Miracolo e martirio nella Cecoslovacchia comunista
Cecoslovacchia 1949, una parrocchia testimone di un possibile miracolo viene presa di mira dal regime comunista. Il parroco, don Josef Toufar, accusato di aver inscenato l'evento paranormale, rifiuta di confessare la sua "colpa" e muore sotto tortura. Come se dovessimo morire oggi, storia di un miracolo e di un martirio.
L’11 dicembre 1949, terza domenica di Avvento, nella parrocchia di Cihost, Cecoslovacchia centrale, il sacerdote, durante la predica, indica il Tabernacolo e dice ai fedeli: “A Natale non dobbiamo cercare Cristo chissà dove. In mezzo a voi sta uno che non conoscete. Qui nel Tabernacolo c’è Nostro Signore”. E in quel momento, di fronte a venti fedeli attoniti e spaventati, il crocefisso si muove. Si muove da solo, inclinandosi prima a sinistra poi a destra, fermandosi poi in una posizione innaturale, chinato verso il pulpito.
Il miracolo di Cihost, di cui il giovane parroco, don Josef Toufar, è inizialmente inconsapevole (voltava le spalle alla croce), inizia ad essere sulla bocca di tutti. Prima viene inteso con angoscia e paura dai suoi fedeli, come il segno di una punizione divina. Poi inizia ad essere letto come un onore, come un segno di presenza del Signore. Attira i pellegrini dalle regioni circostanti, poi l’attenzione dei vescovi e infine del Vaticano che manda il nunzio apostolico a iniziare le indagini, con la massima discrezione possibile. Ma non sono tempi normali. Quella che segue non è la storia di un’indagine su un fatto soprannaturale, ma la storia di un martirio. In Cecoslovacchia, infatti, i comunisti hanno preso il potere da un anno e stanno iniziando sistematicamente a distruggere la Chiesa in tutto il Paese. Arrestano Josef Toufar, lo incarcerano senza processo e iniziano a torturarlo per venticinque giorni di fila, per spezzare la sua fede e costringerlo a dire in pubblico che quel miracolo è solo un trucco di una Chiesa ingannatrice. Finché il prete non gli muore fra le braccia, pur di non rinnegare la verità. Questi sono i fatti, meticolosamente ricostruiti attraverso diari, lettere e testimonianze, narrati da Come se dovessimo morire oggi, scritto dal poeta e scrittore ceco Milos Dolezal (ed. Itaca) con la prefazione di mons. Dominik Duka (arcivescovo di Praga) e Alessandro Vitale (Università degli Studi di Milano).
“Come se dovessimo morire oggi” è il modo in cui il martire Toufar ha sempre vissuto la sua vita. Figlio di agricoltori, desideroso di diventare prete sin dalla prima infanzia, costretto ad attendere a realizzare la sua vocazione e indossare il suo abito talare solo dopo la morte del padre, Toufar usava due metafore per spiegare questo semplice concetto. Una fiaba persiana, in cui un uomo getta pietruzze al vento, per disfarsene. Poi scopre che sono diamanti preziosi, ma il suo pentimento non gli consente comunque di recuperarle. E una fiaba indiana, raccontata dal grande scrittore russo Lev Tolstoj, in cui un uomo, per fuggire da un drago, si getta in un dirupo, ma così può finire in bocca a un altro mostro e la sua vita rimane appesa a un cespuglio. Ma due topolini, uno nero (la notte) e l’altro bianco (il giorno) rosicchiano le sue radici e dunque il suo tempo è contato. Immagini surreali e angosciose, che però servono a esortare lui stesso e i suoi fedeli a non sprecare neppure un giorno da dedicare al Signore e alla salvezza. Dobbiamo vivere come se dovessimo sempre morire oggi, senza perdere tempo, senza dimenticare di essere vigili contro il male.
La metafora di Tolstoj si rivela purtroppo molto pertinente alla realtà vissuta da don Toufar, la Cecoslovacchia occupata dai due mostri totalitari del Novecento, il nazismo prima e il comunismo poi. Don Toufar ha prima il coraggio di denunciare il nazismo dal pulpito, affermando che perderà la guerra, perché “alla fine la verità prevarrà”. Sono anni drammatici di occupazione, che sfiorano la sua parrocchia di Zahrada con retate, arresti e lutti. Ma paradossalmente la liberazione sovietica si rivela ben presto un’occupazione di gran lunga peggiore, specialmente per la Chiesa e per i suoi fedeli. Il regime che si insedia con un golpe nel 1948 inizia da subito a dividere il cattolicesimo, a creare un nucleo di “Chiesa patriottica” fedele al regime, ma non a Pio XII. Don Josef Toufar, con la sua fede sincera e il suo attaccamento alla verità non può rinnegare il Papa, né si tira indietro nell’organizzare la locale gioventù cattolica in un gruppo pacifico che si oppone alla gioventù comunista, già inquadrata e irreggimentata. Per ucciderlo spiritualmente, le autorità comuniste provano prima a sradicarlo, costringendo la sua diocesi a trasferirlo da Zahrada a Cihost. Ma contrariamente alle loro aspettative, la predicazione del nuovo parroco non perde affatto le sue radici, ma ne crea di nuove, nel popolo della nuova parrocchia, che si affeziona subito.
E poi arriva il miracolo di Cihost … Con incredibile monotonia, anche gli anticlericali di oggi, settant’anni dopo, continuano a ripetere sempre le stesse cose: che la religione è l’oppio dei popoli, dunque la Chiesa è un’organizzazione di ciarlatani intenti a creare finti fenomeni paranormali ad uso e consumo delle menti deboli; che i preti sono in malafede ed essendo casti sono affetti dalle peggiori turbe sessuali, soprattutto la pedofilia. Sono esattamente queste le accuse che vengono rivolte a don Josef Toufar, sono queste le dichiarazioni che gli vengono sottoposte per una firma nel corso della lunga tortura fisica e psicologica. Accuse che riguardano anche tutta la sua parrocchia, perché semplici fedeli e bambini vengono di volta in volta arrestati e costretti a “testimoniare” contro di lui (non appena potranno, approfittando della Primavera di Praga del 1968, ritrarranno le loro accuse e denunceranno l’abuso subito, senza eccezioni).
Quei venticinque giorni di tortura, nel febbraio del 1950, non rappresentano solo il martirio di un prete, che non fa altro che rifiutarsi di mentire, fino alla morte. Sono anche il tentativo furioso, quanto disperato, di un regime ateo di difendere i propri dogmi. Perché, non solo l’ammissione dell’esistenza di un miracolo, ma appena un minimo dubbio sulla sua esistenza, farebbe crollare tutti i dogmi del marxismo, secondo cui non esiste spirito, ma solo materia, non esiste amore ma solo sesso, non esiste fede ma solo soddisfazione del bisogno materiale, non esiste Dio ma solo la dialettica storica e materialista. Un singolo dubbio sulla manifestazione di Dio sulla terra farebbe crollare tutto questo. Ed è solo così che si spiega l’insistenza, la violenza, l’accanimento spesi da una squadra intera di aguzzini per cercare di strappare un atto di auto-accusa. Alla fine Josef Toufar muore, la sua fede resta. Il regime perde e questa sua piccola sconfitta, di cui mai più si è parlato per mezzo secolo, sarà premessa della sconfitta più grande: nonostante tutto, il popolo cecoslovacco non perde la sua fede, nonostante la repressione si libererà del regime nel novembre del 1989, senza spargere sangue, senza una guerra, come per miracolo.