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IL PERSONAGGIO

Missionario in Etiopia guardando agli ortodossi

Il Papa ha ricordato la grande figura di san Giustino de Jacobis, esempio di santità sacerdotale e di dialogo ecumenico svolto nella verità.

Attualità 31_01_2011
san giustino de jacobis

Nella settimana in cui, con il Messaggio per la Giornata Mondiale Missionaria di cui La Bussola Quotidiana ha pubblicato un commento, ha ricordato come nell’epoca della nuova evangelizzazione in Occidente non sia venuta meno la necessità della missione ad gentes, il Papa ha tratto occasione dall’incontro con la comunità del Pontificio Collegio Etiopico per ricordare la figura di un grande missionario italiano, san Giustino de Jacobis (1800-1860). Molto attento agli anniversari, Benedetto XVI non ha potuto per i numerosi impegni partecipare alle celebrazioni per il 150° anniversario della morte di san Giustino nel 2010, ma «ripara» ora ritornando su quel «significativo anniversario».

San Giustino, «degno figlio di san Vincenzo de’ Paoli [1581-1660]», dopo essere stato provinciale della Congregazione della Missione a Lecce e a Napoli, fu – come ricorda il Papa – «inviato a trentotto anni dall’allora Prefetto di Propaganda Fide, il Cardinale [Giacomo Filippo] Franzoni [più spesso scritto Fransoni, 1775-1856], come missionario in Etiopia». Il santo «lavorò prima ad Adua e poi a Guala», e fu consacrato vescovo da un altro illustre missionario, il futuro cardinale servo di Dio Guglielmo Massaia O.F.M. Cap. (1809-1889).

Ma mentre Massaia – di cui si è celebrato nel 2009 il secondo centenario della nascita, tra l’altro con importanti convegni storici – dedicò una parte significativa della sua missione ai non cristiani, san Giustino riprese soprattutto l’antico progetto di riportare alla comunione con Roma i cristiani ortodossi etiopi. Incaricato originariamente di una giurisdizione di rito latino, decise invece di adottare il rito etiope – una delle due varianti, insieme al rito copto, del rito alessandrino – costituendo così il primo nucleo della Chiesa Cattolica Etiope, «controparte» cattolica della Chiesa Ortodossa Etiopica, che oggi conta circa duecentomila fedeli.

San Giustino, ricorda il Papa, «pensò subito a formare preti etiopi, dando vita ad un seminario chiamato “Collegio dell’Immacolata”. Con il suo zelante ministero operò instancabilmente perché quella porzione di popolo di Dio ritrovasse il fervore originario della fede, seminata dal primo evangelizzatore san Frumenzio  [IV secolo]».

«Imparando la lingua locale – aggiunge il Papa – e favorendo la plurisecolare tradizione liturgica del rito proprio di quelle comunità, egli si adoperò anche per un’efficace opera ecumenica». Per la verità i rapporti con la Chiesa Ortodossa Etiopica, nonostante gli sforzi del santo, non furono facili; Benedetto XVI parla di «molte sofferenze e persecuzioni». Ed è significativo che il Pontefice, un giorno dopo avere incontrato la Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Orientali Ortodosse, rallegrandosi per i progressi ecumenici, celebri un santo che – senza trascurare il dialogo con gli Ortodossi – annunciò però sempre la verità della Chiesa Cattolica, accogliendo senza reticenze nella Chiesa di Roma quegli Ortodossi che desideravano entrarvi, mantenendo le loro plurisecolari peculiarità liturgiche.

Parlando a seminaristi, a proposito di san Giustino il Papa ricorda «la sua passione educativa, specialmente nella formazione dei sacerdoti», e l’esempio di santità sacerdotale. Benedetto XVI insiste molto sui santi, dedicando a parecchi di loro discorsi e catechesi. I santi sono infatti molto importanti per la nostra formazione. «Ce lo ricorda – spiega Benedetto XVI – il Concilio Vaticano II che, tra l’altro, afferma: “Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell’immagine di Cristo (cfr 2 Cor 3,18), Dio manifesta vivamente agli uomini la sua presenza ed il suo volto. In loro è Egli stesso che ci parla e ci mostra il contrassegno del suo Regno” (Cost. dog. Lumen gentium, 50)».

La santità sacerdotale, in questa prospettiva, ha un significato speciale. Infatti «Cristo, l’eterno Sacerdote della Nuova Alleanza, che con la speciale vocazione al ministero sacerdotale ha “conquistato” la nostra vita, non sopprime le qualità caratteristiche della persona; al contrario, le eleva, le nobilita e, facendole sue, le chiama a servire il suo mistero e la sua opera. Dio ha bisogno anche di ciascuno di noi “per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (Ef 2,7). Nonostante il carattere proprio della vocazione di ciascuno, non siamo separati tra di noi; siamo invece solidali, in comunione all’interno di un unico organismo spirituale. Siamo chiamati a formare il Cristo totale, un’unità ricapitolata nel Signore, vivificata dal suo Spirito per diventare il suo “pleroma” e arricchire il cantico di lode che Egli innalza al Padre. Cristo è inseparabile dalla Chiesa che è il suo Corpo».

Anche i santi che sono stati sacerdoti, nella comunione dell’unica Chiesa fatta di presbiteri, di religiosi e di laici, parlano a tutti. «La santità – afferma infatti il Papa – si colloca quindi nel cuore stesso del mistero ecclesiale ed è la vocazione a cui tutti siamo chiamati. I Santi non sono un ornamento che riveste la Chiesa dall’esterno, ma sono come i fiori di un albero che rivelano la inesauribile vitalità della linfa che lo percorre. E’ bello contemplare così la Chiesa, in modo ascensionale verso la pienezza del Vir perfectus; in continua, faticosa, progressiva maturazione; dinamicamente sospinta verso il pieno compimento in Cristo».