rappresentino un incidente, dolorosissimo, di percorso. L’amianto era un killer sconosciuto al momento dell’insediamento dello stabilimento a Casale e negli altri paesi, e la costruzione degli stabilimenti era stata salutata con gioia e gratitudine dalla popolazione, alla quale ha apportato momenti prolungati di benessere; sono convinto che, in corrispondenza cronologica con le acquisizioni scientifiche sulla pericolosità dell’amianto, l’impresa abbia fatto quanto prescritto per adempiere ai comportamenti richiesti.

Un’ultima notazione: intervistato dopo la sentenza, uno dei giudici ha detto: “Abbiamo seguito non la giustizia, ma il diritto”. Fermo restando che non è compito del magistrato giudicare se una determinata disposizione di legge contrasti con altre norme positive, è pur vero e molto chiaro – almeno per noi giusnaturalisti – che se la norma positiva fosse stata ritenuta in contrasto con i principi del diritto naturale, il giudice non doveva applicarla. Ma c’è chi pensa e si comporta in termini di giuspositivismo: insensato poi lamentarsi della giustizia ingiusta.