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Monsignor Carlassare torna nell'inferno del Sud Sudan

Monsignor Carlassare, ferito in un attentato, torna nella sua diocesi di Rumbek, del Sud Sudan, dilaniato da nove anni di guerra civile, con centinaia di migliaia di morti. Era stato colpito da una fazione, per odio etnico. Era considerato troppo vicino ai Nuer, etnia di minoranza. È la violenza tribale quella che dilania il Sud Sudan e tutta l'Africa. 

Ecclesia 29_03_2022
Sud Sudan

Può sembrare che tutto il mondo guardi trepidante alla guerra tra Russia e Ucraina, ma in realtà decine di milioni di persone poco se ne curano, se mai ne sono informate, perché assorte in un conflitto che devasta le loro vite, il loro paese e perché hanno famigliarità con la violenza, subita e inflitta. Nel Sudan del Sud la guerra è scoppiata nel 2013 quando le tensioni per il controllo delle cariche politiche e amministrative tra le due principali etnie, i Dinka e i Nuer, sono degenerate in conflitto armato: dapprima combattuto dai militari schierati a seconda dell’etnia; poi, nel volgere di poche settimane, anche dalla popolazione civile, tradizionalmente divisa su linee tribali.

Nel periodo più cruento del conflitto sono morti quasi 400mila civili e quattro milioni di persone sono state costrette a fuggire, 1,7 milioni delle quali nei paesi vicini. Alcune città contese dalle opposte milizie, quelle fedeli al presidente Dinka Salva Kiir e quelle schierate con il leader Nuer Riek Machar, sono state completamente rase al suolo. La ferocia degli scontri, la violenza da pulizia etnica degli appelli a uccidere i civili delle altre etnie – simili a quelli lanciati in Rwanda nel 1994, l’anno dello sterminio dei Tutsi – hanno fatto temere un nuovo genocidio. Esecuzioni di massa, massacri, stupri, persone mutilate, bruciate vive, gente persino costretta a bere il sangue di membri della propria etnia appena uccisi e a mangiarne la carne: dopo averlo evocato, non è facile domare il demone del tribalismo. L’odio tribale, quando si scatena, trasforma uomini e donne comuni, padri e madri di famiglia, in mostri, in carnefici senza rimorso.

La Chiesa cattolica ha fatto molto per la pace eppure è stata anch’essa contaminata dal tribalismo. Il 25 aprile 2021 monsignor Christian Carlassare, un missionario comboniano da poco nominato vescovo di Rumbek, è stato ferito alle gambe con diversi colpi di arma da fuoco da due uomini penetrati di notte in casa sua. È successo pochi giorni prima della sua cerimonia di ordinazione episcopale. Si era subito capito che si trattava non di un tentativo di rapina, ma di un avvertimento, un tentativo di spaventarlo e indurlo a rifiutare di assumere la guida della diocesi. La sua nomina aveva infatti creato malumore tra la popolazione di etnia prevalentemente Dinka di Rumbek: non, come si potrebbe pensare, perché Monsignor Carlassare è straniero, ma perché per 15 anni aveva svolto la sua missione tra i Nuer, nello stato del Jonglei (uno dei dieci stati del paese). Le indagini avevano confermato questa ipotesi portando all’arresto di sei persone che, secondo quanto confermato in seguito dallo stesso monsignor Carlassare, avevano agito per motivi etnici. Tra di loro, tuttora in carcere in attesa di giudizio, c’è anche un alto esponente del clero cattolico.  

Dopo un lungo periodo di riabilitazione, monsignor Carlassare adesso è tornato in Sudan del Sud e il 25 marzo a Rumbek si è finalmente svolta la sua cerimonia di ordinazione episcopale, presieduta dal cardinale Gabriel Zubeir Wako, l’ex arcivescovo di Khartum (capitale del Sudan da cui il Sudan del Sud ha scelto di diventare indipendente nel 2011, dopo una guerra civile durata 30 anni). Nella sua omelia il cardinale Wako ha osservato tra l’altro riferendosi a chi considera un vescovo un uomo di potere, un uomo importante: “il ministero di un vescovo è stato molto spesso frainteso, specialmente dalla nostra gente. C’è chi pensa che, quando qualcuno diventa vescovo, diventa ricco. Ed proprio una delle cose che Gesù non vuole nella Sua Chiesa. Incoraggiate il vostro vescovo nello svolgimento del suo ministero, perché il maggior sostegno di un vescovo sono i suoi fedeli”. Infine, rivolgendosi a monsignor Carlassare, ha detto: “sarai nient’altro che il servo di tutti. Sei chiamato a servire, aiutare, guidare i fedeli. Non prenderai il loro denaro o le loro case”.

Sono moniti ed esortazioni che evocano, condannandoli, comportamenti inappropriati da parte di ministri della Chiesa: “guardate me – ha insistito monsignor Wako – vi sembro un uomo ricco? E sono vescovo dal 1975. Si potrebbe pensare che ormai, con una così lunga esperienza, abbia molti soldi, molte case o automobili”.

Anche la corruzione, oltre al tribalismo, dilaga in Africa e, come il tribalismo, rischia di contaminare anche dei religiosi. Invece la popolazione del Sudan del Sud, esausta e stremata, ha bisogno di continuare ad avere fiducia nella Chiesa, tanto più che la pace è un traguardo ancora lontano. Proprio nel giorno in cui monsignor Carlassare ha preso servizio, nuovi scontri tra l’esercito e le milizie antigovernative accrescono il timore che il fragile accordo di pace ancora una volta non venga rispettato compromettendo il processo di normalizzazione del paese che dovrebbe culminare tra circa un anno nello svolgimento delle elezioni. Gli scontri si sono verificati in molte aree dell’Alto Nilo, lo stato settentrionale produttore di petrolio, tra le forze governative e l’ala armata del principale partito all’opposizione, l’Splm-IO, espressione dell’etnia Nuer. Il suo leader, il vice presidente Riek Machar, pochi giorni prima ha abbandonato il gruppo di monitoraggio della pace denunciando di aver subito attacchi immotivati.