Montale e la presenza salvifica della donna anche in guerra
L’argomento della poesia di Montale è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell’avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l’essenziale col transitorio. Ma la guerra è comunque presente. Il sogno o speranza di potersi ricongiungere alla donna amata sono la via di fuga.
Nato a Genova nel 1896, Eugenio Montale si diploma in ragioneria e poi si forma da autodidatta, come tanti grandi poeti del Novecento. Fin da ragazzo soffre di salute cagionevole tanto che perde un anno di scuola per le numerose assenze nel 1910 e, più tardi, è dichiarato rivedibile alle visite di leva.
Arruolato nel 1917, dopo aver seguito un corso per ufficiali, parte per il fronte nella primavera del 1918. Sarà congedato nel giugno del 1920 con il grado di tenente. Non ci sarà, però, traccia dell’esperienza della Grande guerra nella sua poesia. Del resto, in un’intervista del 1951 Montale chiarirà: «L’argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell’avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l’essenziale col transitorio. Non sono stato indifferente a quanto è accaduto negli ultimi trent’anni; ma non posso dire che se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe avuto un volto totalmente diverso».
Durante il regime fascista non solo non prende la tessera del partito, ma si schiera apertamente all’opposizione. Firma il manifesto di Benedetto Croce per la libertà della cultura e fa pubblicare la raccolta Ossi di seppia (1925) da Piero Gobetti, acerrimo avversario del regime. Direttore del Gabinetto scientifico letterario Viesseux, Montale è costretto a lasciare l’incarico nel 1938, proprio a causa della posizione politica assunta nei confronti del regime.
Nel 1941, durante la Seconda Guerra Mondiale, è sottoposto a visite mediche militari e congedato per motivi di salute. Nel 1943, caduto il regime, collabora con le forze antifasciste che liberano Firenze.
Nel 1948 inizia la collaborazione con «Il Corriere della Sera» e scrive la terza raccolta La bufera e altro (1956), dopo Ossi di seppia (1925) e Le occasioni (1939). Nel 1962 sposa Drusilla Tanzi, che ha conosciuto nel 1927 e con cui convive dal 1939. Drusilla muore nel 1963 lasciando un profondo dolore nella vita di Montale di cui è testimonianza la quarta raccolta che esce dopo tanti anni, quella Satura (1971) che è in gran parte dedicata alla donna amata. Il valore della sterminata produzione di Montale che attraversa gran parte del secolo scorso viene consacrato prima dalla nomina a senatore a vita (1967), poi dal Premio Nobel per la letteratura (1975), conseguito sei anni prima della morte (1981).
La seconda raccolta intitolata Le occasioni non affronta direttamente il tema dei regimi totalitari, ma solo in modo cifrato e allusivo. Nella poesia «Dora Markus» si allude al nazismo con l’espressione «fede feroce».
Nella terza raccolta La bufera e altro, composta di cinquantotto poesie, suddivise in sette sezioni, i riferimenti alla Seconda Guerra Mondiale sono più espliciti, anche se dominante è ancora la tendenza del poeta a superare la contingenza storica per parlare dell’uomo e delle sue domande. Confesserà Montale all’amica Annalisa Cima: «I primi tre libri (Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro) sono scritti in frac, gli altri in pigiama, o diciamo in abito da passeggio. Forse mi sono reso conto che non potevo continuare a inneggiare a Clizia, alla Volpe, a Iride, che del resto non esistono più nella mia vita. Quando scrivevo i primi libri non sapevo che avrei raggiunto gli ottant’anni […]. Ho voluto suonare il pianoforte in un’altra maniera, più discreta, più silenziosa».
Quali sono i riferimenti espliciti alla contingenza storica? Ne «La primavera hitleriana» l’occasione spinta è così sintetizzata da Montale: «Hitler e Mussolini a Firenze. Serata di gala al teatro Comunale. Sull’Arno, una nevicata di farfalle bianche». Siamo nella primavera del 1938. Una mescidanza di termini appartenenti all’Inferno dantesco introduce l’apparizione in scena di Hitler: «messo infernale», «scherani», «mostri», «tregenda». La presenza salvifica della donna (Clizia) è ormai lontana. Qui a dominare è una creatura infernale che vi si contrappone. La descrizione del paesaggio è emblematica: è primavera, ma la notte è gelida tanto che appare una nevicata di farfalle:
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Nella seconda stanza si comprende che Hitler è stato accolto a Firenze da una folla inconsapevole della propria responsabilità. L’unica speranza risiede ancora una volta nel ritorno della presenza salvifica della donna:
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbàcini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti.
Nel «Sogno del prigioniero», sempre appartenente a La bufera e altro, Montale descrive la realtà di un campo di concentramento staliniano:
La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
può salvarsi da questo sterminio d’oche;
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d’altri, afferra il mestolo
anzi che terminare nel pâté
destinato agl’Iddii pestilenziali.
Che cosa tiene in vita il prigioniero? Il sogno o speranza di potersi ricongiungere alla donna amata.