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L'ARTICOLO SU BLOOMBERG

Metodo Barilla e rivoluzione gay, ora è un case history...

Un approfondimento dell’influente settimanale Bloomberg Businessweek ripercorre le tappe dell’inversione a U della Barilla, dopo le parole del 2013 sulla famiglia che costarono al suo presidente l’accusa di “omofobia”. In pratica, la Bloomberg presenta la svolta Lgbt dell’azienda come un modello da imitare. E l’amministratore delegato Colzani fa capire che l'opera di rieducazione è solo agli inizi, attribuendo il “ritardo” dell’Italia sull’agenda gay alla fede cattolica.

Attualità 09_05_2019

«Non lo farei ma non per mancanza di rispetto agli omosessuali che hanno diritto di fare quello che vogliono senza disturbare gli altri, ma perché non la penso come loro, e penso che la famiglia a cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica». Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel 25 settembre 2013, quando Guido Barilla, incalzato dalle domande alla trasmissione radiofonica La Zanzara, disse che non avrebbe fatto uno spot gay perché «il concetto di famiglia sacrale rimane uno dei valori fondamentali dell’azienda». Si sa come andò a finire. Le associazioni Lgbt montarono un putiferio, l’industria mediatica rese quelle parole un caso internazionale, sul web si moltiplicarono gli inviti al boicottaggio della marca di pasta, con incluso sarcasmo dell’allora commissario europeo per la Concorrenza, Neelie Kroes.

Non passarono nemmeno 24 ore e arrivarono le prime scuse del presidente della Barilla. Tempo un altro giorno ed ecco un videomessaggio con il contrito Guido a rinnovare le scuse e dire che «sull’evoluzione della famiglia ho molto da imparare». Trascorso un mese e qualche giorno, la multinazionale della pasta annunciava di aver cooptato come consulente David Mixner, definito dal settimanale Newsweek come il gay più potente d’America, nonché la creazione di un Diversity and Inclusion Board, un comitato per la diversità e l’inclusione. Risultato? Da cinque anni la Barilla ottiene il massimo punteggio possibile, il 100%, nel cosiddetto Corporate Equality Index, un indice per misurare quanto una data azienda sia gay-friendly, sviluppato dalla più grande organizzazione statunitense per l’avanzamento dei diritti Lgbt, la Human Rights Campaign.

Il 100%, però, non inganni: la rivoluzione gay alla Barilla è, nella mente dei suoi promotori, appena agli inizi. Lo testimonia un lungo articolo pubblicato il 7 maggio sul settimanale Bloomberg Businessweek (di proprietà del colosso dei mass media fondato dall’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg), che s'intitola: «La svolta della pasta Barilla dall’omofobia al [gay] pride nazionale». La retromarcia della storica azienda di Parma a conduzione familiare è quindi assurta a vero e proprio case history, un ‘modello’ da imitare. L’articolo è molto interessante perché, tra i vari retroscena, permette di capire, da un punto di vista chiaramente pro Lgbt, diversi degli intrecci che riguardano il mondo del business, della politica, della cultura accademica, in relazione al progresso dell’agenda arcobaleno.

Uno dei grandi artefici di questa rivoluzione appare essere Claudio Colzani, che prima di divenire amministratore delegato della Barilla nell’autunno 2012 era stato per più di 25 anni all’Unilever, multinazionale proprietaria di circa 400 marchi - di cui molti conosciutissimi - tra alimentari, cosmetici, prodotti per l’igiene personale e domestica: già all’Unilever, Colzani sedeva in un comitato per la «diversità», la parola-talismano che oggi apre tante porte… Era stato lui, racconta l’inviato della Bloomberg a cui il manager ha concesso un’intervista, che quel 25 settembre di sei anni fa, a putiferio già in corso, aveva chiamato il capo della comunicazione aziendale urlando «che diavolo sta succedendo?» e dirigendosi immediatamente da Milano a Parma per confrontarsi con Guido Barilla. L’AD aveva poi contattato vecchi colleghi e chiesto consiglio su come “riparare”.

Il già citato e potente Mixner, dopo quattro rifiuti, aveva infine accettato di incontrare a pranzo il presunto “omofobo” Guido in un esclusivo locale newyorchese, presentando il tutto come favore personale a un amico che lavorava nelle pubbliche relazioni della Barilla. Quattro ore insieme a parlare, e accordo fatto. Per coloro che nei gruppi Lgbt non condividevano la scelta di «aiutare» Barilla, Mixner aveva pronta la risposta: «Ho detto loro che lo scopo di un movimento è cambiare le menti». Già, bisogna riconoscere che ci stanno riuscendo, con una capacità di condizionamento che fa riflettere. A sei anni di distanza, mentre l’Italia si è dotata della legge sulle unioni civili verso cui ha spinto lo stesso Mixner, il tempo delle scuse non è ancora finito, tant’è che la Bloomberg riferisce che i vecchi critici della Barilla evitano di fare troppi complimenti. Nelle parole di Colzani: «Loro dicono: “Sei ok. Sei ancora in modalità ripara”. Che penso sia un commento corretto. Cercheremo sempre di migliorarci prima di dire agli altri che siamo a posto». Si potrebbero chiamare teorie e tecniche di come inchinarsi, rendendo omaggio al “dio” sbagliato.

A proposito, Colzani ha detto al suo intervistatore che in Italia «il dibattito sulle questioni Lgbt è arrivato molto, molto tardi in paragone a molti altri Paesi europei», attribuendo il ritardo, come riferisce il giornalista, all’influenza della religione sulla filosofia morale e all’alta percentuale di cittadini che si identificano come cattolici. La traduzione del pensiero è semplice: siamo i cattolici a ritardare il “progresso”. L’articolo prosegue manifestando ostilità verso gli stessi Domenico Dolce e Stefano Gabbana, per la famosa intervista del 2015 a Panorama in cui i due stilisti, a lungo insieme in una relazione omosessuale, mostravano di non condividere (soprattutto il primo) le idee radicali dei gruppi Lgbt. Dolce, in particolare, aveva detto che da gay «non posso avere un figlio» e «la vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia».

La Barilla, ci dice ancora il servizio della Bloomberg, non vuole più semplicemente rispecchiare la cultura italiana, ma in pratica plasmarla verso un “migliore ideale”. Così Colzani spiega la differenza tra ieri e oggi: «Stavamo semplicemente cercando di essere un buon cittadino. Adesso, stiamo cercando di essere un modello». In questa strategia rientra pure l’immagine degli “spaghetti lesbici” diffusa nell’autunno 2018, realizzata dalla designer Olimpia Zagnoli, una di coloro che cinque anni prima aveva invitato a boicottare la stessa Barilla. Una resa totale alla propaganda arcobaleno, insomma.

Sul sito dell’azienda, si legge che secondo Colzani «promuovere diversità e inclusione non significa solo “fare la cosa giusta”, ma anche sostenere la nostra strategia di crescita». Davvero paradossale, in questo rovesciamento di princìpi, che un’azienda nata e cresciuta grazie a una famiglia - nonché divenuta prospera nei decenni grazie a milioni e milioni di famiglie ovviamente nate dall’unione tra un uomo e una donna - pensi oggi di sostenere la propria strategia di crescita abbracciando le idee di una lobby che fa la guerra a Dio e sta facendo di tutto per distruggerla, la famiglia, a partire dal suo significato. Perché, ripetendo le parole di Mixner, lo scopo del movimento Lgbt è «cambiare le menti». Sì, e poi?