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COMUNISMO

Messaggi dall'inferno cinese, regime che non cambia

Fra i biglietti di auguri natalizi, comprati in Inghilterra, spunta l’orrore totalitario cinese: un messaggio di aiuto scritto da un prigioniero condannato ai lavori forzati. Non è la prima volta che messaggi simili vengono trovati in insospettabili prodotti in vendita in Europa e Nord America.Tutte prove di un regime che non cambia mai. 

Editoriali 24_12_2019
Mappa dei Laogai in Cina (1992)

Fra i biglietti di auguri natalizi, spunta l’orrore totalitario cinese. Una bambina inglese di sei anni, di nome Florence, che abita vicino a Londra, stava scrivendo i suoi primi biglietti di auguri, appena comprati da un supermercato Tesco. Sono biglietti di beneficienza, il ricavato della loro vendita (circa 300mila sterline all’anno, in media) va alla British Heart Foundation, al Cancer Research e a Diabetes UK. Una buona azione natalizia, dunque. Ma uno di questi biglietti è già scritto. La bambina va da suo padre, Ben Widdicombe, il quale rimane molto colpito da quella scritta, a penna, in stampatello. Prima pensa ad uno scherzo, poi decide di seguire le istruzioni alla fine di quel breve messaggio: “far avere al signor Peter Humphrey”, un giornalista che era stato internato per due anni in Cina (dopo un processo farsa) fra il 2013 e il 2015 nel carcere di Qingpu, presso Shanghai. E allora scopre che, quasi certamente, il messaggio è autentico: è un appello, un Sos, come quello che un naufrago lascia in una bottiglia. In questo caso non è un naufrago a scrivere, ma un prigioniero internato in Cina, in un campo di lavoro.

La catena dei supermercati Tesco ha sospeso le commesse in Cina e ha avviato immediatamente un’indagine. Peter Humphrey, il giornalista che ha confermato l’autenticità del messaggio di aiuto nel biglietto di auguri, ritiene che sia stato scritto da una persona da lui conosciuta (ma di cui non vuole rivelare l’identità, per evitare inevitabili rappresaglie) nello stesso blocco del carcere di Qingpu. Lo stesso giornalista ricorda le condizioni terribili di detenzione: inverni al freddo senza riscaldamento, estati al caldo senza aria condizionata, celle sovraffollate. Se nel decennio scorso il lavoro dei carcerati era ancora volontario, negli anni successivi, dice il giornalista, è diventato obbligatorio.

Non si tratta dell’unico caso di scoperta di messaggi di aiuto. Nel 2012 era toccato all’americana Julie Keith, di Portland, scoprire, in una scatola di decorazioni per Halloween un messaggio dal campo di lavoro cinese in cui erano state prodotte: vi erano descritte condizioni carcerarie durissime, lavoro forzato e torture. Nel 2014, Karen Wisinska, nell’Irlanda del Nord, aveva trovato in un paio di pantaloni una lettera di Sos in cui un altro prigioniero lamentava le condizioni in cui, quegli abiti, erano prodotti: schiavi costretti a lavorare tutti i giorni, per tutto il giorno, “come nemmeno i buoi e i cavalli da tiro”, poco nutriti con “cibo che non sarebbe ritenuto adatto nemmeno per gli animali”.

Cosa dimostrano queste tristi scoperte? Che in Cina non è cambiato nulla. I Laogai, i campi di lavoro e rieducazione costituiti ai tempi di Mao, sono stati formalmente chiusi. Ma in realtà ci sono ancora e vi si producono merci che vengono vendute anche nei nostri negozi.

I campi di lavoro sono solo uno dei metodi repressivi del totalitarismo cinese che il regime tiene nascosti, che ufficialmente ha abolito, ma che durano ancora. Un altro, ancor più terribile, è il commercio di organi espiantati ai condannati a morte. La pratica è ancora in uso, stando sia al rapporto pubblicato nel luglio 2018 dal China Organ Harvest Research Center, sia da una più recente (gennaio 2019) inchiesta giornalistica sui prigionieri del movimento spirituale del Falun Gong, tuttora fra le prime vittime, per numero, del trapianto forzato di organi. Come ci confermava su queste colonne anche il sociologo Steven Mosher, «la prova regina che la mattanza dei “donatori” continua, è nei tempi di attesa. In altri Paesi, i malati possono attendere per anni prima che un organo sia disponibile. Il tempo di attesa nel Regno Unito è di tre anni. quello in Canada, il doppio. Solo in Cina, i “turisti dei trapianti” ricevono reni, cuori e fegati entro poche settimane o giorni dal loro arrivo. In certi casi i pazienti hanno riferito che l’operazione di trapianto era stata programmata anche prima del loro arrivo in Cina, un qualcosa che è possibile solo in caso di trapianto forzato di organi».

Difficile, dunque, affermare che il regime di Pechino sia diventato più aperto, anche per quanto riguarda la tolleranza delle religioni. La persecuzione è in aumento. I fedeli, cattolici, protestanti, musulmani, buddisti, taoisti e membri di nuove sette, sono i primi a finire nel vasto arcipelago cinese di carceri e lavori forzati. La politica di “sinizzazione”, il pretesto di insegnare un “cristianesimo con caratteristiche cinesi” si sta rivelando come la più massiccia campagna di ateizzazione forzata dai tempi di Mao. E riguarda anche i cattolici, la cui persecuzione sta addirittura peggiorando dopo l’accordo provvisorio Cina-Vaticano. E’ dunque veramente difficile capire da dove arrivi questo clima di rinnovata fiducia che fa dire (secondo il quotidiano cinese Global Times) al cardinale Marcelo Sanchez Sorondo (cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Vaticana), nel corso di una conferenza a Kunming, proprio sulla donazione e il trapianto di organi, “Papa Francesco ha amore e fiducia nella Cina; e la Cina si fida di Papa Francesco”. E: “In questa dinamica, il prossimo passo è quello di raggiungere [un accordo per stabilire] relazioni diplomatiche”. Sempre mons. Sanchez Sorondo, un anno fa, aveva dichiarato che “In questo momento, quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi”.