IL PAPA AI COMUNI
«Migrazione non stravolga l'identità culturale»
Benedetto XVI ai sindaci italiani: solidarietà e sussidiarietà, princìpi fondamentali. Siano sostenute anche le realtà ecclesiali.
Attualità
14_03_2011
Il 12 marzo Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i sindaci dell'Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), con i quali ha condiviso alcune importanti riflessioni sulla Dottrina sociale della Chiesa. Il Papa ha ricordato anzitutto il «particolare legame che esiste tra il Papa, vescovo di Roma e Primate d’Italia, e la Nazione italiana, la quale ha proprio nella variegata molteplicità di città e paesi una delle sue caratteristiche». In effetti, «la prima idea che viene alla mente incontrando i Rappresentanti dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, è quella dell’origine dei comuni, espressioni di una comunità che si incontra, dialoga, fa festa e progetta insieme, una comunità di credenti che celebra la Liturgia della domenica, e poi si ritrova nelle piazze delle antiche città o, nelle campagne, davanti alla chiesetta del villaggio».
A sorpresa il Pontefice ha citato un curioso riferimento alla Messa di un poeta massone e anticlericale, Giosuè Carducci (1835-1907), il quale «in un’ode sulla gente della Carnia, richiama: "del comun la rustica virtù / Accampata all’opaca ampia frescura / Veggo, ne la stagion de la pastura / Dopo la messa il giorno de la festa…"». Il brano poetico è occasione per Benedetto XVI di evocare e insieme auspicare un'Italia dove ogni paese possa essere davvero «una comunità fraterna dove, ad esempio, parrocchia e comune siano ad un tempo artefici di un modus vivendi giusto e solidale, pur in mezzo a tutte le tensioni e sofferenze della vita moderna».
Questa immagine di una nazione che vive nelle sue mille comunità locali è lo spunto per una riflessione del Papa su un problema dibattuto: come coniugare in Italia unità e diversità? Benedetto XVI risponde che «la molteplicità dei soggetti, delle situazioni, non è in contraddizione con l’unità della Nazione, che è richiamata dal 150° anniversario che si sta celebrando. Unità e pluralità sono, a diversi livelli, compreso quello ecclesiologico, due valori che si arricchiscono mutuamente, se vengono tenuti nel giusto e reciproco equilibrio». Tale equilibrio può essere garantito solo se si rispettano i due principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa: il principio di sussidiarietà e il principio di solidarietà. «Due principi che consentono questa armonica compresenza tra unità e pluralità sono quelli di sussidiarietà e di solidarietà, tipici dell’insegnamento sociale della Chiesa».
Il Pontefice ha voluto ricordare che la «dottrina sociale ha come oggetto verità che non appartengono solo al patrimonio del credente, ma sono razionalmente accessibili da ogni persona», così che la Chiesa proponendoli a tutti non realizza un'indebita ingerenza ma propone principi universali che valgono per cattolici e non cattolici, credenti e non credenti. «Su questi principi - spiega il Papa - mi sono soffermato anche nell’Enciclica Caritas in veritate, dove il principio di sussidiarietà è considerato "espressione dell’inalienabile libertà umana". Infatti, "la sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità" (n. 57).
Come tale, "si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano" (ibid.)». Sussidiarietà e solidarietà vanno unite, non contrapposte. «"Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno"».
La Dottrina sociale della Chiesa non è solo per gli Stati. Ha qualcosa da dire anche ai comuni. «Questi principi vanno applicati anche a livello comunale, in un duplice senso: nel rapporto con le istanze pubbliche statali, regionali e provinciali, così come in quello che le autorità comunali hanno con i corpi sociali e le formazioni intermedie presenti nel territorio. Queste ultime svolgono attività di rilevante utilità sociale, essendo fautrici di umanizzazione e di socializzazione, particolarmente dedite alle fasce emarginate e bisognose». Tra le formazioni intermedie presenti nei comuni «rientrano anche numerose realtà ecclesiali, quali le parrocchie, gli oratori, le case religiose, gli istituti cattolici di educazione e di assistenza». Il Papa chiede «che tale preziosa attività trovi sempre un adeguato apprezzamento e sostegno, anche in termini finanziari».
La natura di tale richiesta va però ben compresa: «La Chiesa non domanda privilegi, ma di poter svolgere liberamente la sua missione, come richiede un effettivo rispetto della libertà religiosa». Il rispetto di questo principio «consente in Italia la collaborazione che esiste fra la comunità civile e quella ecclesiale». Non dovunque, come sappiamo, è così. «Purtroppo, in altri Paesi le minoranze cristiane sono spesso vittime di discriminazioni e di persecuzioni». Al riguardo, anche i comuni possono svolgere un'opera utile con iniziative a favore dei cristiani perseguitati nel mondo. Il Papa esprime così «apprezzamento per la mozione del 3 febbraio 2011, approvata all’unanimità dal vostro Consiglio Nazionale, con l’invito a sensibilizzare i Comuni aderenti all’Associazione nei confronti di tali fenomeni e riaffermando, allo stesso tempo, "il carattere innegabile della libertà religiosa quale fondamento della libera e pacifica convivenza tra i popoli"».
Una parte di rilievo del discorso pontifico è stata dedicata al «tema della "cittadinanza"», definito «uno degli ambiti fondamentali della vita e della convivenza delle persone». Oggi, ha detto il Papa, «la cittadinanza si colloca, appunto, nel contesto della globalizzazione, che si caratterizza, tra l’altro, per i grandi flussi migratori». Sull'immigrazione la Dottrina sociale della Chiesa invita a tenere conto sia dei diritti degli immigrati, alla luce del principio di solidarietà, sia del diritto della società che li ospita non solo alla sicurezza ma anche alla propria identità culturale e religiosa, che non deve essere stravolta. Di fronte all'immigrazione, ha detto il Pontefice, «bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana».
Il riferimento dunque non è solo alla sicurezza ma anche all'identità, e a una identità non solo culturale ma anche religiosa, con un preciso rilievo sul rischio che questa sia «stravolta». Il Papa sa che «questa esigenza è avvertita in modo particolare da voi che, come amministratori locali, siete più vicini alla vita quotidiana della gente». Il Pontefice ha voluto citare in tema di sindaci la figura del servo di Dio Giorgio La Pira (1904-1977), definito «cristiano esemplare e amministratore pubblico stimato». La difesa dell'identità, ha concluso il Pontefice, rischia oggi di diventare impossibile senza un riferimento esplicito alla religione «perché – come dice il Salmo – "se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella" (127,1)».