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IMMIGRAZIONE

Miti e strumentalizzazioni del Decreto sicurezza

"Produce un maggior numero di immigrati irregolari" e "manda per strada i richiedenti asilo". Sono solo due delle contestazioni al nuovo Decreto sicurezza che regolerà il permesso di soggiorno in Italia. A parte il fatto che gli immigrati non si creano con la legge, ma sono già entrati, il decreto mette ordine al caos dei permessi dati a tutti

Politica 09_12_2018
Uno Sprar a Buccinasco (Milano)

Improvvisamente tutti si rendono conto delle centinaia di migliaia di stranieri in giro per l’Italia e se ne preoccupano. Dicono che il decreto Sicurezza, ormai divenuto legge, “produrrà” un gran numero di irregolari ed escluderà migliaia di persone dal sistema di accoglienza Sprar, creando ingestibili problemi umanitari e di ordine pubblico. A Bologna, ad esempio, in questi giorni è stato il direttore della Caritas, Matteo Prosperini, a lanciare l’allarme. Sostiene che per colpa della nuova legge centinaia di persone stanno uscendo dal sistema di accoglienza, da un giorno all’altro prive di mezzi di sussistenza. L’ex prefetto Matteo Piantedosi, ora braccio destro del ministro dell’interno, replica che l’allarme è ingiustificato, frutto di una visione distorta dello spirito della legge, e che i provvedimenti tanto deplorati servono a destinare le risorse a chi realmente ne ha diritto e bisogno.

Dovrebbe essere chiaro a tutti, in effetti, e soprattutto a chi opera nel sistema di accoglienza, che la legge non crea degli irregolari, bensì limita a chi ne ha davvero diritto il permesso di risiedere temporaneamente in Italia. Irregolari sono tutte le persone che sono entrate e che continuano a entrare nel nostro paese in maniera illegale: clandestinamente o senza documenti in regola. Restano ovviamente irregolari gli immigrati illegali che non chiedono protezione internazionale e quelli la cui richiesta di asilo viene respinta. 

Una novità della legge che “produrrebbe” tanti irregolari è l’eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, uno strumento usato malissimo in questi anni, concesso a decine di migliaia di persone per i più vari motivi, troppo spesso francamente inverosimili o inconcepibili: a uomini e donne che dichiaravano ad esempio di essere partiti per sfuggire a creditori, a parenti arrabbiati e violenti. Hanno ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari, tra gli altri, un ragazzo del Gambia in fuga, secondo lui, dopo aver perso il camion di uno zio il quale perciò lo aveva minacciato di morte e denunciato alla polizia, un senegalese che ha detto di aver incendiato per errore un allevamento di polli uccidendo tre persone, un giovane arrivato dal Benin in seguito alla morte del padre, commerciante in frutta, deceduto lasciando dei debiti che i creditori insistevano per riscuotere e addirittura un ragazzo del Burkina Faso che ha spiegato di aver deciso di emigrare clandestinamente perché il padre, ammalatosi e diventato cieco, non gli pagava più le tasse scolastiche.

Lo status giuridico di rifugiato, definito e regolamentato dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, si concede, come è noto, a chi fugge da guerre e persecuzioni, la protezione sussidiaria a chi pur non essendo un profugo – spiega il Ministero dell’interno – “se ritornasse nel paese di origine, andrebbe incontro al rischio di subire un danno grave”. Nessuna delle due forme di protezione internazionale è permanente, né lo è il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il diritto di asilo dura finché permangono le minacce che hanno indotto il titolare di tale diritto a fuggire. La protezione sussidiaria è di cinque anni, rinnovabili. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari ha durata variabile, ma di solito vale al massimo due anni eventualmente rinnovabili. Tutti i permessi di residenza inoltre possono decadere prima del termine previsto, nessuno escluso. Persino un rifugiato perde il diritto di asilo se con il suo comportamento minaccia l’ordine pubblico nel paese che lo ospita e se per un periodo di tempo rientra in patria o nel paese da cui dice di essere fuggito per salvarsi e poi ritorna. La nuova legge a questo proposito introduce qualche innovazione, ma soprattutto riafferma quanto già stabilito e si impegna a far rispettare termini e modi di accoglienza.

Anche per quel che riguarda il secondo motivo di preoccupazione – l’uscita e l’esclusione dal sistema di accoglienza di persone che finora hanno avuto il diritto di esservi assistite – le critiche rivolte alla legge sono infondate. Come a Bologna, anche in altre città c’è chi denuncia l’allontanamento di centinaia di stranieri dai centri di accoglienza, come se fosse un fatto nuovo, conseguenza della nuova legge.

Ma se il diritto a vivere in Italia dei titolari di protezione internazionale o permesso di soggiorno per motivi umanitari non è a tempo indeterminato, tanto meno lo è la permanenza nel sistema di protezione, lo Sprar, e la legge entrata in vigore non fa che confermare, con alcune modifiche, le direttive in vigore, cercando di mettere ordine e farle rispettare. L’apparato assistenziale creato per gestire l’afflusso di centinaia di migliaia di emigranti illegali comprende una serie di strutture. Si parte dagli hotspot in cui al momento della sbarco  si svolgono le operazioni di soccorso e assistenza sanitaria, di preidentificazione e informazione sulle procedure di asilo. Chi non fa richiesta di asilo viene trasferito nei Cpr, i Centri di permanenza per i rimpatri. Gli altri, che attivano la richiesta di asilo, nel corso degli anni sempre più numerosi essendo questo l’espediente sicuro per non essere rimpatriati, vengono distribuiti nei Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo, e nei Cas, Centri di accoglienza straordinaria, dove soggiornano fino alla sentenza definitiva. Se ottengono una forma di protezione internazionale passano quindi agli Sprar, incaricati di assisterli nel raggiungimento di autonomia individuale e integrazione. Il soggiorno ha la durata di sei mesi, prorogabile di altri sei mesi.

In pratica negli anni scorsi le direttive non sono state sempre seguite: l’esempio di Riace è clamoroso. Succede così che negli Sprar ci si siano dei richiedenti asilo, nei Cara e nei Cas anche dei detentori di protezione internazionale che periodiche ispezioni delle prefetture individuano e provvedono ad allontanare come è capitato nei giorni scorsi a Bologna, a Cosenza e altrove.  Ma i tempi e le modalità di permanenza sono quelli indicati. Poi tutti escono dal sistema. A quel punto, e non certo da adesso, l’ideologia dell’accoglienza e le buone intenzioni di chi sinceramente pensa di far bene assistendo chiunque desideri trasferirsi in Italia, si scontrano con la realtà. In un paese con milioni di disoccupati e di poveri, con una crescita economica debole e una identità incerta, pochi immigrati, davvero pochi, trovano una occupazione regolare che li renda autonomi e ne consenta l’integrazione. Per tutti gli altri incomincia un percorso difficile: marginalità, espedienti e illegalità per sopravvivere, estraniazione, rifugio in gruppi di appartenenza etnici, solitudine, una prolungata lontananza da casa che rende legami famigliari sempre più labili.

La nuova legge rimedia a tutto questo? Certo che no, se non per il fatto di accorciare i tempi di esame delle richieste di asilo, garantire maggiore rigore nel giudicarle, abbreviare la permanenza in Italia di persone senza un futuro e contenere i danni materiali e morali, per loro e per tutti. Però si somma al blocco dei porti, ai contributi finanziari per migliorare e potenziare i centri di raccolta degli emigranti clandestini gestiti da Unhcr e Oim, agli accordi con i paesi di provenienza per i rimpatri volontari e forzati, alla collaborazione con i governi coinvolti per fermare i viaggi clandestini, perseguire le organizzazioni dei contrabbandieri di emigranti e organizzare campagne informative sui rischi e l’inutilità di emigrare in Europa. Insieme a tutte queste iniziative, completa un progetto che sta già dando tangibili risultati.