Miglio rimosso, sconfitta culturale a colpi di cacciavite
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La rimozione della dedicazione della scuola di Adro a Gianfranco Miglio non è solo l'offesa della Sinistra ad un pensatore indipendente, ma lo schiaffo culturale di un Paese in cui le autonomie sono ancora viste come minaccia e non come opportunità.

Ad Adro, piccolo comune della Franciacorta noto alle cronache per le polemiche identitarie che lo accompagnano da almeno un quindicennio, è scoppiata una nuova tempesta politica e culturale in seguito alla decisione del neosindaco Davide Moretti di rimuovere dalla facciata del polo scolastico la scritta che ne indicava l’intitolazione a Gianfranco Miglio. Un’azione apparentemente tecnica e motivata da esigenze organizzative, secondo quanto dichiarato dallo stesso primo cittadino, che ha spiegato come la dicitura potesse generare confusione poiché il polo include diversi istituti scolastici, e non una singola scuola, e come la nuova collocazione urbanistica con l’apertura del parcheggio avesse di fatto relegato la scritta sul retro dell’edificio.
Tuttavia, le giustificazioni non hanno evitato che la rimozione – avvenuta simbolicamente il 10 agosto, giorno del ventiquattresimo anniversario della scomparsa del politologo – suscitasse una valanga di reazioni, soprattutto dal fronte leghista, che ha visto nel gesto un attacco politico e ideologico alla memoria di uno dei più autorevoli pensatori del Novecento italiano.
La Lega ha risposto con forza, parlando di censura, revisionismo e codardia, mentre dal centrodestra bresciano e lombardo si sono levate voci indignate: Fabio Rolfi, vicepresidente della Provincia, ha annunciato che porterà la questione in Parlamento, mentre Eugenio Zoffili, deputato comasco e capogruppo leghista in Commissione Difesa, ha attaccato frontalmente il sindaco Moretti, accusandolo di offendere la memoria di Miglio e di temere le idee. Gli ha fatto eco Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità, che ha definito “molto triste” la decisione dell’amministrazione comunale, ricordando come nessuno potrà mai cancellare gli insegnamenti, i libri e il lascito culturale del professore. Anche il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha commentato con toni duri l'accaduto, parlando di «becera ottusità» e «paura delle idee innovative nel segno del federalismo», mentre il professor Stefano Bruno Galli ha voluto rimettere al centro del dibattito l’importanza scientifica e intellettuale di Miglio, ricordando come lo studioso – paragonato da Carl Schmitt ai più grandi scienziati della politica europea – sia stato uno dei massimi interpreti del pensiero istituzionale e uno dei pochi ad aver saputo costruire, in modo coerente e visionario, un modello teorico del federalismo per l’Italia.
Galli ha anche sottolineato come il legame tra Miglio e la Lega Nord, lungi dall’essere partigiano, fu in realtà un episodio marginale nella vita di un accademico rigorosamente indipendente. A leggere i toni della polemica, si comprende come la vicenda vada ben oltre la rimozione di una targa o di una scritta. In gioco, infatti, non è solo la memoria di un uomo, ma il significato stesso di una stagione politica e culturale che, a distanza di quasi trent’anni, continua a dividere profondamente. È emblematico che tutto ciò avvenga proprio ad Adro, la “città dei 700 Soli delle Alpi”, dove l’ex sindaco Oscar Lancini – oggi europarlamentare – aveva voluto imprimere il segno identitario leghista in ogni angolo del nuovo complesso scolastico, suscitando a suo tempo accese polemiche da parte del centrosinistra.
Quella dedica a Miglio, scelta nel 2010, fu una decisione voluta, ragionata, simbolica: un tributo a un pensatore che aveva lasciato un segno profondo nel dibattito costituzionale e istituzionale italiano, e che nel nord del Paese – e in particolare in Lombardia – è sempre stato visto come il padre nobile del pensiero autonomista. Eppure oggi, proprio mentre si discute di autonomia differenziata e di federalismo fiscale, in un contesto dove le riforme istituzionali dovrebbero finalmente passare dalle parole ai fatti, si assiste alla marginalizzazione – persino alla rimozione fisica – del nome di colui che di quella visione fu l’architetto più lucido.
Una contraddizione amara, che mette in luce tutta la fragilità della cultura delle autonomie in Italia, ancora incapace di riconoscere, valorizzare e preservare le sue radici teoriche. Perché Gianfranco Miglio non fu un dilettante né un teorico estemporaneo: fu un politologo e giurista di altissimo livello, un costituzionalista capace di interpretare le dinamiche del potere con strumenti scientifici e una profondità analitica non comuni, tanto da meritarsi l’attenzione di pensatori come Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, oltre a essere celebrato all’estero per il rigore della sua riflessione istituzionale.
Ridurre oggi il suo nome a un simbolo di parte, da rimuovere per evitare “fraintendimenti”, è un gesto che rivela non solo miopia amministrativa, ma soprattutto una grave povertà di consapevolezza storica e culturale. Non è infatti solo questione di destra o sinistra, di Lega o centrosinistra, di simboli da affiggere o da togliere: è questione di memoria, di rispetto per chi ha contribuito a costruire il pensiero politico italiano, e di maturità democratica. Una democrazia matura non cancella le intitolazioni scomode, non rimuove le idee con un colpo di cacciavite, ma affronta il dibattito pubblico con onestà intellettuale, riconoscendo il valore del pluralismo e la complessità della storia.
Che si possa discutere sull’opportunità o meno di mantenere un nome su un edificio è legittimo, ma che ciò avvenga senza un vero confronto, in modo silenzioso, quasi furtivo, e proprio nel giorno dell’anniversario della morte di Miglio, ha inevitabilmente assunto un carattere politico, volente o nolente. E allora, forse, non è più solo una questione locale, ma il sintomo di un paese dove le autonomie sono ancora viste come minaccia e non come opportunità, dove la cultura federalista resta relegata a nicchia ideologica, dove persino i maestri di pensiero vengono trattati alla stregua di militanti di fazione.
Miglio, che con sguardo lucido aveva anticipato molte delle degenerazioni del centralismo italiano, viene così rimosso non solo da una parete, ma da un dibattito nazionale sempre più povero, sempre meno capace di onorare le sue voci più autorevoli. E questa, più che una polemica estiva, è una sconfitta culturale.