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NARCOS

Messico, la Chiesa reagisce al dramma dei 43 desaparecidos

Un crimine sconcertante. La polizia, che avrebbe dovuto proteggere i suoi cittadini, ha contribuito al sequestro e alla (ormai quasi certa) uccisione di 43 studenti della Normal Rural de Ayotzinapa, nella città di Iguala. Mentre le autorità sono omertose e le indagini lente, la Chiesa reagisce con vigore.

Esteri 13_11_2014
Messico, manifestazione per i desaparecidos

Il Messico è protagonista di un crimine sconcertante. La polizia, che avrebbe dovuto proteggere i suoi cittadini, ha contribuito al sequestro e alla (ormai quasi certa) uccisione di 43 studenti della Normal Rural de Ayotzinapa, nella città di Iguala, nello Stato di Guerrero.

Il crimine sconcertante è avvenuto il 26 settembre scorso dopo scontri tra polizia e manifestanti. Il sequestro, secondo la tesi della pubblica accusa, sarebbe stato ordinato dall'ormai ex sindaco di Iguala, José Luis Abarca Velázquez, per timore che gli studenti potessero interrompere un discorso tenuto dalla moglie, nota per i suoi legami alla criminalità organizzata. Il motivo sarebbe abbastanza evidente: le piantagioni di papavero d'oppio, crescono per un 98% nello stato di Guerrero. Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in una recente conferenza stampa ha ricordato che «il principale fornitore degli Usa di derivati dell'oppio è il Messico». Inoltre ha ricordato che negli ultimi 4 anni il sequestro di eroina al confine con il Messico è cresciuto del 324%. In pratica, le bande di narcotrafficanti locali sono sedute letteralmente su un impero e non hanno alcuna intenzione di perderlo. Le autorità, o accettano la collusione o soccombono, anche perché hanno molte meno risorse rispetto alla malavita organizzata.

La Normal Rural de Ayotzinapa sarebbe da tempo nel mirino dei narcos. I gruppi paramilitari che in diversi momenti l’hanno attaccata agirebbero con la protezione di elementi dell’esercito. (E non sarebbe neppure la prima volta che pezzi delle forze dell’ordine o delle forze militari passano dall’altra parte della barricata, divenendo narcos a loro volta. Una delle bande più pericolose della guerra per il controllo del traffico di droga, è quella degli “Zeta”, ex forze speciali). La notte della scomparsa gli studenti stavano manifestando contro la riforma dell’educazione a bordo di un paio di autobus occupati, quando un gruppo di poliziotti li ha fermati a colpi d’arma da fuoco. Sei studenti sono morti, altri 25 sono rimasti feriti, mentre 43 sarebbero stati consegnati alla banda armata dei Guerreros Unidos, che controlla la regione. Abarca Velázquez e la moglie sono stati arrestati all’inizio del mese, dopo una breve latitanza, mentre 56 persone, tra cui poliziotti di Iguala e della vicina città di Cocula, e il presunto leader di Guerreros Unidos, sono state arrestate precedentemente. Ma della sorte dei 43 studenti non si sa ancora nulla di certo. Solo sospetti, sempre più fondati, che rivelano una realtà agghiacciante. In tre differenti occasioni, il 4, il 14 e il 22 ottobre, sono state trovate 8 differenti fosse comuni nell’area di Iguala. Successive indagini non hanno ancora rivelato con certezza l’identità dei 30 cadaveri in esse contenuti, probabilmente si tratta di altri sfortunati finiti nel mirino della mafia locale. Almeno 24 di questi, stando al rapporto di un team internazionale di esperti, non sono i corpi dei ragazzi scomparsi. Tuttavia la diffusione delle notizie sul ritrovamento delle fosse comuni ha iniziato a sollevare un’indignazione incontenibile in tutto il Messico.

Alla fine di ottobre, dopo un lungo periodo di silenzio istituzionale, il sacerdote Alejandro Solalinde, paladino dei diritti umani e direttore della “Casa del Migrante”, è stato sentito dalla polizia sul caso dei 43 studenti scomparsi. Il sacerdote che non era mai stato ricevuto dalla polizia, nonostante si fosse presentato tante altre volte, aveva lasciato poco spazio alla speranza: “Sono tutti morti” aveva detto, citando testimoni oculari e dando anche dettagli sulle modalità (bruciati, alcuni mentre erano ancora vivi). Il religioso, accompagnato dalla scrittrice Elena Poniatovska, aveva consegnato al procuratore le informazioni in suo possesso, ricavate da cinque testimonianze di gente del posto, dicendo che coincidessero in buona parte (“all’80 per cento”) con quelle in mano agli investigatori. Solo il 7 novembre scorso in conferenza stampa il Procuratore Generale della Repubblica, Jesús Murillo Karam ha dato l’annuncio che si stava aspettando da molti giorni. Secondo la versione ufficiale, ricavata dalle confessioni di tre presunti sicari, i 43 studenti "normalistas" di Ayotzinapa, sarebbero stati consegnati dagli agenti della polizia municipale di Iguala ai Guerreros Unidos. Questi li avrebbero uccisi, fatti a pezzi, bruciati e buttato i loro resti in una discarica nella località di Cocula, a pochi chilometri da Iguala.

Solo un mese dopo i fatti, poi, il presidente del Messico, Enrique Peña Nieto, ha ricevuto i genitori dei 43 studenti scomparsi. Secondo le ricostruzioni fatte dalla stampa, i familiari dei ragazzi avrebbero passato più di sei ore nel palazzo presidenziale Los Pinos a Città del Messico; alcuni attivisti hanno riferito che l'incontro era finito prima, ma i genitori rifiutavano di uscire finché Peña Nieto non avesse firmato un documento da loro preparato. Il presidente ha detto più tardi di aver ascoltato le preoccupazioni dei familiari degli studenti e di aver concordato con molte delle loro richieste, tra cui quella di creare una commissione composta da funzionari del governo e genitori per fornire aggiornamenti quotidiani sulle indagini. Fatto sta che, da fine ottobre ad oggi cresce il sospetto fra parenti degli scomparsi, sindacati degli insegnanti e organizzazioni studentesche, che il sequestro del 26 settembre sia stato organizzato con complicità “molto in alto”. Lo stesso presidente rischia di essere trascinato nello scandalo. Nella più imponente manifestazione di Città del Messico, è stato attaccato lo stesso Palazzo Nazionale, il cui portone è stato dato alle fiamme. Negli scontri di ieri, i più gravi nello Stato di Guerrero dall’inizio del caso, i manifestanti (dei sindacati insegnanti e organizzazioni studentesche) hanno dato alle fiamme il quartier generale del Partito Rivoluzionario Istituzionale, quello del presidente.

Contrariamente alle istituzioni, che latitano, si mostrano omertose, quando non direttamente colluse e dunque si stanno screditando agli occhi dei messicani, la Chiesa, sia a livello locale che internazionale, è in primissima linea nel denunciare lo scandalo e nel premere per accelerare le indagini. Papa Francesco è stato il primo capo di Stato a intervenire sul caso, prima ancora del presidente messicano. Anche ieri è tornato sull’argomento, rivolgendosi ai familiari degli studenti scomparsi: «Vorrei in qualche modo esprimere ai messicani qui presenti ma anche a coloro che sono in patria, la mia vicinanza in questi momenti dolorosi per la scomparsa legale degli studenti, ma noi sappiamo, che sono stati uccisi. Questo rende visibile la drammatica realtà che esiste dietro il commercio e il traffico delle droghe. Sono vicino a tutti voi e alle vostre famiglie».

La Chiesa messicana esprime indignazione ed è attivissima nelle ricerche. Abbiamo già visto il ruolo del sacerdote-coraggio Alejandro Solalinde. Ma anche i vescovi della Conferenza Episcopale Messicana non le mandano a dire: «Gesù ha purificato il Tempio, diventato un covo di ladri e di corrotti: questo è ciò che manca nel nostro Paese». Un Paese «corrotto, dove alla gente e ai politici non importa di vivere o meno nella verità». Queste sono le parole del vescovo di Campeche, José Francisco González, aggiungendo che «quello che è successo a Iguala non è purtroppo un caso isolato». La settimana scorsa, la Conferenza Episcopale Messicana aveva promulgato il suo comunicato ufficiale: «Unendo la nostra voce alla vostra e a quella di tutta la nostra società, diciamo basta a tanta corruzione, impunità e violenza. Esortiamo le autorità a indagare fino alla fine, alle ultime conseguenze, per conoscere con certezza la situazione degli scomparsi e punire con tutto il peso della legge gli autori intellettuali e materiali. Chiediamo anche di far valere lo stato di diritto, per mettere fine a tutte le forme di violenza, alle attività illegali, alla corruzione, all’impunità, ai collegamenti e alla complicità di alcuni funzionari con la criminalità organizzata». Il documento è firmato dall’arcivescovo presidente dell’episcopato, cardinale Francisco Robles Ortega, e dal vescovo segretario Eugenio Andrés Lira Rugarcía.

La settimana scorsa si erano tenute «43 ore di preghiera e digiuno» per gli studenti di Ayotzinapa, a Città del Messico. Una trentina di famiglie si sono unite a organizzazioni cattoliche e non confessionali per continuare a cercare nella zona i resti delle persone scomparse. Il locale “Fronte igualteco per la dignità e la pace sociale”, a cui contribuisce anche la Chiesa locale, ha chiesto a tutte le famiglie di rompere il silenzio e di abbandonare la paura in cui sono vissute finora.

Il problema, per la Chiesa messicana, è che si trova anch’essa nel mirino dei narcos, che la giudicano come uno scomodo contropotere, da tenere a bada o eliminare fisicamente. Negli ultimi sei anni sono morti assassinati, almeno 1 sacerdote all’anno, mentre altri 3 sono scomparsi. Attualmente, il Messico è il paese più pericoloso in America Latina per chi indossa una tonaca, come rileva il Centro Cattolico Multimediale con sede nella capitale. Specialmente gli ultimi sei anni, che coincidono con quelli dell’amministrazione Nieto, sono stati i peggiori, caratterizzati “dall’inerzia delle autorità e dalla mancanza di protezione dei diritti umani dei religiosi”. Così come dei diritti umani di chiunque altro: specialmente se anche chi dovrebbe proteggerti si allea coi peggiori criminali.