Monsignor Paglia rettifica, la Bussola risponde
Il debito della Diocesi di Terni è la metà di quanto indicato dalla Nuova Bussola Quotidiana e monsignor Paglia non è più indagato. Lo afferma la segreteria di monsignor Paglia, rettificando un nostro editoriale. Ma le cose stanno un po' diversamente da quanto sostenuto dall'ex vescovo di Terni.
Gentile Direttore,
La ringrazio per la cortesia dello spazio che vorrà concedere alla rettifica a mezzo stampa che Le sollecitiamo, in ordine all’attenzione riservata a Mons. Vincenzo Paglia nel suo editoriale dello scorso 3 Aprile. Attenzione non adeguata e, anzi, viziata da negligenze e imprecisioni che non possono non essere corrette. Una maggiore cura nella ricerca dei dati e delle circostanze inserite nello scritto, per l’intanto, la avrebbe dovuta indurre ad accertare, da fonti certe, che le cifre del debito della Diocesi di Terni sono pari alla metà dei 35 milioni da lei impropriamente riportati. E ciò per risultanze obiettive.
Il lettore della Nuova Bussola Quotidiana si convince, inoltre, che il debito contratto dalla Diocesi sia tutto da imputare agli anni in cui il vescovo Paglia ne è stato il pastore, dal 2000 al 2012: quando è pacifico che la Diocesi di Terni, nel 2000, si trovava già in uno stato di tensione finanziaria, (anche per alcuni debiti delle parrocchie) poi negli anni amplificata. E’ vero che sotto la gestione di mons. Paglia il debito è cresciuto ancora. Ma è pure vero – circostanza questa tenuta sempre incomprensibilmente celata - che la consistenza patrimoniale della medesima Diocesi, nell’identico periodo, e dunque rispetto al valore iniziale del 2000, è aumentato di ben tre volte. Ed è stato proprio tale incremento che ha di recente permesso la concessione dei prestiti bancari; poiché il rapporto patrimonio/debiti esprimeva e seguita ad esprimere un considerevole avanzo di milioni di euro. Purtroppo, deve essere ripetuto a Sua scusante, di questo non si è mai parlato, e così si è falsificata la realtà. Ecco perché insinuare alla bancarotta, espressione tecnica del diritto penale, significa enunciare un inaccettabile falso. E la vendita di parte del patrimonio già avviata da mons. Paglia è la via che il nuovo vescovo sta perseguendo. Lei si interroga, nell’editoriale, su alcuni silenzi relativi ai debiti di Terni. Ma la risposta è agevole: in realtà i finanziamenti ottenuti dallo IOR e dalla CEI per assicurare il rientro della esposizione, erano e rimangono comunque garantiti. Da qua la mancanza di “notizia”.
Nel suo editoriale afferma, ancora, che Mons. Paglia sia “nel mirino della magistratura” da tempo. I suoi lettori hanno dunque il diritto (e il dovere) di conoscere quali e quante siano le inchieste attualmente pendenti a carico del prelato e da parte di quali e quante Procure sarebbero condotte. Le sue parole, infatti, accennano in termini di certezza ad una azione della magistratura ancora in corso al tempo presente. La informiamo invece che, almeno per quel che riguarda la Procura di Terni, sono stati archiviati tutti i rami di inchiesta in cui era stato coinvolto, in passato, Mons. Paglia. Con massimo riferimento alla nota archiviazione nell’inchiesta sul castello di Narni, in ordine alla quale il Giudice delle indagini preliminari, nel decreto di archiviazione, ha scritto che “mons. Paglia risulta aver agito sempre, nell’espletamento del suo mandato pastorale, con l’unico meritorio obiettivo di assicurare alla realtà cittadina un riscatto in termini sociali e culturali”. Così condividendo la richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, in cui veniva enfatizzata “la totale estraneità del vescovo, prima vittima di azioni criminose altrui, ai fatti contestati”. Tali parole sono state ampiamente rese pubbliche il giorno dell’archiviazione, lo scorso Settembre 2015 e rintracciabili in rete. Allo stesso modo, ogni altro filone di inchiesta, di rilievo decisamente minore, risulta archiviato dalla medesima Procura. Come lei, Direttore, ben comprenderà, risalta agli occhi l’enorme differenza che fa lo scrivere che una persona è indagata da tempo e menzionare che, invece, lo è stata in passato per poi aver conseguito archiviazioni su tutta la linea. Ci troviamo, infine e d’altra parte, del tutto d’accordo con lei quando scrive, sul finire dell’editoriale, che è sconsigliabile “prendere per oro colato certi racconti”.
Nell’apprezzare il servizio che il vostro portale svolge a favore della Chiesa, invio cordiali saluti e auguro buon lavoro,
La segreteria di Mons. Vincenzo Paglia
Mons. Riccardo Mensuali
Caro Monsignor Mensuali,
prendo atto della rettifica, a cui mi permetto però di replicare per i punti più importanti:
1. Intanto vorrei ribadire che l'editoriale in questione non riguardava un'inchiesta sulla Diocesi di Terni nell'«era Paglia», cosa che richiederebbe molto più spazio, ma semplicemente poneva una domanda su come era possibile che, nel regime di trasparenza che si dice sia una novità attuale della Chiesa, potesse rimanere in un posto di grande responsabilità un vescovo responsabile di un debito enorme procurato a una diocesi, tale da essere anche indagato più volte. I dati riportati si riferiscono dunque a cose già note e pubblicate da diversi organi di informazione. Ricordo peraltro che l'archiviazione di queste inchieste è cosa recentissima, il debito record della diocesi è invece un fatto assodato già dal 2013, mentre monsignor Paglia è al Pontificio Consiglio della Famiglia dal 2012;
2. Lei mi contesta il termine bancarotta; ma a parte il fatto che tutti i giornali hanno all'epoca parlato dell'apertura di un'indagine per bancarotta, riferita al debito della Diocesi di Terni, vorrei far notare che quando nel febbraio 2013 è stato inviato l'amministratore apostolico monsignor Vecchi a prendere in mano la situazione, nelle casse della Diocesi non c'era letteralmente un euro. Ovvero non si era in grado di pagare stipendi, bollette e così via. Il peggio è stato evitato grazie all'aiuto immediato garantito dalla Santa Sede a copertura del debito. Mi dica lei come potrebbe essere "tecnicamente" definita una situazione del genere;
3. Lei afferma che il debito non è di 35 milioni ma della metà. Fosse vera la cifra da lei proposta sarebbe incomprensibile il motivo per cui la Santa Sede, insieme alla Cei, abbia garantito già nel 2013 una copertura di 25 milioni di euro. I 17,5 milioni di cui lei parla sono soltanto l'esposizione verso le banche (mutui, fidi, ecc.). Ma a questi vanno aggiunti molti altri debiti: fatture di imprese edili, di professionisti, spese legali e tante altre. Già nei primi mesi di lavoro monsignor Vecchi e i suoi collaboratori avevano accertato debiti per 25 milioni. Che da allora sono però cresciuti e risulta che le "scoperte" non siano ancora finite. Per questo, citando dati già pubblicati, ho scritto che "si parla di 35 milioni". Ma anche se alla fine il debito risultasse intorno ai 30 milioni non mi pare che cambi di molto la questione. Ma neanche se fosse vera la cifra da lei proposta si potrebbe tirare un sospiro di sollievo: sarebbe comunque uno scandalo inaccettabile in assoluto, ancor più per una Diocesi che conta appena 160mila battezzati (probabilmente è il record mondiale di debito pro capite), uno schiaffo per una città operaia dove la gente fa fatica a tirare la fine del mese. Non credo che papa Francesco intendesse questo nel dire che voleva una Chiesa povera;
4. Quanto ai rapporti con la Magistratura, le sue parole sembrano confermare in effetti quanto ho scritto. Lei prima nega che ci siano indagini presenti su mons. Paglia, poi però precisa: "almeno per quel che riguarda la Procura di Terni, sono stati archiviati tutti i rami di inchiesta in cui era stato coinvolto, in passato, Mons. Paglia". Mi sembra chiaro che quel "almeno per quel che riguarda la Procura di Terni.." lasci intendere che altrove invece qualcosa è ancora in movimento. Peraltro mi risulta che in passato il Pubblico Ministero che si è occupata delle inchieste sulla Diocesi di Terni, abbia scritto personalmente a papa Francesco spiegando cosa fosse accaduto a Terni e la responsabilità di monsignor Paglia;
5. Quanto all'archiviazione della posizione di monsignor Paglia nell'inchiesta sul castello di Narni - ricordo che il capo di accusa più grave per il vescovo era associazione a delinquere - mi rimetto alle decisioni del giudice. Ma se per la giustizia italiana la vicenda del castello di Narni vede monsignor Paglia liberato dalle accuse, ben altre sono le responsabilità che dovrebbero contare per la Santa Sede: il fatto è che nel 2011, con un debito che già ammontava a 22 milioni, la Diocesi di Terni si impegnava all'acquisto del castello per 2 milioni di euro, più altri sei per la ristrutturazione. Una follia. Dal che resta ancora valida la domanda già posta nel precedente editoriale: come è possibile che resti tranquillamente a capo del Dicastero della Famiglia un vescovo così lontano dai comportamenti che dovrebbe avere un buon padre di famiglia?
Riccardo Cascioli