L'ANALISI
Monti, una strategia di pesi e contrappesi
Il primo cambiamento di questo governo dovrebbe essere l'immediata operatività dei provvedimenti. Ma i capitoli più spinosi sono le privatizzazioni e liberalizzazioni.
Attualità
21_11_2011
“Lo stesso fatto che io sia qui dimostra che la situazione è di emergenza”. La dichiarazione del nuovo presidente del Consiglio appare altrettanto esplicita quanto drammatica anche perché, come ha sottolineato, non c’è solo un problema italiano, ma c’è soprattutto un problema europeo, di cui l’Italia è una parte, e tra le più importanti.
Per Mario Monti, ottenuta la più ampia fiducia del Parlamento, si apre ora il momento più difficile, quello delle scelte concrete, cioè il varo di misure che abbiano l’ambizione di ottenere in breve tempo tre risultati:
1) ristabilire la fiducia sia sui mercati finanziari, sia all’interno del Paese;
2) ridurre in maniera significativa quel debito pubblico che costituisce il più pesante ostacolo e la più grave incognita sulla politica economica;
3) rimettere in moto le forze positive dell’economia facendo uscire l’Italia dalla stagnazione che ha contraddistinto gli ultimi anni.
Tre obiettivi che sono già complessi ognuno per proprio conto, ma che diventano un sesto grado perché gli interventi per affrontarne drasticamente uno potrebbero quasi automaticamente aggravare gli altri due.
Un aumento del prelievo fiscale per esempio potrebbe aiutare a riportare in attivo il bilancio dello Stato e quindi a ridurre progressivamente il debito, ma avrebbe effetti sicuramente di ulteriore freno all’economia, rendendo così più complicati i problemi che si vorrebbe risolvere.
Ecco allora la necessità di attuare il cosiddetto “fine tuning”, cioè un’operazione di farmaceutico dosaggio degli interventi in modo da minimizzare gli effetti negativi e rendere i più alti possibile i risultati positivi. Con una strategia profondamente differente rispetto alla manovre varate dal precedente Governo, manovre che pur essendo di notevole portata finanziaria non sono certo servite a ricreare fiducia.
Il primo cambiamento dovrebbe essere l’immediata operatività. Le manovre Berlusconi-Tremonti avevano come caratteristica l’essere incentrate soprattutto sugli annunci e le promesse. L’età pensionabile a 67 anni? Sì, ma nel 2026. L’adeguamento dell’età pensionabile delle donne? Sì, ma iniziando nel 2014. La riforma fiscale? Sì, ma dal 2013. Le uniche cose che sono entrate immediatamente in vigore sono stati gli aumenti di imposte: quello dell’Iva innanzitutto, ma anche la stretta sulle pensioni più alte, il contributo del 3% sui redditi oltre 300mila euro, la sovrattassa sui depositi titoli, l’aumento dell’Irap e delle addizionali Irpef locali.
Dal Governo Monti ci sono da attendersi provvedimenti subito operativi pur senza escludere la gradualità. Ma soprattutto interventi che non vadano in una sola direzione. E così se ci sarà un aumento delle imposte indirette (viene dato per scontato un nuovo aumento dell’Iva) vi saranno probabilmente anche sgravi per i redditi più bassi. L’Iva penalizza in consumi, ma ha il vantaggio di non toccare le industrie che lavorano per l’esportazioni: e una riduzione anche leggera delle imposte dirette potrebbe avere il risultato di lasciare almeno invariato il potere d’acquisto delle famiglie.
Ma è probabile che Monti cercherà di aggredire il deficit di bilancio più tentando la difficile strada della riduzione della spesa pubblica che non con una stretta fiscale fin troppo facile, ma ricca di contraccolpi negativi.
In questa prospettiva tuttavia c’è la necessità di ulteriore cambio di strategia. Il ministro Tremonti aveva imposto risparmi anche forti alla spesa dei ministeri attraverso la logica dei cosiddetti “tagli lineari”: in pratica concedendo a tutti meno risorse degli anni precedenti. Dato che la macchina amministrativa italiana non brilla per efficienza e affidabilità il risultato di questa operazione è stato quello di rendere tutti ancora meno efficienti. La promessa di Monti è invece quella di attuare una “spendig review”, una rigorosa analisi della spesa, in modo da tagliare sprechi e doppioni, cercando invece di migliorare l’efficienza dei settori più importanti dell’amministrazione. L’altra promessa è quella di ridurre il peso degli organismi elettivi: il pensiero non può che andare all’abolizione delle province, trasferendo funzioni e funzionari esecutivi alle regioni ed abolendo tutta la fascia politica di consiglieri, assessori e presidenti che non solo costano, ma sono inesauribili centri di moltiplicazione della spesa.
E poi il capitolo più complesso: quello delle privatizzazioni e liberalizzazioni. Due temi che possono contribuire in misura essenziale sia alla riduzione del debito pubblico, attraverso la vendita intelligente di patrimonio pubblico, sia al rilancio dell’economia, liberando risorse e stimolando la concorrenza. Ma non sarà facile: la classe politica considera le aziende pubbliche (soprattutto quelle locali) un irrinunciabile pascolo per il sottogoverno.
Monti dovrà essere insieme prudente e deciso. Il patrimonio di consenso ottenuto con il primo passaggio parlamentare potrebbe infatti facilmente disperdersi quando saranno toccati gli interessi “di potere” dei politici.