ECONOMIA
Moody's, strani interessi. Ma l'Italia soffre davvero
Sul lavoro delle agenzie di rating ci sono molte ombre: ritardi, conflitti di interesse, mancanza di trasparenza.
- Grecia, meglio fallisca, di R. Ronza
Attualità
20_06_2011
Ha guadagnato le prime pagine dei giornali la decisione di Moody’, la principale agenzia di rating del mondo, che, pur confermando l'attuale valutazione per il debito pubblico italiano, ha avvisato di un possibile taglio in futuro. L’Italia è sotto osservazione perché è in dubbio che riesca a garantire il pareggio di bilancio promesso per il 2014 adottando le misure necessarie a ridare fiato alla crescita economica, condizione indispensabile per mantenere la sostenibilità dei propri conti.
In verità la decisione di Moody’s, così come quella un mese fa dell’altra grande agenzia Standard & Poor, è arrivata tutt’altro che a sorpresa e si tratta anzi di una correzione nel giudizio quasi doverosa anche di fronte alle carenze della politica economica e all’evolversi della situazione finanziaria internazionale.
Ma chi sono e che fanno queste agenzie? Sono soprattutto tre quelle a praticamente controllano tutto il mercato: oltre alle due citate c’è Fitch e tutte e tre sono americane. Sono nate un secolo fa e si sono date il compito di classificare i prestiti obbligazionari di stati, imprese e grandi società, per offrire agli investitori strumenti utili per valutare il rischio. Vi è da notare che sono gli stessi governi e le stesse imprese che pagano le agenzie di rating per le loro valutazioni: proprio perché avere un rating alto è fondamentale per collocare i propri titoli presso i fondi di investimento e gli altri investitori istituzionali. Molti fondi pensione, per esempio, non possono acquistare prodotti classificati al di sotto di una certa valutazione per garantire il più possibile il rendimento del patrimonio dei loro sottoscrittori.
Le pagelle che le società di rating utilizzano sono perlomeno bizzarre. Al livello minimo di rischio corrisponde la tripla A (Aaa) ed è il livello in cui sono collocati i titoli emessi dagli Stati Uniti, dalla Svizzera, dalla Germania. La doppia A (Aa) corrisponde ad un debito di alta qualità ed è il livello in cui ora si trova l’Italia. Con una sola A si ha un debito di buona qualità ma soggetto a rischio futuro. Ma si può scendere anche al livello B, dove si trovano gran parte delle società industriali che emettono titoli obbligazionari e che viene considerato un grado di protezione medio, mentre con la C si indicano più o meno elevati rischi di insolvenza.
Tornando alla decisione di Moody’s sull’Italia va sottolineato che si è trattato non tanto di un cambio di valutazione quanto della dichiarazione di aver messo sotto osservazione il debito pubblico italiano. L’ipotesi è che in futuro vi possano essere le condizioni per scendere di un gradino nei giudizio di valutazione riportando l’Italia al livello in cui era fino al 2002. Nulla di catastrofico quindi, ma sicuramente un campanello di allarme determinato dal fatto che di fronte all’aggravarsi delle condizioni del credito internazionale, soprattutto per la crisi della Grecia, l’Italia non appare in grado di adottare le misure necessarie per tenere sotto controllo il proprio bilancio pubblico.
Ora non c’è bisogno di vivere nei sofisticati centro studi di New York per accorgersi che il Governo italiano è da mesi impegnato a parlare d’altro rispetto ai problemi della politica economica, del taglio della spesa pubblica, del sostegno all’occupazione e alla crescita. Non c’è bisogno di avere una laurea ad Harvard per capire che in un Paese, come l’Italia appunto, che ha un debito pari al 120% del Pil non dovrebbe focalizzare l’attenzione della politica sulla possibilità di spostare qualche ministero da Roma a Milano.
Ma detto questo resta il fatto che il ruolo delle agenzie di rating appare tutt’altro che costruttivo e trasparente. E’ ormai un rito ricordare che fino a pochi giorni prima del fallimento anche la banca d’affari Lehman Brother’s aveva un rating molto alto. Ma il vero problema è che, data la fragilità dei mercati, i giudizi delle agenzie sono tali da creare le condizioni per auto-avverarsi. E’ più che probabile per esempio che proprio la crisi greca si sia aggravata per i giudizi negativi sempre più pesanti delle agenzie di rating, giudizi che hanno provocato una fuga dal debito… il che ha praticamente costretto le agenzie ad ulteriori valutazioni negative.
E peraltro i giudizi negativi vengono pubblicati il più delle volte quando le difficoltà si sono già presentate: il che serve poco o nulla a chi è cascato nello sfortunato collocamento. Queste agenzie poi sono la rappresentazione più concreta del conflitto d’interesse, dato che, come detto, si fanno pagare dalle stesse istituzioni a cui danno le valutazioni.
Dopo la crisi del 2008 peraltro, il governo americano aveva provato a ridimensionare il loro ruolo, ma senza riuscirci. E molti si sono chiesti se questo non sia avvenuto per le pressioni degli operatori di Wall Street, operatori che speculano alla grande proprio partendo dalla loro “strana” capacità di anticipare le decisione delle agenzie.
E’ anche per questo che la Securities and Exchange Commission (Sec), l’agenzia federale statunitense di controllo sulle operazioni finanziarie (l’equivalente della Consob italiana), ha deciso di aprire un’indagine su alcune agenzie di rating, per il ruolo svolto prima e durante la crisi finanziaria del 2008-2009. In particolare per non aver segnalato l’esistenza di titoli spazzatura come si sono rivelati quelli legati ai mutui subprime.
E non sorprende che di volta in volta le agenzie di rating siano state paragonate alle locuste, ai corvi, agli avvoltoi: tutti animali che si garantiscono le sopravvivenza con le disgrazie altrui.