Minacce di morte a Meloni, i soliti veleni della sinistra
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Minacce di morte a Meloni, Calderoli e Bignami nonostante gli appelli del Capo dello Stato. Ma sono proprio gli esponenti della parte politica dalla quale proviene Mattarella a soffiare sul fuoco delle proteste popolari per biechi tornaconti elettorali.
Nella sua accezione più nobile la politica è o dovrebbe essere la più elevata forma di carità. Dovrebbe essere sinonimo di dialogo, confronto, mai di guerra o di conflitto distruttivo. Eppure i segnali che arrivano ultimamente dalla politica italiana sono tutt’altro che incoraggianti da questo punto di vista. Ad esempio quest’anno, per la prima volta, alle feste di partito vengono invitati solo politici di area; gli avversari, evidentemente percepiti come nemici, non vengono presi in considerazione, forse perché si avvicinano le elezioni europee e ogni partito pensa solo a se stesso perché si vota con il sistema proporzionale. Si ritiene cioè più conveniente puntare sull’autocelebrazione anziché sul dibattito e la dialettica, il che svela la profonda debolezza delle singole forze politiche.
Ma a far riflettere sono le minacce di morte che negli ultimi giorni sono arrivate al premier, al ministro Roberto Calderoli e al viceministro delle infrastrutture Galeazzo Bignami. Gli insulti che hanno ricevuto sono irripetibili, i toni sono a tratti perentori a tratti farneticanti ma la sostanza non cambia: l’aggressività è la cifra dominante del rapporto con la diversità, anche in politica. E i fomentatori di professione sono probabilmente gli stessi politici con i loro commenti spesso sgarbati e sguaiati e le loro uscite scomposte sui social.
Giorgia Meloni è stata minacciata di morte alla vigilia della sua visita di ieri a Caivano, il paese dell’hinterland napoletano dove si è consumato lo stupro di gruppo ai danni di due cuginette di 11 e 12 anni. Chi l’ha minacciata non ha gradito la cancellazione del reddito di cittadinanza, sussidio improduttivo che avrebbe dovuto assicurare il reinserimento dei disoccupati nei circuiti lavorativi e invece si è tradotto in una iniqua e parassitaria forma di redistribuzione della ricchezza a fronte di nessun impegno da parte dei beneficiari. Eppure c’è chi arriva ad augurare la morte al presidente del consiglio che ha avuto il coraggio di mettere fine a quella profonda ingiustizia sociale di matrice grillina.
La morte è stata augurata anche a Roberto Calderoli, che sta faticosamente cercando di condurre in porto il progetto dell’autonomia differenziata, cavallo di battaglia della Lega ora fatto proprio dall’intero centrodestra, sia pure con dei distinguo. Più poteri alle Regioni affinchè siano maggiormente responsabilizzate nella gestione delle proprie risorse. Che cosa c’è di male? Nulla, anzi. Purtroppo, però, in questo modo le rendite parassitarie che si annidano soprattutto nelle regioni del sud verrebbero ridimensionate. Ecco allora che l’odio verso l’artefice di questa riforma -si spera in dirittura d’arrivo- viene crocifisso e minacciato di morte da chi teme di perdere quei privilegi.
Stessa sorte è toccata al viceministro Bignami, di Fratelli d’Italia, anch’egli accusato di essere complice di queste scelte politiche di cancellazione dei sussidi percepiti per anni dai fannulloni con doppio e triplo lavoro al nero.
Una domanda nasce spontanea: ma queste cose succedono nello stesso Paese in cui c’è un Presidente della Repubblica che (giustamente) auspica l’espulsione dell’odio dai rapporti umani e l’umanizzazione dei comportamenti e delle relazioni tra le persone? Mattarella la settimana scorsa è stato perentorio nel suo monito, condendo il suo discorso anche con citazioni letterarie: “Homo homini lupus, di Plauto, e il presunto stato di natura, di Thomas Hobbes, hanno, sempre, rappresentato ostacoli per la soluzione dei problemi dell'umanità», ha aggiunto.
I commentatori hanno colto nelle parole del Capo dello Stato un riferimento alle affermazioni contenute nel noto libro del generale Roberto Vannacci. Ma queste minacce di morte a figure di primo piano delle istituzioni non sono ancora più deprecabili delle esternazioni di un militare in un volume che le persone sono libere di ignorare e non leggere? Non toccano più nel profondo il tessuto sociale mettendo a rischio la tenuta dello Stato? Non sarebbe il caso che il Quirinale si esprimesse anche su questo, affermando che neppure in questo caso può esistere un diritto all’odio?
Anche perché non si può non constatare che sono proprio gli esponenti della parte politica dalla quale proviene Mattarella a soffiare sul fuoco delle proteste popolari per biechi tornaconti elettorali. La sinistra in questa fase storica, oltre che dimostrare di non avere una proposta politica alternativa a quella delle forze di governo, pratica un ostruzionismo sociale più che parlamentare, contribuendo ad avvelenare il clima e ad allontanare la prospettiva di un confronto sano e costruttivo tra maggioranza e opposizione. Non è un caso che Matteo Renzi continui ad essere accusato di flirtare con il centrodestra per il semplice fatto che è forse l’unico ad avere un’interlocuzione costante con Palazzo Chigi, rimarcando le differenze ma senza rinunciare al confronto.
L’odio non ha colore politico, è odio e basta e va combattuto sempre allo stesso modo a prescindere dalla sua provenienza. Un primo passo per rasserenare gli animi dovrebbe essere proprio quello di fermare i politici che provocano e fomentano, risvegliando gli istinti più brutali di chi si oppone al governo in carica. Se a dirlo in un giorno non lontano fosse lo stesso Mattarella, sarebbe davvero bellissimo.