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POLITICA

Missioni all'estero, una prova di civiltà

Nonostante il voto bipartisan al rifinanziamento, c'è sempre il rischio di dimenticare i motivi umanitari che spiegano l'invio dei nostri soldati.

Attualità 29_07_2011
soldati italiani

 

La vera domanda che tutti si dovrebbero porre quando si tratta di rifinanziare le missioni dei militari italiani all’estero è: che cosa ci stanno a fare dei militari in Afghanistan? Per prendere come esempio il Paese dove in questo momento i nostri soldati sono più esposti.

Quando ci si interroga sul significato di qualcosa o quando si rischia di dimenticare il motivo per cui i nostri soldati sono partiti per una determinata missione, allora bisogna risalire al motivo originario. I governi occidentali decisero di mandare le loro truppe in Afghanistan sulla scia dell’11 settembre 2001, l’attentato alle Torri Gemelle di New York di cui fra poche settimane cadrà il decimo anniversario. Fu una decisione conseguente alla scelta di combattere contro i movimenti terroristici di matrice islamista e contro gli Stati che li sostenevano, quindi contro il regime dei talebani. La motivazione era nobile e giusta allora e direi che lo rimane ancora oggi: chi non è disposto a sacrificarsi anche facendo la guerra per difendere la propria libertà minacciata da forze ancora molto minoritarie (anche all’interno dello stesso islam) ma potenzialmente pericolose, costui è destinato a perdere tutto, lo stesso significato della sua esistenza al mondo.

Se questa domanda
ha un senso allora risulta incomprensibile il motivo per cui una forza di governo, come la Lega, ogni qual volta si verifichi la morte di un nostro soldato, alzi la voce per reclamare il rientro a casa di tutti i soldati, salvo poi votare a favore del rifinanziamento delle missioni militari, come avvenuto ieri, 28 luglio, al Senato. Perché se è vero che così dimostra un grande senso di responsabilità politica (appunto dando un voto politico) contemporaneamente dimostra una grande debolezza culturale. Ritorno così su un tema dolente per tutto il centro-destra, la sua incapacità culturale di difendere le posizioni giuste che assume politicamente.

I nostri soldati all’estero sono un segno di civiltà, non di indebita aggressione ai danni di un altro popolo, ma semmai di “ingerenza umanitaria”, come disse Giovanni Paolo II a proposito delle guerre balcaniche, per liberare un popolo, in questo caso quello afghano, da una tirannia. Se è così non bisogna avere timore di gridarlo, si deve esserne fieri, senza cadere in nessun eccesso guerrafondaio, ma senza neanche sembrare di avere il complesso d’inferiorità verso gli atteggiamenti del pacifismo.

Certo, non tutte le guerre sono uguali. Per esempio appare ingiustificabile la guerra contro la Libia, iniziata in un tempo in cui il colonnello Gheddafi si era lasciato alle spalle le sue simpatie e la sua assistenza per le formazioni terroristiche e aveva accettato di collaborare commercialmente ed economicamente con il mondo occidentale, e soprattutto con il nostro Paese. Ma crediamo che l’opinione pubblica sia assolutamente in grado di comprendere la differenza fra Afghanistan e Libia, due conflitti originati da motivazioni molto diverse. Pensiamo anche che l’opinione pubblica sia molto più generosa e lungimirante di quanto ritengano certi uomini politici: se il terrorismo è una minaccia per tutti, allora bisogna che qualcuno lo combatta, molto semplicemente e drammaticamente.

L’altra importante notizia
di ieri è il voto favorevole al rifinanziamento delle missioni militari da parte del Pd, anche se con defezioni interne e dopo aver privilegiato anch’esso, come una parte della Lega, un voto politico rispetto al voto di coscienza, cioè a un voto motivato da un forte contenuto culturale e morale. E’ comunque un fatto positivo che va accolto con favore. Ma proprio su questo punto vorremmo insistere, mettendo in luce anche in questa occasione, come in quella relativa alla vittoria ottenuta con l’affossamento della proposta di legge sull’omofobia, ciò che soprattutto manca alla politica di oggi, ossia la volontà o la capacità della sua classe dirigente di esaltare i motivi ideali, culturali e morali, che determinano alcune scelte.

Saremo ingenui
, ma o le posizioni politiche vengono sostenute da ragioni ideali, oppure non stanno in piedi a lungo. Forse, uno dei rimedi più semplici per il male della politica, sta proprio nel non avere vergogna, ogni tanto, di “volare alto” o almeno un po’ più in alto.