Milano sfregiata, per chi non crede alla teoria della finestra rotta
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Tre graffitari hanno vandalizzato la Galleria Vittorio Emanuele di Milano. Il salotto buono della città che collega piazza Duomo alla Scala, è stato marchiato con le loro “tag”. Si tratta solo dell'ultimo di una lunga serie di episodi di vandalismo. Perché degrado chiama degrado (e anche il crimine).
Li hanno visti, li hanno filmati, li hanno anche fischiati, ma loro hanno portato a termine, impuniti, la loro opera: tre graffitari hanno vandalizzato la Galleria Vittorio Emanuele di Milano. Il salotto buono della città che collega piazza Duomo alla Scala, è stato marchiato con le loro “tag”, scarabocchi in vernice verde che indicherebbero le loro sigle. Lo hanno fatto proprio di fronte a tutti, in prima serata (alle 22:30 circa) quando la piazza centrale della città meneghina era ancora piena di turisti. Ma anche piena di poliziotti, di carabinieri e di soldati che stazionano regolarmente in centro. Mentre questo articolo va online, però, i tre autori risultano ancora latitanti, né sono stati identificati. Gli agenti di guardia hanno dato l’allarme, si sono mobilitati polizia urbana, Digos e vigili del fuoco, ma i graffitari sono scappati fra i tetti, come in una casbah qualsiasi.
La memorabile impresa arriva buon'ultima, in ordine di tempo, di una lunga serie. Il mese scorso, l’11 luglio, era toccato al monumento alla Resistenza di Piazza dei Mercanti (proprio accanto a Piazza Duomo): vandalizzato con scritte in spray blu da due ragazzi, alle 8 del mattino. In quel caso, agendo alla luce del sole e in un’ora di punta, erano stati fermati e portati in commissariato dai vigili urbani. Il danno comunque era già fatto. Il 9 marzo scorso, il monumento equestre di Vittorio Emanuele II di Piazza Duomo era stato imbrattato di vernice gialla, con un’azione rivendicata dagli ecologisti radicali di Ultima Generazione. Credevano di aver fatto un lavoro pulito, usando “vernice lavabile”. Forse non rendendosi conto che vuol dire: vernice che resiste ai lavaggi della superficie che colora. Morale per lavare il monumento Milano deve sborsare 29mila euro. Alla fine dell’anno scorso era stata l’Atm a subire un’umiliazione, perché il nuovissimo convoglio della linea 4 della Metropolitana era stato trovato riempito di graffiti quando era ancora in deposito, prima dell’inaugurazione.
Si tratta di scene di ordinario degrado, ormai, che fanno notizia solo se riguardano il centro o altri bersagli clamorosi. Non fanno più notizia quando ad essere imbrattati e rovinati sono edifici comuni, o treni usati dai lavoratori tutti i giorni. I regionali della Trenord, salvo qualche lodevole eccezione sono ormai street art in movimento: per chi ci viaggia è anche difficile leggere i nomi delle stazioni perché capita che tutti i finestrini siano occupati da questi spontanei dipinti di arte contemporanea.
Degrado chiama altro degrado. Nel 1969 lo psicologo Philip Zimbardo condusse l’esperimento della finestra rotta, per dimostrarlo. Due auto identiche, una parcheggiata nella ricca Palo Alto e l’altra del malfamato Bronx. Come era prevedibile, l’auto lasciata nel Bronx è stata ben presto smantellata, quella a Palo Alto è rimasta intatta. Poi però Zimbardo ha ordinato ai suoi collaboratori di rompere un finestrino dell’auto di Palo Alto. Come prevedeva Zimbardo, anche quella vettura è stata rapidamente smembrata pezzo per pezzo. Esperimenti analoghi, condotti in quartieri interi, hanno dimostrato come il degrado produca ulteriore degrado: finestre rotte e non riparate inducono i malintenzionati a romperne di altre, poi i graffitari si sentono liberi di imbrattare i muri e la gente getta la spazzatura per strada.
Chi prese sul serio questa teoria fu il sindaco conservatore di New York Rudolph Giuliani. Nel 1994 la sua politica di “tolleranza zero” del crimine partì con la ripulitura della metropolitana newyorkese, carrozze e stazioni incluse. Ormai era diventata il simbolo del degrado, sarebbe poi rinata per prima dando l’esempio al resto della metropoli. La logica della "tolleranza zero" è questa: riparare, ripulire, restaurare, poi punire i crimini, senza lasciar correre quelli della micro-criminalità, per prevenire la loro degenerazione. Entro la fine degli anni 90, la violenta New York era diventata una città sicura. Finché il sindaco De Blasio non ha ribaltato la logica di Giuliani, dal 2014, ed ora è tornata ad essere una città pericolosa.
Quella della "finestra rotta" è una teoria criminologica. Perché il bello e il buono vanno di pari passo. E, al tempo stesso, dal degrado al crimine il passo è più breve di quanto si immagini. Milano è prima nell’indice di criminalità (del Sole 24 Ore) ininterrottamente dal 2018 ad oggi. Fortunatamente per chi ci abita non è prima per omicidi (qui il primato spetta ad Enna, nel 2022), ma in media, considerando furti di tutti i tipi e le rapine, reati sessuali, associazioni a delinquere, truffe, usura, incendi e droga, Milano conta quasi 6mila denunce annue ogni 100mila abitanti ed è un record imbattuto in Italia. Anche se la stampa amica del sindaco fa notare che la criminalità sia in calo (nel 2019 le denunce erano più di 7mila ogni 100mila abitanti), Milano è sempre al primo posto. Ciò vuol dire che la violenza cala in tutto il Paese, ma Milano continua ad essere la più pericolosa, in confronto alle altre città.
Benché i giornali infondano una sensazione di falsa sicurezza, chiunque abiti a Milano si accorge che zone finora sicure (come Corso Como, zona di movida) sono diventate pericolose per la presenza di baby gang e rapinatori violenti. Il centro stesso diventa pericoloso di notte. E zone già poco raccomandabili, anche se fortemente presidiate, come la Stazione Centrale, sono diventate veramente proibitive, specialmente per donne sole. Milano non è un caso unico. E neppure si tratta di una caratteristica solo italiana. Tutte le grandi città amministrate da partiti di sinistra progressista stanno riscontrando gli stessi problemi: maggior degrado, maggior criminalità, aumento dei senzatetto, boom della droga. Perché si tratta, negli Usa, in Europa e in Italia, di partiti e sindaci che fanno il ragionamento contrario rispetto a quello di Giuliani: lasciano che le finestre vengano rotte, perché ritengono che la soluzione al problema sia solo sociale e nel caso gli imbrattatori si ammantino di ideologia antirazzista o ecologista, non nascondono neppure un po’ di simpatia nei loro confronti. Finché non arriva il vandalo che imbratta il loro salotto buono.