Messa antica, altra mannaia nelle risposte ai dubia
La Congregazione per il Culto Divino pubblica i Responsa ad dubia sull’interpretazione di Traditionis Custodes: emergono ulteriori restrizioni rispetto ai contenuti del motu proprio di papa Francesco, dai Sacramenti all’aut aut per chi non vuole concelebrare, fino all’accentramento delle decisioni (a danno dei vescovi). Insomma, si vuol seppellire la Messa in Rito antico.
Ci sono dubia e dubia. Ai primi, sollevati da quattro semplici cardinali, di cui si conoscono nomi e cognomi, si è deciso di non dare risposta: troppo alto il rischio di far emergere l’eresia nascosta. Ai secondi, invece, sollevati da non si sa esattamente chi, monsignor Arthur Roche, nuovo prefetto della Congregazione per il Culto divino, e la sua banda muoiono dalla voglia di rispondere.
Il contenuto dei Responsa ad dubia sull’interpretazione del motu proprio Traditionis Custodes è facilmente riassumibile: tutto quello che riguarda il Rito romano antico è proibito, tranne quel poco che viene esplicitamente autorizzato; ovviamente con il contagocce. Il Pontificale Romanum, che contiene, tra l’altro, i riti dell’amministrazione della Cresima e degli Ordini sacri, non può più essere utilizzato. Il Rituale Romanum, dove troviamo i riti relativi al Battesimo, alla Confessione, all’Unzione degli infermi, ma anche l’esorcismo e innumerevoli benedizioni, può essere autorizzato dal vescovo esclusivamente nelle parrocchie personali canonicamente erette.
Per l’utilizzo del Missale Romanum del 1962, emergono ulteriori restrizioni, rispetto alla cura dimagrante imposta dal motu proprio. Se il vescovo non è in grado di individuare una chiesa o oratorio per la celebrazione della Messa antica, può sì autorizzare la celebrazione in una chiesa parrocchiale, ma alla sola condizione di trattare i “tridentini” come dei paria: «Tale celebrazione - spiega Roche - non è opportuno che venga inserita nell’orario delle Messe parrocchiali, essendo partecipata solo dai fedeli aderenti al gruppo. Infine, si eviti che vi sia concomitanza con le attività pastorali della comunità parrocchiale». Insomma, se c’è la pesca di beneficenza in parrocchia, non si può celebrare la Messa antica. E, in ogni caso, Roche impone una sorta di “riconoscimento facciale”, dal momento che alla temuta Messa potranno partecipare solo gli “aderenti al gruppo”. Non è chiaro se un eventuale intruso debba essere allontanato e in quale modo. Ragione di questo regime di apartheid? Nessuna «intenzione di emarginare i fedeli che sono radicati nella forma celebrativa precedente», spergiura Roche, ma solo il desiderio di «ricordare che si tratta di una concessione per provvedere al loro bene (in vista dell’uso comune dell’unica lex orandi del Rito Romano) e non di una opportunità per promuovere il rito precedente». Non vi vogliamo emarginare, ma semplicemente far estinguere.
E non è finita qui. Ad un sacerdote che non vuole concelebrare, in particolare nella Messa crismale, viene revocata la facoltà di celebrare in Rito antico. A dire il vero, il testo sembra limitarsi a quanti non riconoscono la validità e legittimità della concelebrazione; ma nella Nota esplicativa si afferma che «l’esplicita volontà di non partecipare alla concelebrazione, in particolare nella Messa Crismale, sembra esprimere una mancanza sia di accoglienza della riforma liturgica sia di comunione ecclesiale con il Vescovo». In realtà, il Diritto Canonico difende la libertà del sacerdote di celebrare l’Eucaristia in modo individuale (can. 902), mostrando chiaramente che quella della concelebrazione è semplicemente una possibilità (sacerdotes Eucharistiam concelebrare possunt) e non un obbligo. A ben vedere, non si tratta neppure di una raccomandazione, la quale è stata invece esplicitamente evitata nella redazione finale del Codice. Una raccomandazione figurava, infatti, nello schema del 1980, ma venne appunto tolta, in quanto non conforme alla Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium (n. 57). Ma siccome invece a Roche sembra che il rifiuto di concelebrare manifesti la non accettazione della riforma liturgica e una rottura con il vescovo, allora si può ricattare il sacerdote: o concelebri o non hai più l’autorizzazione al Rito antico.
Altro esimio esempio di inclusività: «Il parroco o il cappellano che [...] celebra nei giorni feriali con l’attuale Missale Romanum, unica espressione della lex orandi del Rito Romano, non può binare celebrando con il Missale Romanum del 1962, né con un gruppo né privatamente». Roche esclude esplicitamente che la necessità dei fedeli di poter partecipare alla celebrazione in Rito antico sia da ritenere una «giusta causa» o una «necessità pastorale», previste dal can. 905 come condizioni per autorizzare la binazione, in quanto «il diritto dei fedeli alla celebrazione eucaristica non viene in alcun modo negato essendo offerta la possibilità di partecipare all’Eucaristia nell’attuale forma rituale». Una trovata per frenare la maggior parte dei parroci dal celebrare in Rito antico, perché ogni parroco celebra quotidianamente per i fedeli nel Rito “nuovo”.
Le risposte ribadiscono che i sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione di Traditionis Custodes (16 luglio 2021) necessitano, per la celebrazione nel Rito antico, dell’autorizzazione da parte della Congregazione per il Culto Divino, con la precisazione che «non si tratta di un semplice parere consultivo, ma di una necessaria autorizzazione data al Vescovo diocesano». La ragione? Il vescovo o è un incapace oppure è un amico dei tradizionalisti, che in “curialese” suona così: «Questa norma vuole offrire un aiuto al Vescovo diocesano nel valutare tale richiesta: il suo discernimento verrà tenuto in debita considerazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti».
La morale della favola è che ci vogliono sepolti vivi. E forse è il caso di accogliere l’“interramento” come un’indicazione della Provvidenza. D’altra parte, è noto che anche Caifa profetizzò. Bisogna mantenere le posizioni pubbliche il più possibile, certamente. Ma nel contempo bisogna creare e rafforzare la rete di Messe clandestine, far conoscere il Rito antico, parlarne, così che altri imparino ad amarne la peculiarità. Il fiume che hanno voluto interrare accrescerà le sue acque, fino a quando tornerà prepotentemente in superficie, riprendendosi quel corso che da sempre è stato suo e che qualche sapientone pensava di poter deviare o far sparire sotto terra.
Il mio fornaio - perdonate il riferimento in prima persona - sta “colonizzando” il bolognese con i suoi negozi. Con i suoi squisiti prodotti parla «della tradizione che ci aiuta a pensare al futuro» (citazione dal foglietto che presenta l’ultimo pane artigianale che si è inventato). Ecco, loro, gli artigiani, lo hanno capito: è la tradizione che ha successo, è la tradizione che apre al futuro. Gli chiederò di aprire un negozio in Piazza Pio XII, a Roma, di fianco alla Congregazione: chissà che qualcuno capisca.